Morti di sonno è un libro che ha segnato un capitolo importante per il fumetto d’autore contemporaneo italiano. Lo stesso capitolo che passa per Gipi, Igort o Davide Toffolo: la ritrovata volontà e capacità, da parte degli autori nostrani, di raccontare l’Italia, come notava Matteo Stefanelli descrivendo in Fumetto! 150 anni di storie italiane questa fase di «bisogno di territori, ovvero di radicamento e di identità» tipica degli anni zero.
Pubblicato dieci anni fa da Coconino Press, Morti di Sonno è un romanzo di formazione che racconta l’infanzia di un gruppo di ragazzini tra gli anni Settanta e Ottanta. Ritrae una comunità di provincia come fosse un mondo autonomo, relativamente isolato e distante dalle grandi trasformazioni sociali di quegli anni, e lo scorrere del tempo di alcuni bambini, immaturi e ancora goffi, che passano le giornate giocando a pallone, tra piccole e grandi sfide, misteri della preadolescenza, la televisione che punteggia le settimane con telegiornali e qualche film. Sulle loro vicende e passioni si stende l’ombra dello stabilimento petrolchimico Anic di Ravenna. Ed è un’ombra che rende lo scenario oscuro: i cieli sono matasse formate da una moltitudine forsennata di segni, la notte si confonde con il giorno, gli interni con gli esterni. L’inquinamento generato dallo stabilimento dispensa conseguenze nefaste sula salute degli abitanti, solo in parte consapevoli e perlopiù disarmati.
Con un tratto che pare prendere le mosse dall’esempio del Mattotti in bianco e nero, e che oggi potremmo avvicinare al Gipi di La terra dei figli, la penna e il pennello di Reviati tracciano figure con una sorprendente frenesia grafica. Eppure, per quanto di getto e nervoso, il suo segno riesce sempre a controllare la propria frenesia, creando figure spesso scavate, abbozzate, deformate eppure sempre credibili.
Quei ragazzini, quando giocano, sembrano esplodere di forza e di vitalità. L’energia dei loro corpi pare incontenibile. Reviati li osserva e li segue estremamente da vicino: molte inquadrature sono strette, tanto che il limite alto delle vignette finisce subito sopra le loro teste. Così facendo, gli adulti si vedono assai di rado. Viene da pensare alla lezione antica di certe strisce – pensiamo ai Peanuts – con quelle inquadrature centrate all’altezza dei giovani protagonisti, che lasciano poco spazio alla presenza di adulti nel campo visivo del lettore. Così, gli adulti per rientrare nell’inquadratura sembrano chinare il capo, esorbitanti rispetto al limite della vignetta ma anche fuori luogo rispetto alla forza cinetica che ‘agita’ il racconto.
Morti di sonno è dunque un racconto di e per ragazzi, che prende estremamente sul serio i ragazzi. Il loro mondo e le loro attività non sono meno importanti di quelli degli adulti, si svolgono semplicemente su un piano diverso, non meno importante di ciò che succede alla Anic. Reviati sceglie di mostrare ciò che per una generazione succede in parallelo alla vita degli adulti, o che succede prima che la vita vissuta nel mondo degli adulti diventi l’unica vita possibile.
Per i giovani protagonisti della storia il gioco è importante tanto quanto il lavoro per gli adulti. Ci vorrà un allarme lanciato dal grande complesso industriale per interrompere il gioco. Ovvero, per far precipitare i ragazzi nella vita adulta. Lo stabilimento «pare stia lì da secoli, ma non sono nemmeno vent’anni che l’hanno inaugurato». La fabbrica dà la vita – «si può dire che ci siamo nati in grembo, all’Anic» – ma può anche toglierla – «questo nostro paradiso ha un prezzo. La paura».
I bambini che vivono e giocano oggi attorno allo stabilimento Ilva di Taranto, forse, non sono molto diversi da quelli che giocavano vicino al petrolchimico di Ravenna. Sono passati dieci anni dall’uscita di Morti di sonno, ma il racconto di Reviati resta attuale. Perché fa buona memoria del passato ricordando gli effetti sociali degli errori politici e industriali, ma anche perché riattiva l’attenzione sulla dimensione umana di ciò che accade “dietro alle cronache” sull’inquinamento ambientale o le fragilità dello sviluppo industriale di certi territori italiani.
Dopo Morti di sonno Reviati ha osservato il silenzio per alcuni anni e infine è tornato con un libro ancora più denso, complesso e viscerale. Sputa tre volte (Coconino Press, 2016) ha in comune con il graphic novel precedente i luoghi del Nord-est, ma il tema è un altro: la convivenza sociale ai tempi del multiculturalismo. Il disegno si fa meno agitato, i segni meno scarni, le forme più gentili.
A partire da Morti di sonno, Reviati ha inserito il proprio lavoro in una tradizione narrativa italiana, quella del racconto della realtà rurale e popolare. Con il fumetto, Reviati è erede della tradizione del romanzo italiano che segue alle esperienze del Novecento di Federigo Tozzi, Cesare Pavese, Pier Paolo Pasolini. Come essi avevano raccontato l’Italia della provincia e soprattutto della campagna del primo Novecento, come nel cinema il Neorealismo aveva fotografato il Dopoguerra, Reviati riesce a elaborare una fiction che documenta una realtà successiva dello stesso secolo, con una passione viscerale simile forse solo a quella che si vede nelle immagini di Mimmo Jodice quando fotografava i bambini di Napoli. Quella da cui attingono le storie di Reviati è una frazione di Novecento non meno complessa dalla prima metà del secolo, ma forse non altrettanto rispecchiata dalla cultura narrativa.
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