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“Life in Hell”, la vita d’inferno di Matt Groening

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Life in Hell l’avevo già letto, senza saperlo. Uno dei miei primi acquisti relativi a I Simpson, da piccolo, è stata la Guida alla vita di Bart Simpson, un pezzo di merchandising bello e buono che molti di voi non avranno granché presente. Si tratta di un libro in cui vengono descritte le principali attività nella vita di Bart Simpson. Ogni pagina è condita da elenchi, schemi, domande su infanzia e adolescenza a cui risponde il primogenito Simpson, anticipando di anni la moda dei listacle. Ecco, quella guida non è altro che una versione un pelo più solare di Life in Hell, come a dimostrare che tutto quello che ha fatto il suo autore Matt Groening altro non è che una prosecuzione della striscia che lo ha reso famoso.

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Life in Hell nacque dalle ansie di Groening, quando alla fine degli anni Settanta si trasferì a Los Angeles accumulando una serie di lavori scadenti come tuttofare di un vecchio regista di serie B − che gli affidò i compiti di autista e ghostwriter della sua autobiografia.

Groening sfogò tutte le sue inquietudini in un fumetto autoprodotto che aveva come protagonisti il coniglio anaffettivo Binky, la sua ragazza Sheba, Bongo, figlio illegittimo di Binky, e la coppia di fratelli/amanti Akbar e Jeff, intenti a vivisezionare i rapporti amorosi, angosce sociali, politica e religione.

Life in Hell avrebbe trovato casa presso il Los Angeles Reader nel 1980 e da lì presto si diffuse nel resto della nazione. Il produttore James L. Brooks avrebbe poi contattato Groening per un ingaggio che si sarebbe trasformato nella serie tv simbolo di un’epoca, I Simpson.

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La striscia di Matt Groening non è tutta qui, contiene anche sequenze canoniche di dialogo, ma il grosso dell’opera sta nelle infinite variazioni di formule come “le parole proibite” (una serie di banalità e frasi retoriche), Bongo in castigo o beccato in qualche atto vandalico da Binky, la dissezione di aspetti della realtà tramite liste, grafici o freccette su un personaggio che ne indicavano difetti e idiosincrasie.

Life in Hell racchiude tutta la vita di Groening come consumatore di cultura. Cresciuto leggendo riviste come New Yorker, Esquire e Punch, quelle alternative e fumetti come Zio Paperone, Peanuts e gli altri presi in prestito dal fratello maggiore. Fu copiando Charlie Brown durante i pomeriggi di svago che l’autore aveva trovato il suo stile: labbro sporgente, nasone e occhi enormi posti sullo stesso lato della faccia.

Ad affascinarlo, in particolare, era la serie di Ronald Searle St. Trinian’s School, ambientata in un collegio femminile dove gli insegnanti sono aguzzini sadici e le alunne delinquenti in gonnella. La violenza e la cupezza di Searle furono di enorme ispirazione per Matt Groening.

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In Life in Hell una delle situazioni ricorrenti vede il coniglio Bongo chiuso in una stanza mentre da una piccola fessura delle generiche autorità lo monitorano, commentando le sue reazioni. «Il piccolo proprio non risponde all’amore» dicono dopo aver appeso nella stanza un cartoncino con sopra disegnato un cuore. Sono vignette che trattano quasi sempre l’abuso infantile e il potere autoritario, nonché «dei plagi di Ronald Searle», come commentò Groening nel documentario della BBC My Wasted Life.

L’umorismo di Groening si muove tra reaganismo, autoanalisi, consumo di cultura pop, arte moderna, pubblicità, televisione. Le sue strisce sono allo stesso tempo un prodotto di quegli anni eppure senza tempo. La sua voce è amara, sconfortante, triste (il sonnellino obbligatorio come paura più grande dell’infanzia) e cinica («La differenza tra “un trauma” e “niente di che”: un trama è quando succede a me. “Niente di che” è quando succede a te»).

Anche se non sembra, c’è molto di Life in Hell ne I Simpson e in Futurama. I temi e la scrittura delle prime stagioni dei due show hanno lo stesso sguardo disincantato, con le risorse e la disponibilità rappresentativa dell’animazione.

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Groening non è un grande disegnatore, il suo ventaglio è piuttosto limitato e in anni di strisce riuscì soltanto a smussare il tratto per arrivare a una rotondità à la Keith Haring. Però è un raffinato designer. Life in Hell gioca con il formato quadrato a tutta vignetta (mutuato dall’amica Lynda Barry), sulle simmetrie, gli spazi negativi, le ripetizioni, il caos di frecce ed elenchi; l’estetica minimalista mischia la grechina della maglietta di Charlie Brown, i cappelli fez, gli interni di case suburbane anni Cinquanta, le copertine delle riviste, i volantini, le pubblicità.

In una delle situazioni ricorrenti, Bongo è disegnato piccolissimo nella vastità di una cucina, intento a giustificare la sua marachella, sovrastato dall’ombra minacciosa di Binky. La battuta di Bongo cambia ogni volta ma, ogni volta, si scontra con l’inquietudine dello spazio vuoto, del pavimento a mattonelle e della figura del padre.

Il grande libro dell’inferno è la riproposizione fedele di The Big Book of Hell, l’ottava antologia delle migliori strisce di Life in Hell degli anni Ottanta e Novanta. Coconino Press lo porta in Italia per la prima volta, dopo le apparizioni sparse su Linus. Per (ri)tradurre la striscia, l’editore ha scelto Francesco Pacifico, romanziere e già adattatore di fumetti complicatissimi dal punto di vista linguistico (Jimmy Corrigan, Asteryos Polyp).

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Pacifico traduce nel modo più indolore possibile i riferimenti culturali di Groening (il Gong Show diventa La corrida, l’appellativo “Goodtime Charleena” per una fidanzata fuori controllo si trasforma in “giannaburrasca”), macchiando tuttavia il testo di espressioni dal sapore romanesco (“fregnacce”, “amò”, “pula”, un anacronistico e molto circoscritto “polemichette”); in alcuni casi queste scelte non trovano corrispondenza in un qualche slang usato da Groening, per motteggiare le mode di L.A., i suoi vezzi e la scialba californialità.

Di Life in Hell esistono circa 1.700 strisce, raccolte in maniera lacunosa in una quindicina di raccolte. Non esiste, a oggi, una raccolta completa e Groening non sembra fremere all’idea di catalogare tutta la sua opera dall’inizio alla fine. Una piccola contraddizione per un autore che ha fatto del merchandising un elemento importante nella scalata al successo e che poi non si è mai tirato indietro di fronte alle opportunità di commercializzare il proprio lavoro. Forse è il suo tentativo per non soffocare lo spirito libero e caotico della sua opera più intima. Se non altro, con Il grande libro dell’inferno si può afferrare un pezzetto di quello spirito.

Il grande libro dell’Inferno
di Matt Groening
traduzione di Francesco Pacifico
Coconino Press, aprile 2019
cartonato, 176 pp., bianco e nero
20,00 €

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