Immaginate di pagare un caffè al banco e di ricevere come resto delle monete raffigurati Tex, Diabolik o Tiramolla. Impensabile, vero? Nessuno dei fumetti italiani ha mai avuto l’onore del conio, neppure Dylan Dog negli anni Novanta, all’apice della fama, quando duettava con Baglioni e si faceva promotore di campagne sociali. È invece notizia di pochi giorni fa che la zecca parigina batterà una nuova moneta da 2 euro. Sul retro, dove noi abbiamo il profilo di Dante, Oltralpe avranno un viso altrettanto nasuto: quello di Asterix, in occasione dei suoi 60 anni.
L’impero gallico
Non è una notizia così sorprendente, in realtà. Il piccolo guerriero creato da René Goscinny e Albert Uderzo è una vera e propria icona in patria, simbolo stesso della bédé più ancora di Tintin o dei Puffi – belgi, in realtà, mentre lui è genuinamente parigino.
Anche in un’epoca di tirature minori rispetto al passato, i suoi numeri sono impressionanti: basti pensare che Alsterix e la figlia di Vercingetorige, l’albo in uscita questo autunno per il sessantesimo anniversario, sarà stampato in 5 milioni di copie in tutto il mondo. Per dare un’idea della proporzione, da noi il fumetto che ha venduto di più in assoluto dovrebbe essere stato Topolino nell’estate del 1993, quando, grazie al gadget Topowalkie allegato, arrivò a poco più di 1 milione di copie di tiratura.
Negli USA, il milione di copie di Star Wars #1 nel 2016 è stato raggiunto soltanto grazie all’impressionante quantità di cover variant che hanno spinto i collezionisti a saccheggiare la tiratura, e dal secondo numero le vendite si sono assestate su cifre molto più normali.
Per Asterix invece tutto questo è da sempre la norma. Dal 1961, da quando nelle librerie francesi apparve Asterix il gallico, primo volume della serie («Ma come, non compie adesso 60 anni? Non è nato nel 1959?» Nessuna paura, ci arriviamo), gli irriducibili galli continuarono a mietere record su record. Le 6mila copie della prima tiratura furono bruciate in pochi giorni; Asterix e il falcetto d’oro e Asterix e i goti furono stampati in 15mila esemplari, Asterix gladiatore e Il giro di Gallia in 60mila, Asterix e Cleopatra in 100mila, e così via.
Nel 1967 su Asterlinus, supplemento di Linus che per primo lo pubblicò in Italia, l’anonimo editorialista (forse il direttore Giovanni Gandini?) presentò così Asterix e i Britanni: «In sei anni le avventure di questo furbo guerriero gallo, dall’ambito modesto di un giornale per ragazzi, hanno dilagato in Francia fino ad interessare, e addirittura appassionare tutti i ceti e tutte le età. L’episodio che qui presentiamo, “Asterix chex les Bretons” […] ha letteralmente bruciato una prima tiratura di 600.000 copie in pochi giorni».
Inezie, in realtà, rispetto a quello che sarebbe venuto in seguito: è celebre la frase di Uderzo «Avrei voluto semplicemente diventare un giorno il Walt Disney francese», e bisogna ammettere che ci è arrivato molto vicino, anche se non nel senso che intendeva lui. L’impero di Asterix conta a oggi 38 albi a fumetti, per un totale stimato di oltre 370 milioni di copie vendute in tutto il mondo.
10 film d’animazione, alcuni dei quali prodotti direttamente dagli autori. 8 furono tratti dai fumetti; uno, il mitico Le 12 fatiche di Asterix, fu basato su una sceneggiatura ad hoc di Goscinny, mentre Uderzo si occupò di storyboard e character design; un decimo, Asterix e il segreto della pozione magica, il più recente e forse il più riuscito, è basato su un testo originale di altri sceneggiatori.
