Una meteora grande due volte il Texas che si schianterà sulla terra in poco più di un anno, ovvero in occasione dell’albo numero 400, e che distruggerà la vita come la conosciamo. Potrebbe essere una baracconata fra le tante, oppure, per uno come me – fedelissimo appassionato da adolescente, lettore sporadico in età adulta – potrebbe essere la scintilla in grado di spingermi a trovare nuova curiosità per seguire, come un tempo, Dylan Dog.
«Ottima mossa», ho subito pensato, d’istinto. Sono un ex-fan fedele, ma non per questo conservatore: distruggere, cambiare tutto, ripartire mi intriga sempre, e i reboot non mi fanno paura (a patto di non toccarmi sul vivo: Astérix spero rimanga sempre là dov’è; per Paperino, Avengers o persino Spirou non mi faccio problemi). Una mossa tutta farina del sacco del curatore della serie Roberto Recchioni, con l’obiettivo di rivitalizzare il personaggio: una saga che sviluppi una trama orizzontale, che porti in pompa magna all’anniversario e a uno di quei cambiamenti epocali da fumetto statunitense che in Bonelli non ci sono (quasi) mai stati.
La corsa è iniziata a novembre con il numero 387, Che regni il caos, pubblicato in anteprima per Lucca Comics & Games con cover variant lenticolare. Mentre scrivo deve uscire il 395 e abbiamo ormai superato la metà della saga. È quindi tempo di un primo bilancio. Self-spoiler: mi sa che è presto per scommettere sul mio ritorno alla lettura fedele.
Il primo numero del ciclo non è partito male. La storia di Recchioni è una buona introduzione, sorretta bene dai disegni di Leomacs per una prima parte supersplatter, grottesca, caricaturale, umoristica ed esagerata, che si inserisce perfettamente in quel filone dell’Old Boy che da Gli uccisori passa per I conigli rosa uccidono e Golconda, solo per citare tre delle migliori storie della testata.
La seconda metà dell’albo introduce il tema della meteora, portatrice di caos, e di John Ghost, l’ormai non più nuovo antagonista di Dylan che ha un piano per salvare il mondo. Per farlo ha bisogno che sulla Terra non si scatenino disordini, o quantomeno che la popolazione non vada (troppo) nel panico. Ha bisogno, per questo, della sua nemesi: Dylan Dog. Ne farà un idolo, un modello da seguire. Grazie a una app la gente potrà immedesimarsi in lui e andare a combattere i mostri in vere ronde spontanee. In questa porzione di albo i disegni sono di Marco Nizzoli: più rassicuranti di quelli di Leomacs, sono chiari ed espressivi quanto necessari in una parte di storia meno movimentata e più riflessiva.
Coordinare il caos
Nel secondo numero, Dylan Dog n. 388, Esercizio n° 6 di Paola Barbato e Giovanni Freghieri, si affaccia qualche problema. La prima impressione è che fosse una sceneggiatura già pronta, inserita poi a colpi di martello, editorialmente parlando, nel Ciclo della Meteora. Il disastro imminente viene citato di sfuggita, potrebbe non esserci nessun bolide spaziale diretto contro il nostro pianeta e la storia filerebbe perfettamente. Certo, nei dialoghi emerge che i poteri dei ragazzini protagonisti sono stati amplificati dalla vicinanza della cometa: sostituendo “vicinanza della cometa” con “antibiotici nella carne”, “inquinamento nell’aria”, “citazioni degli anni Ottanta nella cultura popolare” non sarebbe cambiato nulla.
A ben vedere, era il presagio di uno dei difetti principali, a oggi, della saga. Gli otto albi usciti finora hanno ciascuno una propria trama verticale autonoma, e i collegamenti tra gli episodi sono quindi limitati a poche pagine. Sacrosanto, per un fumetto popolare che ha spesso avuto la sua forza nei lettori casuali.
Purtroppo però, come nel caso appena citato, l’inserimento di molte storie nel ciclo rischia di suonare posticcio, come se le sceneggiature fossero già pronte e, dunque, nate per “fare saga” solo grazie ad adattamenti a posteriori. Basti vedere Casca il mondo, il n. 393 firmato da Barbara Baraldi e Bruno Brindisi, che sarebbe potuto uscire in qualsiasi dei 33 anni di vita editoriale della serie, se si escludono le quattro pagine iniziali “di raccordo” con la Meteora, ininfluenti sugli eventi raccontati.
Tra gli effetti di questa (apparente?) scarsa progettazione a monte, l’elemento finora più interessante, introdotto nel primo episodio, viene praticamente abbandonato strada facendo. John Ghost ha creato una app che le persone utilizzano per organizzare vere e proprie cacce ai mostri, e le strade sono quindi invase da bande di vigilantes che idolatrano Dylan, convinti che ammazzare i diversi e fare giustizia sommaria dei criminali sia la cosa giusta da fare.
