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“Ariston”, un graphic novel che racconta le donne

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Ariston, graphic novel di Luca De Santis e Sara Colaone pubblicato a fine 2018 da Oblomov, sembra quasi una ‘trappola’. Inizialmente blandisce il lettore con le sue atmosfere nostalgiche, facendo tornare la mente alle vacanze di un tempo e a momenti del passato che non torneranno più. In realtà, man mano che si entra nella storia, ci si accorge di come sotto quella patina di nostalgia si nasconda molto più.

ariston de santis colaone oblomov

Ariston è infatti una riflessione sul ruolo della donna all’interno della società italiana nel corso dei decenni, raccontata attraverso le vite in particolare di tre personaggi: Renata, che gestisce malvolentieri un albergo ricevuto in eredità dal padre; Roberta, emancipata frequentrice dell’Ariston; la Contessa, la più anziana – e la più serena – delle tre.

Per racontare in modo più approfondito Ariston e le sue tematiche, abbiamo rivolto alcune domande ai due autori del libro, qui alla loro nuova collaborazione dopo In Italia sono tutti maschi (Kappa Edizioni, 2008), vincitore nel 2009 del Premio Micheluzzi del Comicon di Napoli come Miglior fumetto italiano, e Leda (Coconino Press, 2016).

In Ariston c’è, almeno in apparenza, una forte atmosfera nostalgica. È da un sentimento del genere che nasce la vostra storia? O da cos’altro?

De Santis: La nostalgia non è altro che una riflessione sul tempo e del nostro ruolo in esso. In quest’ottica Ariston parla del bisogno che è più attuale che mai di trovare il proprio posto nel mondo e in primis nella propria vita. Quale luogo migliore di un albergo, con le sue stagioni e il ritornare delle famiglie anno dopo anno, come si faceva allora, per allestire un palcoscenico sulle riflessioni agrodolci del tempo? Non è un caso che i tre registi ispiratori dei tre atti del libro – Valerio Zurlini, Federico Fellini e Michelangelo Antonioni – abbiano trattato nei loro film questo tema.

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Ariston racconta la figura della donna all’interno della nostra società durante i decenni. Nella postfazione di Francesco Satta leggiamo in proposito che «[…] molta strada è stata percorsa sul cammino delle libertà. Molta ne resta da fare». Dove pensate allora che il vostro libro si collochi all’interno di questo cammino, sempre da un punto di vista metaforico?

De Santis: Molto ancorato all’attualità. Stiamo vivendo un periodo storico in cui c’è un forte revanscismo sui temi legati alla donna, penso all’orribile DDL Pillon o alle mozioni Pro-Vita che vengono discusse nei Comuni italiani. Per fortuna c’è però un femminismo di terza ondata, felice, inclusivo, trasversale, giovane, preparato e con mezzi tecnologici, pronto a contrastarlo. In questo panorama, il messaggio del libro voleva essere chiaro: non occorre essere nelle prime fila, l’autodeterminazione è questione quotidiana.

Colaone: Per certi aspetti questo femminismo di terza ondata è vicino al fulcro più autentico del femminismo tout court, per il quale è necessario dissociarsi dalla cultura del piagnisteo, tanto cara a diversi pensieri di fazioni opposte. Nel nostro Ariston, la protagonista Renata non spende nemmeno una vignetta a commiserarsi. La sua è tutta una sofferta lotta interiore alla ricerca di se stessa.

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«Il privato è politico», recitava un celebre slogan degli anni Settanta. Considerate Ariston un libro politico, nel suo voler raccontare l’emancipazione femminile attraverso una piccola vicenda privata?

De Santis: È un libro fortemente politico perché l’attualità lo impone. Negli incontri che facciamo di presentazione del libro e sulle pagine dei social network ci sono sempre ragazze che raccontano storie incredibili sulle loro nonne, storie di resistenza e di emancipazione. Quella generazione sta però scomparendo e forse dovremmo iniziare a interrogarci su quali sono i nuovi modelli da proporre alle ragazze e ai ragazzi di domani. Per farla breve, oggi i modelli da seguire li abbiamo in casa, ma domani?

Colaone: È un libro politico anche nella forma, perché il modo in cui abbiamo deciso di raccontare queste storie vuole aggirare le formule classiche, seppur antitetiche, della protesta urlata e del rispetto dovuto al monumento. Abbiamo voluto cercare un’altra strada possibile per ragionare intorno al tema del modello politico, dove il lavoro sull’immagine è parte integrante dei contenuti.

Come sono nate Renata, Roberta e le altre protagoniste del libro? Sono ispirate a persone realmente esistite o a personaggi di altre opere?

De Santis: Le tre protagoniste sono in tre momenti diversi del loro percorso di crescita: Renata costretta in un ruolo imposto, Roberta confusa sui propri desideri e la Contessa invece, la più anziana, è la più serena e realizzata. Sarebbe stato semplice raccontare una storia di emancipazione partendo da una protagonista eroica e partigiana che riesce nel suo riscatto, ma l’intenzione era quella di parlare di donne comuni, per di più agiate e della media borghesia che di primo acchito sembrano avere tutto: sono protagoniste imparentate strettamente con Nora di Casa di Bambola di Ibsen o con Roberta de La bella di Lodi di Arbasino.

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Sara, dopo alcuni libri biografici come Ciao ciao bambina e Leda sei tornata alla fiction. Che tipo di differenze ci sono nel tuo approccio alla storia, quando si tratta di parlare di fatti realmente accaduti, rispetto a quando c’è da inventarli?

Colaone: Dal mio punto di vista tutti i personaggi sono inventati, sia quelli che appartengono alla fiction che alla non-fiction. L’operazione che fa un autore è quello di reinventare il personaggio, costruendone graficamente le caratteristiche per appropriarsi di quella figura e di quella psicologia, e cogliendo così degli elementi profondi della connessione fra azione e forma. Senza questa operazione di appropriazione e di stravolgimento, la storia – che è tutt’uno col personaggio – non funziona.

In contemporanea sei passata dal bianco e nero di Leda al colore, con delle tinte pastellate che restituiscono molto bene il senso nostalgico della storia a cui accennavamo prima. Come è avvenuta la scelta dei colori da utilizzare?

Colaone: Ogni storia richiede una riflessione sullo stile grafico, così è stato anche per Ariston. Il colore scelto qui ha una funzione narrativa: mi ha permesso di portare i lettori dagli innocui toni pastello – integrati nel concetto di “passato” – dell’inizio della storia ai toni più acidi e disturbanti della parte centrale, creando un crescendo di tensione che arriva alle ultime tavole, dove togliamo tutto, tranne la matita e il blu della piscina all’alba. Questa è la mia idea di funzione del colore, dove la nostalgia è solo il primo strato della pelle del libro.

Leggi anche: Nello studio di Sara Colaone

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