4 film dal vero, con un cast stellare (Roberto Benigni, Laetitia Casta, Christian Clavier, Monica Bellucci…) e soprattutto un Gerard Depardieu (poco) ingrassato per entrare nei panni di Obelix. Vari adattamenti sonori in disco e radiodrammi per Radio Luxembourg, l’emittente legata al giornale che pubblicava i fumetti.
Un parco divertimenti a tema. Merchandising e licenze di vario tipo. Giocattoli, giochi da tavolo, videogiochi, libri illustrati, librigame. Potete stare certi che di qualsiasi oggetto adatto a un pubblico infantile che vi possa venire in mente ne esiste una versione griffata con i personaggi di Goscinny e Uderzo. Addirittura il primo satellite francese, lanciato in orbita nel 1965, fu chiamato Asterix. E pensare che tutto è iniziato una calda sera estiva su un balcone dell’hinterland parigino…
Mâtin, quel journal!
Siamo nell’estate del 1959 a Bobigny, a nord est di Parigi. In un appartamento di un palazzone popolare vive il disegnatore Albert Uderzo con la sua famiglia. È un periodo di superlavoro per lui: insieme allo sceneggiatore René Goscinny produce una mole impressionante di pagine a fumetti, tra Umpah-Pah, pubblicato su Tintin, e altre serie minori.
La sera che ci interessa i due sodali la stanno passando a mettere insieme nuove idee da proporre ai giornali con cui collaborano. Goscinny invita l’altro a elencargli tutte le epoche della storia di Francia, sperando che salti fuori qualcosa di buono, e quando arrivano ai Galli lo ferma: ecco l’ambientazione che cercavano!
In pochi giorni il concept è pronto. Il protagonista non sarà il solito eroe bello e muscoloso, ma un piccoletto con il nasone, fortissimo grazie a una pozione magica, che terrà in scacco le truppe di Giulio Cesare. I fumettisti preparano una tavola di prova che, dopo varie peripezie e rifiuti da parte di diversi editori, viene pubblicata nell’ultima pagina di un nuovo giornale che contribuiscono a fondare.
Si chiama Pilote, ed esce il 29 ottobre 1959, preceduto da un potentissimo battage pubblicitario da parte di Radio Luxembourg, che partecipa anche finanziariamente alla nuova avventura editoriale. Entro sera la prima tiratura sarà esaurita. Erano 300mila copie.
Su Pilote, che presto passerà all’editore Dargaud, non c’è solo Asterix, ma il gallo diventerà presto il volto della rivista. Già con il numero 300, nel 1965, lo slogan “Le magazine des jeunes de l’an 2000” lascia il posto a un più prosaico “Le journal d’Astérix et Obélix”. I rapporti di forza nelle pagine della rivista sono ormai chiarissimi.
Le prime 20 storie di Asterix sono pubblicate a puntate su Pilote, una o due pagine a settimana, per poi trovare una nuova vita in volume. È una formula consolidata nel mercato francofono, che prolunga la vita dei personaggi oltre l’effimera pubblicazione sui settimanali, e li sposta dal pubblico delle edicole a quello più attento delle librerie. Il formato – albi cartonati “alla francese”, come diremmo noi – è quello con cui vengono diffusi nel mondo già dalla fine degli anni Sessanta. A oggi le avventure di Asterix sono state tradotte in 111 tra lingue e dialetti, compresi il latino e l’esperanto.
Nel 1974 Goscinny lascia Pilote, di cui, nel frattempo, è diventato condirettore insieme a Jean-Michel Charlier. I successivi Il regalo di Cesare, Asterix in America e La Obelix s.p.a. escono a puntate su altre testate, mentre Asterix e i belgi, ultimo firmato dallo sceneggiatore, viene pubblicato postumo nel 1978 direttamente in volume.
Da questo momento la serie è in mano al solo Uderzo, che la porta avanti come autore unico con un ritmo che va via via diradandosi e una qualità sempre minore. Queste due cose però si compensano, impedendo un’emorragia di lettori: l’uscita degli albi diventa un vero proprio evento, e il nuovo Asterix è, ogni volta, “il libro da comprare”, a prescindere dalla bontà della storia.
