Il fumettista statunitense Don Rosa sarà tra gli ospiti internazionali di Lucca Comics & Games 2019 (30 ottobre – 3 novembre), in collaborazione con Panini Comics.
«Per fanfiction si intende l’insieme delle produzioni narrative scritte dai fan di un’opera appartenente al mondo letterario, cinematografico, televisivo o di qualsiasi altra natura, prendendo spunto dalle storie o dai personaggi di un lavoro originale» [Stefano Calabrese e Valentina Conti, Che cos’è una fanfiction, Carocci, 2019]
Chissà quanti tra i lettori di Fumettologica sono appassionati di fanfiction. In qualche modo fa parte della nostra esperienza di lettori: amiamo un personaggio così tanto da faticare a starne lontani. Anche se l’autore ha altro da fare. Anche quando l’autore è morto.
Se una lettura riesce a coinvolgerci e a scatenare passioni e affetti, non possiamo farci niente: vorremmo – quasi ci servirebbero – altre opere che raccontino proprio quello che, ronzando nella nostra testa, ha suscitato curiosità o ci ha ispirato le più varie associazioni mentali. Semplificando un po’, l’attuale moda di prequel, sequel, spin off e reboot prodotti senza il coinvolgimento dei creatori originali, non è altro che l’industrializzazione di tutto questo. Ma nel 1992 la situazione era diversa.
Uno yankee alla corte di Uncle Scrooge
In quell’anno, negli Stati Uniti un autore quarantenne, dopo aver lasciato da qualche anno la strip di Captain Kentucky e prima di registrare il suo nome come trademark, sta disegnando le storie di Zio Paperone. È una cosa incredibile, perché il fumetto Disney negli States non interessa a nessuno. Gira male più o meno dai primi anni Sessanta, da quando Walt Disney’s Comics and Stories ha perso sia il suo più prezioso collaboratore, Carl Barks – “L’uomo dei paperi”, giunto ormai all’età della pensione – sia qualche centinaio di migliaia di lettori, passando in 10 anni dai 3 milioni di copie vendute al rischio di chiusura e al cambio di editore. Da allora WDCS ha continuato a esistere in edicola e in fumetteria, affiancato da Uncle Scrooge e altre testate, ma proponendo soprattutto ristampe o storie di produzione straniera.
Per questo quell’autore quarantenne, tra i pochi americani ad aver disegnato storie dei paperi dopo Barks, è ormai costretto a lavorare per l’Europa: qui sì che i licenziatari Disney fanno ancora produzione di fumetti. Si chiama Keno Don Hugo Rosa, ma si firma solo Don Rosa, tralasciando il primo nome ereditato dal nonno Gioacchino. È laureato in ingegneria e ha collaborato come fumettista per alcuni giornali locali, prima di inseguire il suo sogno: disegnare storie di Paperon de’ Paperoni. È riuscito a collaborare con Gladstone, detentore della licenza dei comic book Disney da fine anni Ottanta, per il quale pubblica nel 1987 Zio Paperone e il figlio del sole.
Sembrava tutto andare bene, perché il suo esordio si era subito ritrovato candidato agli Harvey Awards. E invece no: Rosa se ne va sbattendo la porta dopo due anni, perché l’editore non gli voleva restituire i disegni originali (policy di quasi tutti gli editori disneyani, peraltro). La terra promessa disneyana, per lui, è quindi la Danimarca, dove l’editore Egmont lo accoglie a braccia aperte. Lasciandogli grande libertà creativa e la proprietà delle tavole originali.
Don Rosa ama i fumetti di Carl Barks. Potremmo dire che ha letto quasi solo quelli in ambito disneyano, ignorando completamente le scuole italiana, brasiliana, nordeuropea e francese. Li ama così tanto che sono quasi un’ossessione e, da subito, infarcisce le sue storie di riferimenti puntuali ai fumetti dell’“Uomo dei paperi”, realizzandone anche dei veri e propri sequel. Proprio per questo il suo editor danese Byron Erickson gli chiede di spingere ancora di più su quel versante, raccontando le vicende di Paperone da giovane. Un invito a nozze.
Non sarebbe certo il primo esempio di prequel nel fumetto; Batman: Anno Uno, ad esempio, era uscito cinque anni prima. Il fumettista del Kentucky, però, si applica alla materia con un approccio particolare, ben diverso da quello di Miller e all’epoca in voga nel campo delle ‘origin stories’: niente decostruzione, niente ribaltamenti di prospettiva, l’obiettivo è approfondire, approfondire, approfondire. Certo, anche lui vuole rendere Paperone un personaggio più sfaccettato, ma il suo primo obiettivo sembra “unire i puntini” degli indizi lasciati da Barks nelle sue innumerevoli e memorabili storie.
