Un drago la cui religione gli impedisce di colpire chi lo insulta. Un’anatra capace di uccidere migliaia di avversari solo con piuma e bastone. Un Guardiano malinconico con un piglio da dirigente d’azienda. E due autori, Lewis Trondheim e Joann Sfar, che sono riusciti a riunire la crème de la crème del fumetto franco-belga (e non solo) intorno a un progetto dalle ambizioni fuori dall’ordinario. Con il primo volume de La Fortezza, Bao Publishing avvia la pubblicazione integrale in Italia di una delle serie a fumetti più importanti (e strampalate) degli ultimi due decenni.
Il titolo ci introduce immediatamente in quel Medioevo fantastico, popolato da draghi protettori di tesori, maghi malvagi ed eroi steroidei refrattari alle armature reso celebre da Conan il Barbaro o dal più noto dei giochi di ruolo, Dungeons & Dragons. Il mondo dell’heroic fantasy o, seguendo la definizione più suggestiva di Fritz Leiber, delle storie di sword and sorcery, di spada e stregoneria. Un immaginario pre-tecnologico che – il successo recente de Il trono di spade lo conferma – continua a esercitare un’enorme influenza.
Ne La Fortezza gli elementi classici del genere ci sono tutti: eroi, eroine, giganti, mostri, draghi, maghi, missioni, principesse da salvare, tesori da depredare, regni da conquistare, percorsi iniziatici, mentori… Si tratta di una parodia, certo. Ma è anche un atto d’amore quello che Sfar e Trondheim rivolgono a questo insieme di ingredienti. Un atto d’amore, però, costruito con regole tutte loro.
Da una parte c’è la volontà di giocare, il balocco intellettuale sulle orme dell’Oulipo (i cui membri, peraltro, si definivano ratti «che si costruiscono il labirinto che si propongono di lasciare»). Dall’altra emerge una affettuosa adesione alla tradizione del fumetto franco-belga che per anni gli autori – in particolar modo Trondheim e la “sua” casa editrice L’Association – avevano cercato se non di scardinare di mettere di fronte ai propri limiti.
Come riuscire in questo difficile equilibrio? Con un fumetto umoristico-avventuroso eppure ‘sperimentale’, allineato a uno dei generi maggiormente in voga, ma anche incorniciato in un piano editoriale ambizioso fino alla superbia, che prevedeva la pubblicazione di oltre 300 volumi (target fallito: si sono fermati a 36) pubblicati “in disordine”, ovvero aggirando la cronologia e optando per frequenti digressioni e salti temporali.
Per intenderci, i primi due volumi della serie furono pubblicati nel 1998 e numerati #1 e #2. I due successivi riportavano invece sulla costa rispettivamente i numeri #101 e #-99, a indicare che le vicende narrate erano ambientate nel futuro e nel passato. Trondheim, va detto, non era nuovo a esperimenti del genere, ma applicarli a un progetto mainstream e di lungo corso non era certo garanzia di successo. Oggi possiamo dire che la scommessa fu vinta.
L’heroic fantasy è facile da parodiare: gli eroi dai muscoli lucidi in mutandoni pelosi e la ripetitività delle situazioni aiutano. Non a caso le parodie di Conan & C. sono sempre state numerose, pur mantenendosi a un livello di efficace superficialità. Sfar e Trondheim, invece, conservando praticamente intatto lo scheletro narrativo tipico dei racconti del genere (e anche i mutandoni) lavorarono per scardinarne e contaminarne almeno due degli aspetti più rilevanti: la granitica personalità dei personaggi (un po’ come fece Terry Pratchett con la saga di Mondo Disco) e la linearità delle vicende narrate, anche se all’interno di un complesso progetto editoriale, diluendo l’importante elemento della predeterminazione.
«Quattro torri nere, la più alta delle quali si vede a dieci giorni di cammino… Una porta di piombo nascosta nel cuore di una palude malsana… Chilometri di corridoi, foderati di muschio e salnitro… Rampe, montacarichi, scale fin nelle viscere della terra… è la Fortezza.»
L’albo con cui si apre questo primo volume, intitolato Un papero di cuore, presenta i personaggi principali:
• La Fortezza – la maiuscola è d’obbligo – non solo un semplice sfondo degli eventi narrati, ma cuore pulsante e, letteralmente, brulicante di vita, il luogo da dove tutto è partito e dove ogni cosa si concluderà. Qui avventurieri in cerca di fama e, soprattutto, di fortuna entrano nei suoi sotterranei infestati da mostri e creature per appropriarsi dell’enorme tesoro in essi contenuto. Peccato che le possibilità di riuscita siano praticamente inesistenti. In realtà il termine originale francese Donjon – traducibile con un poco usuale, in italiano, “dongione” – non indica la fortezza nel suo complesso, ma la torre più alta dello stesso.
