Negli ultimi due anni gli editori italiani cominciato a nutrire un sincero interesse nei confronti del fumetto cinese. Anni fa Canicola aveva avuto l’ardire di portare in Italia opere di alcuni autori della scena underground cinese con un’antologica che a distanza di più di un ventennio riprendeva il discorso inaugurato a metà anni Settanta da Eco, Chesneaux e Nebiolo con un atipico volume pubblicato dall’editore Laterza intitolato I fumetti di Mao.
Tra i fumetti di regime antologizzati in quella sede e la proposta recente vi è un abisso: se in pieno comunismo, la letteratura illetterata era uno strumento in mano al Politburo per divulgare il pensiero del quattro volte grande Mao Ze Dong e quindi per istruire facilmente le masse di contadini analfabeti all’ideologia comunista, negli anni Dieci del nuovo millennio, con autori nati e cresciuti nel pieno degli anni Ottanta, il fumetto è uno strumento che ormai si è smarcato dalle finalità didattiche, ma non sicuramente da quelle politiche come lo dimostra il capolavoro di Li Kunwu, Una vita cinese, pubblicato in Italia dall’editore torinese add.
Ma, se Una Vita Cinese è ancora ammantato dal fascino della rivoluzione culturale e risente dei postumi dei fatti di piazza Tienanmen, conservando il rigore e la ritrosia tipica di chi è cresciuto negli anni di Mao, le opere di un’autrice più giovane come Zao Dao, invece, ammiccano all’Occidente, pur conservando un forte sapore esotico, anzi giocando su un delicato crinale, che innerva la tradizione buddista con la contemporaneità digitale.
Zao Dao contrappone una fantasmagoria che sembra venir fuori dalla cinematografia di Zhang Yimou e che non nasconde il debito nei confronti di Dai Dunbang. Alla semplicità dei lianhuanhua (libri illustrati nati in Cina a cavallo tra Diciannovesimo e Ventesimo secolo), Zao Dao preferisce uno stile duttile, che pur radicandosi nella tradizione si diparte con felicità verso molteplici soluzioni visive.
Tra il 2017 e il 2018 Oblomov aveva introdotto il pubblico italiano all’opera della giovane fumettista cinese con due volumi che lambivano quasi accidentalmente il fumetto, la cui preziosità risiedeva nella maestria della giovane illustratrice. Bao Publishing ha, invece, scelto un titolo come Vagabondaggi, una raccolta di racconti d’occasione che recuperano alcuni temi legati all’infanzia: piccole schegge di un’autobiografia incompiuta e suggestioni legate al folklore. È la stessa autrice ad avvisarci che ci troviamo davanti a dei divertissement, semplici contrattempi, distrazioni per l’appunto.
La prima sezione, Storie della mia infanzia, raccoglie proprio ricordi dell’infanzia. Sono minuscoli frammenti di una storia senza tempo. Zao Dao è poco più che trentenne, eppure ci troviamo ad anni luce da quello che hanno vissuto i suoi coetanei nati a Occidente: i pomeriggi illuminati dai tubi catodici, i rumori del traffico cittadino e le preoccupazioni dettate da una società dei consumi sempre più pervasiva. Le preoccupazioni dell’età scolare, però, restano costanti: la leggerezza con cui la piccola Zao attraverso le difficoltà della vita nelle provincia cinese degli anni Ottanta regala al tutto un non so che di onirico.
In questi episodi fa capolino il gusto per la leggenda e per la narrazione orale tramandata, trasfigurati dall’autrice in fantasie infantili che trovano la loro dimensione migliore nella seconda sezione che raccoglie episodi più o meno lunghi ispirati al folklore cinese. Il tema del cibo appare più volte, sottolineando così una persiste preoccupazione, un timore quasi atavico per il popolo cinese.
La capacità di Zao Dao di trasfigurare miti e leggende e innervarli in un vissuto concreto trova un correlato nella capacità di utilizzare più stili, piegando il segno e modulandolo a seconda dell’occasione. Non stupisce come in pochissimo tempo, dopo aver abbandonato gli studi accademici, l’autrice sia stata in grado di costruirsi una solida reputazione tramite il passaparola.
Tuttavia, persiste un gusto oleografico, mellifluo e innocuo: l’immagine della Cina restituita ha un sapore esotico, ormai paradossalmente estraneo anche ai giovani cinesi. Zao Dao usa la tradizione come un serbatoio di idee per creare una regione atemporale, un interregno dove l’estetizzazione del fantastico diventa una forma di escapismo.
Vagabondaggi è un’opera fatta di scarti e di rigurgiti esistenziali estemporanei, troppo esili per ambire alla narrazione romanzesca. Eppure forse questa dimensione minima, infantile e favolistica rappresenta – con alcuni evidenti limiti – una strada possibile: un ritorno del fumetto alle sue origini, alla capacità di immaginare e conservare mondi, così da crescere nuove generazioni di lettori.
Vagabondaggi
di Zao Dao
traduzione di Elisabetta Bellizio
Bao Publishing, settembre 2018
Brossurato, 192 pp., colore
18,00 €