I 12 capitoli che compongono The Life and Time of Scrooge McDuck, da noi La saga di Paperon de’ Paperoni, sono una illuminazione degli angoli in ombra nelle opere del maestro. Se Barks in un’avventura afferma che Paperone, da giovane, aveva risalito il Mississippi, Rosa vuole mostrarcelo. E così via. Non contento, nella tavola di apertura di ogni episodio nasconde la sigla D.U.C.K. che, oltre a “papero”, significa “Dedicated to Uncle Carl by Keno”.
Ecco: senza sminuirne le doti di narratore, di cui parleremo più avanti, la saga si presenta a tutti gli effetti come l’opera di un grandissimo fan. Un nerd non solo disneyano, ma precisamente barksiano, che decide di raccontare aspetti del suo personaggio preferito non sviluppati dall’autore originale. Insomma: come una fanfiction.
La filologia come poetica
Domanda fandom: il titolo dell’articolo è forse pensato per attirare i clic indignati dei Ventenni che piangono leggendo la saga di Paperon de’ Paperoni? Perplessità fandom: com’è possibile che un’opera vincitrice di un Premio Eisner come Migliore serie nel 1995, candidata a tanti altri premi nel mondo, tra i capolavori del fumetto Disney, ristampata più volte in innumerevoli paesi e amata al punto da rendere il suo autore uno dei pochi disneyani a spostare centinaia di persone quando fa un incontro, sia paragonabile a una fanfiction?
Descrivere un’opera come fanfiction, per alcuni, può sembrare un giudizio di qualità. Non è così: considero davvero questa $aga un capolavoro. Tuttavia l’approccio con cui Don Rosa l’ha pensata e realizzata è stato davvero quello di un autore di fanfiction, interessato a mostrare di conoscere i più piccoli dettagli dell’opera a cui si ispira, quasi in una gara con i lettori più esperti, e senza mai uscire dal seminato.
La maggior parte degli episodi della $aga partono proprio da citazioni barksiane. Ad esempio l’undicesima puntata, Il cuore dell’impero, racconta l’episodio alla base di Paperino e il feticcio. Nella storia di Barks un gongoro, un simil zombie africano, dà la caccia a Paperino credendolo il giovane Paperone per vendicare il suo popolo; di conseguenza Don Rosa racconta la distruzione del villaggio africano e la maledizione dello stregone caduta sul miliardario decine di anni prima. Oppure, in quello che è forse il capitolo migliore, Il nuovo proprietario del castello de’ Paperoni, compaiono e assumono un ruolo importantissimo gli avi del clan McDuck, che “L’uomo dei paperi” aveva citato di sfuggita in Paperino e il segreto del vecchio castello per inanellare una serie di gag.
Ancora più importante per capirne il pensiero programmatico, Don Rosa non utilizza solo gli episodi che gli piacciono di più, ma fa una ricognizione completa dell’opera di Barks per raccogliere tutti gli accenni al passato del papero più ricco del mondo e inserirli nella sua storia.
È molto interessante a questo riguardo una sua dichiarazione in un articolo di Luca Raffaelli per la Repubblica, datato 14 novembre 1995, qualche giorno dopo la prima partecipazione del fumettista a Lucca Comics:
«Ho ignorato solo un paio di elementi. Per esempio, la data sul calendario nel flashback di Zio Paperone a nord dello Yukon, perché troppo avanti di un anno – ha detto Don Rosa – ma per il resto non ho ignorato nessun altro particolare. Anzi, ogni dettaglio della vita di Scrooge, non importa quanto esile fosse o quanto fosse sepolto nella frase di una vignetta di una storia sconosciuta, è stato incorporato nella mia storia…»
Insegnare il worldbuilding
«Non vedo alcuna ragione perché un altro si metta a riscrivere il mio lavoro». Penso che, se dovessimo indicare una frase per definire “tranchant”, questa dichiarazione di Barks su Don Rosa, proveniente dallo stesso articolo di la Repubblica, sarebbe un’ottima candidata. E continua: «Quello… stile (chiamiamolo così) non mi interessa proprio. Preferisco il lavoro di altri artisti, come Daan Jippes e William Van Horn, che seguono nelle storie e nel tratto la tradizione disneyana. Insomma, il lavoro di Rosa non mi piace».