Nel 2013 Uderzo finalmente cede oneri e onori a Jean-Yves Ferri e Didier Conrad, che portano una ventata di aria fresca nel piccolo villaggio dell’Armorica pur riuscendo a rimanere molto fedeli allo stile dei loro predecessori. La straordinarietà delle pubblicazioni è finalmente accompagnata di nuovo da una buona qualità dei fumetti, anche se siamo ancora lontani dal genio di Goscinny.
Il miglior sceneggiatore umoristico del mondo
Una delle difficoltà maggiori per i nuovi autori è il fatto che si trovano a lavorare su un universo molto poco coerente. Leggendo di fila gli albi è palese come i due creatori non avessero ideato da subito tutti gli aspetti della serie ma fossero andati ad aggiungerli man mano che proseguivano con le pubblicazioni. L’effetto è un accumulo disordinato di personaggi, topoi, tormentoni, che tutti insieme compongono l’anima della serie; addirittura molti aspetti fondanti, potremmo dire “leggendari”, che tutti i lettori danno per scontati non sono presenti per un buon numero di anni, o cambiano in corso d’opera.
Ad esempio, quanti sanno che Idefix, il cane di Obelix, viene disegnato per il prima volta soltanto in Asterix e il giro di Gallia (1963)? O che nelle prime storie Giulio Cesare non parla di sé in terza persona, parodia della sua scrittura nei commentarii De bello gallico e De bello civili? Oppure che fino al 1965 non si alternano le ambientazioni delle avventure, una all’estero e una in Gallia? Che il fabbro Automatix compare già in Asterix il gallico e assume il suo aspetto definitivo nel 1966, mentre il pescivendolo Ordinalfabetix, che si scontra da sempre con lui, esordisce solo nel 1969? Che Obelix ha due diverse date di compleanno?
La coerenza interna evidentemente non interessava a Goscinny, la cui scrittura «seguiva la stessa logica con cui è rappresentato il villaggio di Asterix, dove le case non sono mai disposte alla stessa maniera», come ci ha detto Jean-Yves Ferri qualche tempo fa. Se allo sceneggiatore serviva che nel villaggio ci fosse una sola barca, così era, nonostante qualche storia prima avesse mostrato una flottiglia di imbarcazioni. Se per una gag aveva bisogno di far dichiarare a Ordinalfabetix di vendere solo pesce di qualità proveniente da Lutezia, glielo faceva fare, e poco importava se in altre circostanze lo si fosse visto pescare.
Allo stesso modo, nelle tavole abbondano le imprecisioni storiche. Stando alla celebre introduzione della serie, le avventure sono tutte ambientate dopo il 50 a.C., quando «tutta la Gallia era occupata dai Romani»; sono quindi “plausibili” l’incontro con Cleopatra o la battaglia di Tapso, meno la partecipazione alla campagna di Britannia di Cesare (55 a.C.). Inutile dire, poi, che i Galli non si cibavano quasi esclusivamente di cinghiali, non conoscevano la patata, non indossavano costantemente gli elmi da guerra, non erigevano menhir e così via. Il mondo celtico descritto dagli autori è completamente inventato e fa acqua da tutte le parti per coerenza e rigore storiografico.
Nulla di tutto ciò, però, riesce minimamente a scalfire la riuscita del fumetto. Quello che interessava a Goscinny era, sempre e comunque, far ridere il lettore. E il miglior sceneggiatore umoristico francese aveva moltissime frecce al suo arco per raggiungere il bersaglio, con diversi livelli di profondità.
Nelle avventure di Asterix si trovano, ad esempio, moltissime gag visive, graziate dal tratto superdinamico di Uderzo: Romani che volano dopo i cazzotti, gente che cade o si fa male in modi buffi, animali che si muovono dappertutto, personaggi in pose assurde. È il livello più accessibile per un bambino, tanto che sono presenti in abbondanza anche nei prodotti pensati per un pubblico di età inferiore rispetto ai lettori di Pilote, come gli albi illustrati con protagonista Idefix che, anche se non realizzati direttamente dalla rodata coppia di autori, ne cercano di ricreare lo stile.