Come da tradizione della testata, Recchioni porta alle estreme conseguenze un tema attuale, di segno politico, deformandolo sotto la lente del fumetto horror, che lo rende al tempo stesso ancora più terribile e ancora più grottesco. Eppure questa premessa, dopo l’albo n. 387, viene tralasciata quasi completamente. Non sappiamo se sarà ripresa più avanti, possiamo solo sperarlo. Richiamarla un paio di volte di più avrebbe aiutato, e dato al corpus della saga una coerenza maggiore di quella data da qualche fugace riferimento.
Non è semplice coordinare uno staff nutrito come quello di Dylan Dog, con tanti autori, tante teste e tempi di produzione lunghi. E immagino anche che in via Buonarroti, come in casa Disney, Marvel o presso tutti i grandi editori di serialità, le storie già pronte o semi-pronte in magazzino non manchino. Più che legittimo usarle, magari trasformandole in qualcos’altro, adattandole a una saga più grande o addirittura a una nuova serie. Una questione di organizzazione della produzione e di economie, avendole anche già pagate.
Il “riciclo” in editoria seriale è sano e naturale e, se alcune storie della saga della Meteora siano riciclate, in toto o in parte, ci interessa il giusto. La sensazione, però, è quella: storie pre-cotte, unite e cucinate redazionalmente per trasformarle in altro. Ed è un peccato che questa sensazione arrivi ai lettori appassionati, perché in questo caso – una prima volta editoriale importante, e una premessa promettente – il sapore di polpettone indebolisce il potenziale dell’operazione.
Tra stelle e stalle
La qualità di questo Ciclo della Meteora, insomma, oscilla parecchio. Alcune storie sono intriganti, altre hanno spunti interessanti ma peccano nello svolgimento, altre proprio non girano. Ma andiamo con ordine.
Tra le migliori, come si diceva, c’è la prima, Che regni il caos, che diverte dove deve divertire, spiega dove deve spiegare e fa il suo dovere di introduzione. Anche l’ultima letta finora, Eterne stagioni di Paola Barbato e Marco Nizzoli, è una buona storia, che finalmente ha davvero al centro gli effetti della Meteora, oltre a iniziare con un inaspettato colpo di scena che – stavolta davvero – potrebbe rivoluzionare completamente la serie. Questo è quello che, come lettore, avrei voluto da subito dal ciclo.
In fondo a una ideale classifica, invece, c’è Esercizio n° 6. Tutte le altre stanno in qualche modo nel mezzo: sono storie ordinarie di Dylan Dog, con spunti qua e là interessanti. Ma anche quelle con un potenziale maggiore, purtroppo, sembrano segnate da una generale debolezza nella scrittura: vuoi per la fretta, o per la necessità di compattare le trame in meno delle canoniche 96 pagine (e inserire così qualche raccordo alla Meteora), o per una complessiva scarsa ispirazione.
Penso a Dylan Dog 391, Il sangue della terra, testi di Paola Barbato e disegni di Werther dell’Edera. Un magnate russo ha rinchiuso la moglie, una strega immortale, in una villa di campagna ed è scappato sul suo satellite artificiale per sfuggire alla meteora. Quando però scopre che la moglie è parzialmente libera, manda una serie di ammazzamostri, tra cui Dylan, a eliminarla. Interessante, ma…
Lo svolgimento si rivela sciatto. Ad esempio, nella prima tavola due tizi attraversano a piedi un pantano diretti alla magione, che svetta all’orizzonte. A separarli dalla meta, stando ai disegni, sembrano esserci un paio di chilometri al massimo (a meno che la casa non sia alta cento metri). «Tagliando di qui guadagniamo almeno sei ore di cammino» dice uno dei due. Com’è possibile che impieghino tutto quel tempo? Nella costruzione della scena e nel calcolo delle distanze è saltato qualcosa. Peraltro, quando più tardi Dylan Dog arriva alla casa, lo fa dalla stessa direzione dei due, senza però attraversare una palude ma lungo una comoda strada che porta al cancello principale. O i due sono masochisti, o qualcuno non ha badato a una location coerente in cui far muovere i personaggi.
Altro esempio. Il nostro scopre che a liberare la strega è stato un terremoto. «Ultimamente si sono fatti frequenti in tutto il mondo… – ci dicono i suoi pensieri – …secondo alcuni, la terra starebbe tremando a causa dell’avvicinarsi della meteora», spiegazione antiscientifica ma coerente con quel che sembra essere la meteora.