Dunque. Barks non aveva la verità in tasca e il suo è il giudizio di un uomo abituato a fruire i fumetti e i media in generale in modo molto diverso da noi. Per la maggior parte dei lettori Disney un Jippes è molto meno interessante di Rosa, per il suo stile manierista e cristallizzato su Barks, mentre a Don bisogna concedere di avere almeno una sua voce, pur nella monomaniacalità barksiana. Ma il fatto che all’Uomo dei paperi non piacesse affatto l’opera del suo discepolo è significativo.
Quello che Barks gli rinfaccia, in pratica, è l’eccessivo “nerdismo” – oltre allo stile di disegno troppo influenzato da certa tradizione underground, giudizio che in questa sede non ci interessa – che imbriglia le possibilità della narrazione. Sempre in quell’intervento, infatti, emerge che voler fissare una volta per tutte la genealogia della famiglia dei paperi, una delle cose che ha reso celebre Rosa, «sarebbe come voler trovare su una cartina geografica Paperopoli e il deposito di Zio Paperone. Anche l’albero genealogico dei paperi è vago e mutabile». Barks veniva dalla tradizione, nata appunto con lui e con Floyd Gottfredson: il mondo del fumetto Disney non ha coordinate fisse e inamovibili, e non esiste nessuna “Bibbia della serie” sul tema delle origini.
La Saga di Paperon de’ Paperoni, quando arriva nelle edicole (in Italia su Zio Paperone, testata dedicata a Barks e ai maestri stranieri, pensata quindi per un pubblico di collezionisti e lettori preparati), suona dunque come un corpo estraneo. Il suo approccio alla materia è molto diverso dal solito, più simile a quello dei fumetti di supereroi (Marvels, che ha presupposti simili, è del 1994).
Non erano mancati, né mancheranno negli anni immediatamente successivi, i recuperi di personaggi del passato, o i racconti di infanzia e giovinezza di Paperino, Paperone e parenti. Raramente, però, chi scriveva si era posto dubbi di natura filologica, e non mancavano versioni delle ‘biografie’ dei paperi in aperto contrasto tra loro.
Il lavoro di Don Rosa è diverso. Per la prima volta aiuta a fare ordine in quel guazzabuglio che era il mondo Disney e mette le basi per un po’ di sano worldbuilding. Un esempio su tutti: i rapporti tra Paperone e Nonna Papera non sono mai stati chiari. Per quanto per Barks non siano parenti di sangue, la tradizione italiana li vuole, a volte, addirittura fratello e sorella. Da quando è uscita la $aga, però, è comunemente accettato il fatto che Elvira Coot sia la madre di Quackmore Duck, che si è sposato con Ortensia de’ Paperoni, sorella di Paperone, e hanno generato Paperino. Lei è quindi la nonna paterna, lui lo zio materno: una verità che non può essere messa in discussione, ormai, da nessuno sceneggiatore.
L’opera di Don Rosa, però, non può essere confrontata con la tradizione italiana senza filtrarla. Come già detto, Rosa ignora completamente tutto ciò che è stato prodotto fuori dagli USA; inoltre cristallizza i personaggi in un’epoca storica precisa – quella in cui Barks pubblicava le sue avventure, tanto per cambiare – tanto che esiste una celebre vignetta (non ufficiale) con la tomba di Zio Paperone e gli anni di nascita e di morte: 1867-1967. Su Topolino, invece, la vita dei personaggi è andata avanti ben oltre gli anni Sessanta, estendendosi ai giorni nostri e mostrando l’utilizzo di cellulari, Papernet, Squitter, Faceduck e tutte le diavolerie elettroniche della nostra epoca. È dunque necessario ammorbidire l’approccio di Don Rosa per poterlo adattare alle storie made in Italy, in questo e in altri aspetti, come l’esistenza di Sgrizzo Papero, cugino di Paperino, e di Gedeone de’ Paperoni, fratello del plutocrate, entrambi creature di Romano Scarpa.
Va riconosciuto che gli autori e la redazione italiani si stanno muovendo su questa strada in modo molto attento, mostrando di aver mantenuto ciò che di buono Don Rosa ha portato nel mondo Disney.
Ad esempio Blasco Pisapia, nella sua guida a Paperopoli e in quella successiva dedicata a Topolinia, ha fatto un lavoro simile a quello del fumettista del Kentucky, andando a mettere insieme le varie versioni dei palazzi della città e delle case dei suoi abitanti in 50 anni di storie e ricavandone una versione definitiva, che chiarisse una volta per tutte com’è fatto il municipio o il Club dei Miliardari. Da questo lavoro ha preso le mosse I love Paperopoli, monumentale plastico pubblicato a puntate insieme a fascicoli di approfondimento filologico, con cui i lettori potevano costruire la metropoli del Calisota (a proposito: questo è un nome barksiano che si è imposto relativamente di recente, e proprio grazie alla $aga. Ricordiamo che Scarpa usò “Calidornia”).