Ma il modo che avevano loro due di gestire ritmo e messa in scena era davvero inimitabile, «un esempio perfetto di quello che dovrebbe esserci in una storia umoristica: gag sorprendenti nella loro naturalezza, un’esposizione chiara dei meccanismi di causa ed effetto», come dice al riguardo Francesco Artibani.
Ci sono poi i giochi di parole, numerosissimi, che i traduttori italiani sono riusciti bene o male sempre a trasportare nella nostra lingua: Asterix ha avuto solo traduttori di razza, come vedremo più avanti, e l’ottima resa in italiano della comicità verbale di Goscinny è sicuramente uno dei motivi del suo successo nel nostro Paese.
Legati a questi ci sono gli sfottò su base etnica e culturale. Nei loro viaggi i Galli incontrano decine di popoli diversi, che gli autori caratterizzano basandosi sui luoghi comuni delle popolazioni moderne. I Britanni parlano così con calchi sintattici dell’inglese («La romana galera»; «Esso è seccante, nevvero?» «Sì, esso lo è»…), i Goti si esprimono con lettering gotico e gli Egizi con geroglifici; i Corsi sono permalosi; i Belgi sono un po’ tardi; gli Elvezi precisissimi, fabbricanti di orologi e produttori di formaggio con i buchi.
È una conseguenza diretta dell’uso sistematico di anacronismi nelle tavole del fumetto. Il mondo romano di Goscinny è costellato di elementi presi dalla contemporaneità e inseriti a forza nella Gallia di duemila anni fa con l’unico scopo, sacrosanto, di far ridere.
Ma tra i segni distintivi dello sceneggiatore spiccano certamente i tormentoni, che tutti i lettori conoscono e che spesso si accompagnano all’umorismo fisico, da Obelix che si lamenta perché non può ricevere la pozione al capo Abraracourcix che non si riesce a coordinare con i suoi portatori, ad Assurancetourix che viene pestato perché non canti e ai pirati affondati ogni volta. L’uso di battute ricorrenti è un classico dell’umorismo di Goscinny in tutte le sue opere.
A fare ridere, oltre alla gag stessa, è spesso il contrasto tra questi comportamenti ricorrenti e le diverse situazioni che si parano davanti ai personaggi, oppure le piccole variazioni sul tema che lo sceneggiatore inserisce per spiazzare i suoi lettori, forte della complicità ottenuta dalla ripetizione continua della stessa punch line.
Goscinny utilizza i tormentoni per caratterizzare i suoi personaggi, che perdono qualsiasi sfaccettatura o tridimensionalità per diventare maschere immediatamente riconoscibili: Asterix e Obelix (ma anche Lucky Luke, i Dalton, Iznogoud, Nicolas…) dicono sempre le stesse cose e fanno sempre le stesse cose, anche se messi di fronte a situazioni diversissime.
Come per il mondo sfuggente e poco fissato in cui si muovono, la semplicità psicologica degli attori è funzionale alle risate che lo scrittore vuole suscitare. Tutti possono essere identificati con un paio di aggettivi, hanno una scena chiave – spesso sempre la stessa, albo dopo albo – che li caratterizza; figure molto più semplici di quelle che compaiono in fumetti che si rivolgono allo stesso target, come possono essere Spirou o Topolino (se scritto bene).
Goscinny utilizza dei semplici archetipi – il fanfarone succube della moglie, la donna petulante e invidiosa, il vecchio che ricorda i bei vecchi tempi, l’artista scarso che si sente un genio incompreso – e li sposta sul suo palcoscenico senza alcun interesse ad approfondire cosa stia dietro i loro comportamenti. È il suo modo di fare satira sui tempi moderni, schiaffando nel 50 a.C. i vicini di casa di ciascuno di noi così come sono, e questo fa molto più ridere dell’ennesimo cazzotto dato a un centurione.
