Un po’ delirante spy-story sparsa per mezzo mondo, un po’ noir dai toni vagamente farseschi, un po’ Paura e disgusto a Las Vegas in chiave mutante, con tanto di stile grafico che non ha nulla da invidiare ai deliri di Ralph Steadman.
Definire in maniera chiara Havok & Wolverine: Fusione è un’impresa almeno quanto lo è non perdersi nei suoi repentini cambi d’umore, nella sua esasperata ricerca grafica e nel suo amore per l’eccesso e il grottesco. Quando pensi a una storia scritta a quattro mani da moglie e marito e messa su carta da due raffinati pittori non pensi certo a un tale garbuglio.
E invece succede che dagli sconfinati archivi Marvel saltino fuori perle come queste, riproposte per lo più al pubblico in un formato da feticismo cartaceo mica da ridere (l’edizione Panini è formato gigante, con una sovracopertina stilosissima che si trasforma in un enorme poster).
L’introduzione della storia è pura speculazione da Guerra Fredda, con le immancabili cospirazioni di rito e lo spettro della minaccia nucleare a gettare una sinistra ombra sul panorama geopolitico mondiale. Il preambolo è affascinante, ma si trascina per qualche pagina di troppo. Poi la storia parte a mille all’ora, con la strana coppia formata da Wolverine e Havok a zonzo per il Messico, tra bettole di quarta categoria, birre annacquate, luoghi comuni e risse da spaghetti western.
Da lì in avanti sarà un delirio, dove il confine tra menzogna e realtà sarà sempre più labile. Qualcuno morirà per tornare tra i vivi solo per concludere i compiti lasciati a metà, qualcun altro perderà la lucidità ma troverà l’amore. E intanto un piano malvagio di una follia senza pari si staglierà sul destino dei nostri due anti-eroi.
La finzione si fa protagonista e tutto pare essere una citazione di un qualche film mai girato, come se non ci fosse nulla di davvero autentico nelle righe della sceneggiatura. Non si capisce dove l’incedere teatrale sia solo quello interno alla storia – si veda tutto il ginepraio di inganni messo in piedi dai cattivi di turno – o sia proprio la spina dorsale di tutta la scrittura dei Simonson.
Come se la sceneggiatura non fosse già abbastanza sfocata di per sé, i due scrittori ci mettono infatti del loro scrivendo dialoghi sempre sopra le righe e imbastendo per gli sventurati protagonisti di questa miniserie il più classico degli ottovolanti emotivi. Come in un hard-boiled in bianco e nero anche in questo caso le passioni sono assolute e pare di potersi muovere solo tra promesse indissolubili, amori travolgenti e pura malvagità.
Alle matite trovano posto Kent Williams e Jon J. Muth, due ottimi esponenti del fumetto pittorico chiamati a lavorare contemporaneamente sulla stessa tavola. Il primo occupandosi di Wolverine e privilegiando soluzioni più sporche e graffianti, il secondo dando vita a un Havok nebuloso e privo di linee di demarcazione precise e nette.
La scelta si sposa perfettamente con il momento psicologico dei due protagonisti – Alex Summers usciva in quel momento da un ciclo di storie piuttosto duro, che lo aveva provato a fondo – e gioca ulteriormente con il ribaltamento di prospettiva di tutta la storia. Ognuno dei due X-Men vede il mondo in un modo completamente diverso, sostituendo il reale con il proprio punto di vista sfalsato e mettendo in gioco un ulteriore livello di mistificazione e confusione.
Havok e Wolverine: Fusione
di Walter e Luise Simonson, Kent Williams e Jon J. Muth
traduzione di Claudia Baglini
Panini Comics, dicembre 2018
cartonato, 208 pp., colore
30,00 €