Questa maggiore attenzione “donrosiana” alla materia si ritrova in moltissimi autori, da Marco Gervasio, che la utilizza per approfondire le vicende del ladro gentiluomo Fantomius, a Francesco Artibani, che non ha mai nascosto le critiche all’approccio del collega d’oltreoceano, ma che al tempo stesso ne ha integrato varie volte il lavoro tramite il ripescaggio di personaggi italiani , pur sempre senza smantellare il “canone” che si è ormai fissato.
Una visione rispettosa ma fluida del mondo Disney: è questo lo spirito che oggi guida la produzione di fumetti disneyani. E la Saga di Paperon de’ Paperoni ha avuto un’importanza cruciale in questo processo, imponendosi come pietra miliare nella storia del fumetto disneyano, che nessun autore può più ignorare.
Un ritratto indimenticabile di PdP
Come ha fatto la $aga ad imporsi in modo così profondo? Perché al di là del metodo, è innanzitutto uno splendido fumetto. In cui Don Rosa ha lavorato con intelligenza sul personaggio di Paperone, cogliendone l’essenza barksiana e sviluppandola.
- Lo Scrooge di Barks non è il cinico affarista, avido e sfruttatore dei nipoti che troppe storie italiane (qualcuno ha detto Guido Martina?) ci hanno propinato. Certo è molto attaccato al denaro, ma non è semplicemente un avaro: ha una passione quasi erotica, fisica, feticistica per il suo ettaro cubico di monete. Ama farci il bagno, tuffarsi «come un pesce baleno», «scavarci gallerie come una talpa». Una passione che dunque una componente persino ludica: è un fine, ma anche un passatempo.
- Inoltre Paperone è avventuroso per il gusto dell’avventura, non solo per affari. Si mette in testa di trovare tesori fantastici spendendo oggettivamente più di quel che guadagnerà, solo per poter avere un nuovo ninnolo inusitato in collezione.
- E poi, diciamolo: Paperone è buono e ama i suoi familiari. Quella del cinico affarista somiglia a una maschera, che spesso cade lasciando intravedere – più facilmente ai lettori che non agli altri personaggi – il cuore d’oro dello Zione.
Questo è il papero di Barks. Questo è il papero di Romano Scarpa, Rodolfo Cimino, dei grandi autori italiani. E questo è il papero di Don Rosa. Semplicemente, Rosa non si limita a mostrarne il carattere, ma ne approfondisce il retroterra esistenziale, psicologico, sociale, raccontando come è diventato l’uomo che è adesso.
La Saga di Paperon de’ Paperoni è la storia di un successo crescente e di una continua caduta, che proseguono di pari passo e sono inscindibilmente intrecciati l’uno all’altra. Paperone lascia la Scozia in giovane età per andare per il mondo, improvvisandosi in lavori diversi, mettendo tutto se stesso in ciò che fa. Incontra personaggi storici e quelli che diventeranno gli avversari di una vita, impara a gestire gli affari e a combattere, a trovare l’oro, a commerciare.
Nei 12 episodi dell’epopea di Don Rosa si trova tutto ciò che sarà nei decenni successivi – anche escludendo le tante strizzatine d’occhio ai barksiani, che l’autore inserisce per diletto suo e dei lettori più duri – raccontato con una notevole capacità di gestire sia i momenti più comici sia quelli drammatici. Si ride spesso di gusto, infatti, di un umorismo surreale. Ma in altri passaggi, beh, c’è materiale per alcuni dei #lunedifeels più condivisi dai “Ventenni che piangono…”
Lungo queste 200 pagine lo spirito di Paperone viene messo a nudo sotto gli occhi dei lettori. Ingenuo e di buon cuore, viene forgiato dagli insuccessi più che dai successi, il suo animo si indurisce nella lotta per ogni risultato, e quando sembra essere riuscito ad arrivare in cima, come Sisifo deve tornare indietro, perché il fato lo riporta a valle. Nel tempo si costruisce così una corazza per proteggersi dalle vicende avverse della vita, un “deposito” per la sua anima pura. Che si aprirà soltanto nell’ultimo capitolo, con l’incontro con Paperino, Qui, Quo e Qua. Solo allora Zio Paperone tornerà ad aprirsi al mondo. Sarà la sua seconda giovinezza. E coinciderà con le storie narrate da Carl Barks.
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