Per questo un fumetto come il recente Jolly Jumper non parla più è così travolgente: Bouzard ribalta l’opera di Goscinny, scavando dietro le classiche gag del cowboy e del suo cavallo, cercando di dare, tra le risate, una profondità inedita.
La più grande matita di Francia
Un così grande sceneggiatore non può che accompagnarsi a un disegnatore di razza. Albert Uderzo, all’anagrafe Alberto e di chiare origini italiane, è l’uomo più adatto a dare forma alle avventure di Asterix. Il suo stile ha tutta la versatilità che il fumetto richiede, passando con nonchalance da scene umoristiche al grottesco fino a rappresentazioni realistiche.
È tutto frutto della sua carriera precedente. Uderzo si è da sempre adattato a disegnare qualsiasi cosa. A 23 anni, ad esempio, ha realizzato un’avventura di Capitan Marvel Jr. (la spalla di Capitan Marvel/Shazam) con uno stile perfettamente aderente al modello americano; nei primi dieci anni di carriera è passato continuamente da disegni più umoristici ad altri più realistici, ha illustrato articoli su riviste femminili, imitato Alex Raymond e Franquin, fino a creare un suo stile che unisce tutto questo, che ha iniziato a sperimentare su Jehan Pistolet e portato avanti su Umpah-Pah.
Su Pilote Uderzo disegna inizialmente due serie, Asterix e Tanguy e Laverdure, e lo fa in modo completamente diverso. Per i “cavalieri del cielo” scritti da Charlier sceglie un realismo molto classico, anche se non riesce a evitare qualche caduta nel grottesco nelle sequenze più comiche, mentre le avventure dei Galli preferisce disegnarle con uno stile umoristico molto più estremo di quello che sta utilizzando altrove. I suoi personaggi, in particolare i protagonisti, sono molto deformati, con volti e corpi molto caricaturali.
Anche le linee sono inedite, con contorni neri molto più spessi del solito. Asterix il gallico e Asterix e il falcetto d’oro sono disegnati in questo modo, che definiremmo acerbo se lo confrontassimo solo con le storie future della serie e non con i fumetti che Uderzo pubblica in parallelo. A ben vedere, infatti, sembra più un modo per differenziare, per smarcare il nuovo personaggio dal resto della sua produzione, spingendo molto più del solito sul pedale della caricatura.
Ma questo stile “più semplificato” rispetto a quello che seguirà potrebbe anche essere la causa del superlavoro a cui è sottoposto il disegnatore, che in questo periodo realizza tre serie settimanali (Asterix, Umpah-Pah e Tanguy), una o due tavole per ogni serie ogni sette giorni più qualche copertina di Pilote e Tintin e qualche illustrazione ogni tanto per articoli e redazionali.
Le cose iniziano a cambiare con Asterix e i Goti, e i disegni si evolvono negli albi successivi, fino a raggiungere la piena maturità con Asterix e Cleopatra (su Pilote dal dicembre 1963 al settembre 1964). La collaborazione con Tintin si è interrotta da un po’ di tempo con la fine della pubblicazione delle avventure del pellerossa, e Uderzo può dedicarsi “solo” alle due serie su Pilote. A metà del decennio abbandonerà anche Tanguy per concentrarsi solo sul piccolo gallo, in quello che è indubbiamente il periodo più alto della sua arte.
La forza di questo disegnatore è la capacità di saper rappresentare alla perfezione davvero qualsiasi cosa. Vi propongo una breve carrellata per darvi un’idea, se non avete avuto la fortuna di leggere abbastanza Asterix: azioni sportive, botte, botte, entrate in scena drammatiche, infografiche scolpite sulla pietra, panoramiche a volo d’uccello di Roma o Lutezia e altre centinaia e centinaia di pagine, migliaia di vignette sempre ad altissimo livello.