Viene tuttavia da chiedersi: perché la sceneggiatura non ha inserito l’argomento prima? Perché non ha mostrato in qualche vignetta una di queste scosse, non ne ha fatto cenno in un dialogo tra Dylan e Groucho o non ne ha fatto vedere le conseguenze in un telegiornale? So che si preferisce evitare l’effetto “Chiodo di Cechov”, però un po’ di preparazione in più per quello sviluppo avrebbe giovato: sarebbe sembrata meno una ‘pezza’ per trovare una soluzione a qualcosa che non si era pensato.
Terzo caso, ancora più strampalato dei primi due perché mina una delle caratteristiche che l’Old Boy ha sempre avuto: il suo scetticismo. Quando il magnate russo lo chiama per assumerlo, Dylan non si pone nessun dubbio sulla veridicità di quello che gli sta venendo raccontato. Per lui è pacifico, normale, che una strega russa abiti in una villa nella campagna inglese. Peccato che fra i tratti che Tiziano Sclavi ha dato al suo personaggio c’era un’incredulità di fondo, che lo portava a dubitare dei racconti impossibili dei suoi clienti nonostante avesse visto di tutto, zombi, demoni, fantasmi, robot, vampiri…
Addirittura due episodi memorabili, come Storia di un povero diavolo di Luigi Mignacco e Montanari & Grassani e Requiem per un mostro della stessa Barbato e di Giampiero Casertano, avevano nello scetticismo di fondo di Dylan il loro punto di forza, spiazzando più volte protagonista e lettori in un balletto tra realtà e fantasia, tra soprannaturale e razionale.
In questa storia della Barbato – ma in realtà anche in altre del ciclo e non solo – tutto questo non c’è. Ancora una volta prevale una via semplice, per cui l’Indagatore dell’Incubo accetta passivamente di essere di fronte a qualcosa di ultraterreno.
La forza nei disegni
Per fortuna molte storie sono salvate dai disegnatori. Dylan Dog è spesso, ancora oggi, un fumetto piacevole da leggere innanzitutto per i disegni: veterani come Freghieri, Casertano, Piccatto, Brindisi portano a casa un buon risultato lavorando di mestiere. Werther Dell’Edera regala qualche trovata di regia originale che movimenta il giusto il suo episodio, mentre Leomacs sorprende con il suo gusto per lo splatter.
Infine Marco Nizzoli, forse la matita&china migliore del ciclo, è efficace in entrambi i due albi che realizza, in particolare in Eterne stagioni, dove passa con disinvoltura da toni più romantici ad altri più concitati, dando al clima e all’atmosfera tutta l’attenzione che l’albo richiede.
Nota di merito, in chiusura, per Gigi Cavenago. Sebbene non tutti condividano la mia visione, ritengo che il copertinista abbia ormai trovato la sua strada, dopo le prime prove poco a fuoco. Le sue immagini sono efficaci, raccontano una storia e hanno la forza comunicativa di cui un prodotto da edicola ha bisogno. Ha imparato a coniugare questa chiarezza con l’originalità e la ricchezza della composizione.
Meteora contro marziani
Rimanendo in casa Bonelli, viene naturale confrontare la “Meteora” con la “Guerra dei Mondi”, saga di Nathan Never durata oltre un anno, dal n. 239 di aprile 2011 al n. 253 del giugno 2012, ma le cui premesse erano state poste già negli anni precedenti. In quel caso il coordinamento di ferro di Antonio Serra e un tour de force del team creativo – sceneggiatori, disegnatori, redattori – aveva generato un risultato impeccabile: un’unica storia compatta, di buona qualità, punto di svolta del personaggio e momento memorabile nella sua carriera editoriale.
Il Ciclo della Meteora non aveva le stesse ambizioni, forse. Come scrivevo più sopra, Dylan Dog è una serie che, storicamente, si è spesso rivolta a un pubblico più disattento o sporadico, quel lettore casuale – “da edicola della stazione”, diciamo – che faticherebbe a seguire una trama troppo orizzontale, che si dipana su più numeri. Senza arrivare quindi a quanto fatto per Nathan Never, però, mi sarei aspettato qualcosa di più dalla “saga che cambierà il mondo di Dylan Dog”, nella progettazione e nel coordinamento di un ciclo che lo fosse di nome e di fatto.
Ormai è luglio 2019, siamo a metà del guado, e il mio io ex-lettore fedele incrocia le dita perché la serie riesca a legare tra loro tutti i fili, in modo efficace e stimolante, nei sei albi rimanenti. Intanto restiamo qui e aspettiamo, insieme a Dylan Dog, che il cielo ci caschi sulla testa.
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