• Herbert, un papero che nell’iper-burocratizzato sistema aziendale della fortezza svolge inizialmente il semplice ruolo di tuttofare e che, per una serie di cause indipendenti dalla sua volontà, dovrà velocemente reinventarsi nel ruolo di eroe. Anche qui, come nel caso precedente – ma meno comprensibilmente – la traduzione è fallace. Nell’originale francese, infatti, Herbert, è un’anatra, non un papero (come si evince facilmente dal titolo originale dell’albo, Cœur de canard, tradotto più fedelmente nella precedente edizione Phoenix come Cuore d’anatra).
• Il Guardiano, fondatore della fortezza e suo inflessibile, ma anche amorevole, amministratore.
Per non parlare poi di innumerevoli creature, popolazioni, villaggi e regni che impareremo piano piano a conoscere man mano che procederemo nella lettura dei volumi. Infatti, come nella tradizione dei migliori mondi finzionali, al di là delle restrizioni dei generi, quello de La Fortezza è un universo complesso e sfaccettato, con una propria e peculiare organizzazione territoriale e sociale. Senza raggiungere le vette di fascinazione (e di complessità) antropologica tipiche, ad esempio, dei romanzi fantasy e di fantascienza di Ursula K. Le Guin, le differenze caratteriali fra i vari gruppi etnici e i vari regni sono ben scritte e credibili, facilitando, da parte del lettore, un’immersione che va oltre il semplice divertissement.
Vale lo stesso per le personalità dei protagonisti, spesso ben poco eroiche e che concedono spazio a momenti di riflessione e persino di contemplazione, facilitano una immedesimazione empatica che, si sarebbe potuto pensare, i disegni spesso minimali e antinaturalistici di molti degli autori coinvolti avrebbero potuto rendere difficoltosa. Insomma, le disavventure tragicomiche di Herbert e compagni – che in altri volumi della serie arriveranno a colorarsi di tinte davvero fosche – divertono, e parecchio. Ma dietro questi apparentemente sgraziati animali antropomorfi c’è davvero molto di noi e, ovviamente, del nostro mondo.
Lo stile grafico e le scelte editoriali, come accennato, contribuiscono non poco alla costruzione di questo credibile e godibile universo. Trondheim si è occupato anche dei disegni dei primi quattro episodi della serie (intesi in ordine cronologico), offrendosi come riferimento per gli autori che lo hanno seguito.
Ovviamente il tratto più evidente è la caratterizzazione zoomorfa dei personaggi, che distingue l’autore fin dagli inizi della sua carriera (ne La Fortezza, alla maniera di autori come Osamu Tezuka, ha “riciclato” personaggi di alcune sue opere precedenti, in particolare dalla serie Lapinot). Coerentemente con molte delle sue sperimentazioni precedenti, Trondheim ha ottenuto il massimo risultato con il minimo sforzo.
Il formato, per dimensioni e numero di tavole, è quello di un classico albo à la francese, con griglia per lo più classica, segno lineare e sintetico (con qualche concessione barocca in più per quanto riguarda la resa degli scenari, in particolar modo della Fortezza). Ma è la combinazione di tutti questi elementi – grazie al collante di dialoghi irresistibili per resa comica e drammatica in un racconto dal ritmo avvincente – a fare de La Fortezza un’opera unica. Insieme, come già detto, alla particolare impalcatura editoriale che sta dietro al piano di creazione e pubblicazione della serie.
Nella nuova edizione italiana, diversamente da quella francese e dai tentativi fatti in Italia da Phoenix e da Magic Press (che riprendevano la numerazione originale degli albi francesi) si è preferito non rispettare l’ordine di pubblicazione originale né quello cronologico, ma si è adottata invece una soluzione ibrida. Ogni scelta possibile avrebbe finito per scontentare qualcuno, e per motivi validi. Vedremo se la soluzione adottata da Bao, in accordo con gli autori, si rivelerà la più adeguata.
Resta il fatto che il concepimento di una serie di più di trecento volumi, scritta interamente da due autori con la collaborazione dei migliori talenti disponibili sul mercato europeo, pubblicata non seguendo un ordine cronologico ma con frequenti salti in avanti e indietro fra un volume e un altro, era e rimane un esperimento di racconto seriale che meriterebbe numerose riflessioni. Perché Donjon era e rimane uno strano oggetto narrativo, arzigogolato e godibile, fantasioso e coi piedi per terra, seriale e anti-seriale. Un fumetto più unico che raro, dal quale varrà davvero la pena farsi accompagnare per un (bel) po’ di tempo.
La Fortezza vol. 1
di Joann Sfar, Lewis Trondheim e Boulet
Bao Publishing, luglio 2019
cartonato, 296 pp., colore
25,00 €
Leggi anche:
• Come inizia “La fortezza” di Sfar e Trondheim
• Sunday Page: Lewis Trondheim
• Joann Sfar e il rapporto con le donne, in due libri a fumetti
• Torna Blueberry, scritto da Joann Sfar e disegnato da Christophe Blain
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