Il meglio di sé lo dà nelle scene dinamiche. Pochissimi disegnatori sono in grado di muovere i personaggi alla sua maniera. È evidente uno studio delle tecniche dell’animazione, ad esempio nello “squash & stretch” di alcuni movimenti; sa che deve esagerare ogni pugno, ogni salto, ogni corsa per fare ridere, ma anche per rendere davvero vivi i suoi omini nasuti.
Ma la sua vera grandezza la si vede nelle galline. In moltissime scene nel villaggio di Asterix si possono notare galli e galline che razzolano in giro, corrono, fuggono dal pericolo, si nascondono. Sono inutili per la trama, non interagiscono quasi mai con gli umani, magari non compaiono nemmeno nelle sceneggiature di Goscinny. Eppure Uderzo – pur pieno di lavoro fin sopra le orecchie – perde minuti per tratteggiarle e inchiostrarle. Sono il tocco del maestro, un dettaglio secondario e quasi invisibile sullo sfondo, ma che rende vivo, brulicante, reale il mondo che ci sta disegnando sotto gli occhi.
È interessante notare come uno dei personaggi fondamentali della serie sia nato proprio come queste galline. Asterix e il giro di Gallia, tavola 9. Fuori da un negozio di Lutezia si trova un cagnolino bianco. Il lettore distratto non gli presta attenzione; quello abituato alle galline di Uderzo ci fa caso e sorride, perché è buffo: a chi non fanno simpatia i cagnolini buffi?! Poi il cagnetto inizia a seguire Asterix e Obelix, vignetta dopo vignetta, pagina dopo pagina, città dopo città, per tutto il loro giro della Francia.
I due guerrieri non se ne accorgono. Forse ormai il lettore sì, ma pensa che sia solo un’altra delle invenzioni di quel matto del disegnatore che non riesce a non stipare le vignette di mille particolari nonostante sia in ritardissimo con le consegne di Tanguy e Laverdure. Lo pensa fino all’ultima pagina, quando finalmente anche Obelix, sullo sfondo, si accorge del cagnolino e lo accarezza. Da quel momento Idefix, comparso per riempire uno spazio in una vignetta, non lascerà più la serie.
Asterix in Italia
Asterix arriva in Italia quando ormai in Francia è un successo consolidato: la prima avventura tradotta nell’idioma di Dante è Asterix e i Britanni, sul già citato supplemento estivo di Linus del 1967. È un’epoca in cui il fumetto francofono è molto diffuso in Italia, soprattutto grazie al Corriere dei Piccoli, che tra la metà degli anni Sessanta e i primi Settanta pubblica a puntate classici del fumetto come Lucky Luke, i Puffi, Spirù, Umpah-Pah, Michel Vaillant, Dan Cooper, Poldino Spaccaferro, ma anche serie meno note come Susanna e Celestino (Olivier Rameau) di Dany, Mignolino e Clorofilla di Raymond Macherot e Strapuntino di Goscinny e Berck. È strano, quindi, che la serie di maggior successo non venga presa in considerazione dalla redazione di via Solferino.
Una ragione la si potrebbe ritrovare proprio tra le righe dell’introduzione di Asterlinus. «Si è parlato di fumetto gollista, di fumetto che vellica magari senza volerlo le mai sopite fantasie di “grandeur” di quelli che un tempo si dicevano i cugini d’oltralpe» vi si legge. E ancora «Che poi a qualcuno in Francia Asterix piaccia per un mai sopito nazionalismo, non ci stupisce. Proprio noi di Linus fummo accusati da un giornale francese di non voler pubblicare Asterix per motivi uguali e contrari».
È possibile che la redazione del Corriere della Sera non voglia pubblicare un fumetto così “scomodo” e malvisto dagli intellettuali italiani. Ma è anche possibile, in realtà, che semplicemente i diritti di un prodotto così di successo costino molto più, oppure che il “Corrierino abbia già abbastanza materiale grazie agli accordi con Lombard e Dupuis, editori rispettivamente di Tintin e Spirou, giornali da cui proviene quasi tutta la bédé che pubblica.
Quale sia il motivo, il risultato è che la prima edizione nostrana di Asterix è brutta. I supplementi estivi di Linus sono stampati in bianco e nero e nello stesso formato della rivista, più piccoli quindi di Pilote o dei volumi francesi. I disegni di Uderzo risentono molto di questa pubblicazione; pensati per il colore, sono depotenziati e svuotati, senza ombre o tratteggi a riempire i vuoti. Anche i testi di Goscinny perdono molto della loro forza. La traduzione è corretta ma forse un po’ troppo “ingessata”, e gran parte dell’umorismo verbale dello sceneggiatore va perduto.
Per nostra fortuna già l’anno dopo interviene Mondadori, che risolve questi problemi portando in libreria la collana che resterà praticamente invariata fino a oggi. Volumi cartonati di grande formato, a colori, con la costa bianca e un pilum romano come elemento grafico ricorrente. La pubblicazione non segue inizialmente l’ordine di uscita francese, ma è una lacuna che viene rapidamente sanata quando tutti gli episodi sono disponibili a catalogo.
Il colpo di genio, però, sta nelle traduzioni. Di fronte a un testo così ricco come quello di Goscinny non basta tradurre, bisogna spesso adattare con attenzione. È necessario che le battute siano comprensibili anche in italiano, anzi, che facciano ridere anche in italiano. È meglio che il gioco di parole intraducibile e il riferimento alla cultura francese, più che opaco per noi, si perdano e vengano sostituiti da equivalenti italiani. È necessario l’intervento di un umorista.
La redazione di Mondadori non si accontenta di chiamare dei comici ma assolda due dei migliori scrittori umoristici in circolazione. Uno è Carletto Manzoni, storico collaboratore del Bertoldo, su cui pubblicava i racconti di Il signor Veneranda, che nel 1969 traduce la nuova edizione di Asterix e i Britanni.
L’altro, ancora più celebre, è Marcello Marchesi, regista, sceneggiatore, autore di canzoni, programmi radiofonici e televisivi e Caroselli. A lui si devono le prime traduzioni di Asterix il Gallico, Asterix legionario e Asterix e Cleopatra, tutte nel 1968, ed è lui a tradurre in modo magistrale i tormentoni di Goscinny. È lui ad avere il colpo di genio di tradurre “Ils sont fous, ces Romains!” come “Sono Pazzi Questi Romani”, formando la sigla SPQR; o ancora a far parlare i Romani in romanesco, invece che nella lingua standard che utilizzano in francese.
L’opera di Marchesi è la base per il lavoro successivo. Luciana Marconcini – che dal 1969 ha firmato la maggior parte degli albi -, Michele Foschini, Tito Faraci e tutti gli altri traduttori si basano infatti sulle invenzioni dell’umorista milanese, che ha fissato il canone con cui tutti devono confrontarsi.
Asterix in Italia non ha lo stesso successo che ha in altri Paesi: in Germania e in Olanda, ad esempio, i suoi libri vendono molto più che da noi. Qui, però, si è creato da subito una base fedele di lettori e ha per questo un grande primato: per lungo tempo è stato l’unico fumetto di grande diffusione pubblicato in libreria in volumi cartonati. La serie con la lancia, le ristampe successive di Mondadori prima e di Panini poi sono un unicum nel nostro panorama librario. Anche prima dell’invasione dei graphic novel nelle librerie di varia, Asterix c’era. Da solo.
Non che non ci fossero stati dei tentativi precedenti: Mondadori stessa, ad esempio, già negli anni Settanta avevaa provato a stampare in quello stesso formato gli altri grandi personaggi di Pilote, Tanguy e Laverdure (1971) e Blueberry (1978). Ne uscirono due volumi per serie, non un grande successo.
È un’altra prova, come se ce ne fosse bisogno, della grandezza del mondo gallico creato da Goscinny e Uderzo.
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