In 90 anni di carriera, Topolino è stato protagonista di storie di tutti i generi. Gialli e thriller, quelli per cui è più noto; avventure esotiche e di spionaggio; saghe di fantascienza e vicende quotidiane, drammi in costume e commedie demenziali. Non poteva mancare ovviamente il fantasy, con serie di grande successo come Wizards of Mickey, che ha generato anche un gioco di carte collezionabili, e soprattutto la quadrilogia dell’Argaar, o Saga della Spada di Ghiaccio, uno dei capolavori a fumetti con protagonista Mickey Mouse.
Alla vigilia di Natale, nel giardino di Topolino appare dal nulla uno strano tizio, basso e con il nasone, trasportato da un ampio piatto (in realtà un vettore dimensionale che sembra un grosso sottovaso). Si chiama Boz e proviene da Ululand, dalla terra dell’Argaar, un mondo fantastico che vive sotto la tirannia del terribile Principe delle Nebbie. Ha attraversato le dimensioni alla ricerca del leggendario eroe Alf, che già una volta sconfisse il malvagio. Topolino e Pippo viaggiano con lui fino al suo villaggio e si incaricano della missione: Pippo, spacciato per il cugino di Alf, recupererà la Spada di Ghiaccio, l’unico artefatto che possa distruggere il Principe.
Da qui prende le mosse Topolino e la Spada di Ghiaccio, primo episodio della serie. L’autore di testi e disegni è Massimo De Vita, che con queste storie raggiunse uno dei picchi della sua carriera. Da una parte, infatti, creò un intero nuovo mondo per ambientare la saga, introducendo molti nuovi personaggi. Fu un caso rarissimo nel fumetto disneyano, che utilizzava di norma sempre lo stesso cast ridotto, sia per le storie ambientate a Topolinia o Paperopoli sia per le parodie. Il disegnatore milanese, per la sua saga ambientata in un universo parallelo, inventò il popolo degli Uli, il mago/scienziato Yor e il ranger Gunni Helm, oltre a creature, popoli e razze tipicamente fantasy, dagli elfi ai giganti ai troll.
Dall’altra parte disegnò, in stato di grazia, alcune tavole che sono ancora oggi delle pietre miliari per il fumetto disneyano, una su tutte quella su cui si è concentrato Roberto Gagnor in una nostra Sunday Page, che mostra Mickey cadere in un buco nella pagina e comparire sul retro. De Vita, che collaborava con Topolino da 23 anni, prima come inchiostratore e dal 1963 come disegnatore completo, aveva ormai raggiunto la maturità artistica e incarnava, ancor più di Giorgio Cavazzano, lo stile del settimanale. Il suo segno pulito ma dettagliato, il suo modo unico di rendere le ombre e l’espressività che era in grado di conferire alla recitazione dei suoi personaggi restano impressi nella mente di tutti i lettori.
Alla fine della prima avventura, ovviamente, il Principe delle Nebbie fu sconfitto, ma la sua ombra e nuove minacce avrebbero coperto le terre dell’Argaar e i due eroi sarebbero stati richiamati altre tre volte da Yor e Boz. I primi tre episodi – Topolino e la Spada di Ghiaccio, Topolino e il Torneo dell’Argaar e Topolino e il ritorno del “Principe delle Nebbie – furono pubblicati a puntate sul settimanale Topolino nel periodo natalizio tra il 1982 e il 1984. La quarta storia, Topolino e la bella addormentata nel cosmo, ai cui testi collaborò lo sceneggiatore Fabio Michelini, è invece dell’inizio del 1993.
Pubblicata più volte in volume a partire dal 1989 fino alle ultime recenti ristampe di Panini e Giunti, è stata oggetto anche di una parodia, Topolino e la Spada di Ghiacciolo, realizzata da Sio e Silvia Ziche nel 2016, la prima parodia Disney di una storia Disney.
Come molte delle migliori storie fantasy – George Lucas ne sa qualcosa – la quadrilogia pescava a piene mani da influenze diverse, cinematografiche, fumettistiche e letterarie, plasmandole in un opera nuova e originale. Non si trattava di semplici citazioni, men che meno di strizzate d’occhio, ma sempre di elementi che De Vita integrava nella sua narrazione e faceva completamente propri.
Nonostante sulla Spada di Ghiaccio siano stati scritti numerosi articoli, l’indagine delle fonti è sempre rimasta superficiale, preferendo indagare alcuni aspetti formali molto innovativi per il fumetto Disney: gli autori, soprattutto nel terzo e nel quarto episodio, inserirono infatti molti momenti di metanarrazione, come quando Pippo infrange la quarta parete rivolgendosi direttamente al suo autore, o la già citata “pagina bianca”.
In realtà, anche la commistione di suggestioni esterne al fumetto disneyano fu una novità per Topolino. La stragrande maggioranza delle avventure di topi e paperi prima degli anni Ottanta non guardava al di fuori del proprio universo narrativo, o al massimo prendeva spunto da singole opere o leggende, se si escludevano alcuni capolavori della produzione di Romano Scarpa.
Un discorso simile vale per le Grandi Parodie, che si basavano sempre su una sola opera, libro o film. La Spada di Ghiaccio non rientrava in questo filone, non era la parodia di una singola opera, ma si poneva come un oggetto estraneo alla tradizione di allora del settimanale. Anche per questo è interessante indagare gli elementi esterni che confluirono all’interno della storia.
Una spruzzata di bédé
Il primo livello di rimandi nella saga è quello visivo, a partire dal design degli abitanti dell’Argaar, che non sono animali antropomorfi come gli abitanti del “normale” mondo disneyano. La dimensione della Spada di Ghiaccio è abitata infatti da varie creature, la maggior parte delle quali dalle fattezze umane. Yor, Gunni Helm e la regina dello Hel non sono disegnati con il tipico tartufo e le orecchie da cane ma come uomini veri e propri, con nasi e orecchie umane. Unica eccezione la fanno gli Uli, il cui tartufo sembra però frutto più di una correzione o ripensamento del loro design: pare infatti che sia stata una scelta redazionale quella di annerire la punta dei loro nasoni.
Per rappresentare questi popoli Massimo De Vita utilizzò uno stile di disegno simile a quello dei fumetti francesi della Scuola di Marcinelle (Franquin, Morris) e soprattutto di Uderzo. È chiarissimo il rimando agli altri abitanti del villaggio di Asterix nella popolazione di Ululand: il piccolo Boz racchiude in sé i tratti di Asterix e Obelix, il saggio Yor assomiglia a Panoramix, così come il re ricorda il capo Abraracourcix.
Non è l’unico caso in cui un disegnatore Disney italiano si è ispirato ai fumetti d’Oltralpe per tratteggiare i comprimari delle storie – uno su tutti, il Giorgio Cavazzano di quegli stessi anni – ma De Vita fece un passo in più, creando quasi le sue versioni dei personaggi di Uderzo.
Asterix non è nemmeno l’unica bédé a comparire nelle pagine della saga, basti pensare alle case a forma di fungo del popolo degli elfi che ricordano immediatamente quelle dei Puffi. O, ancora più sorprendente, alla somiglianza delle creature alate del Principe delle Nebbie con quella dell’Arzach di Moebius (anche se la fonte principale probabilmente è un’altra, come vedremo), il cui copricapo è forse ripreso nel Copricapo di Mugh.
Un impasto di leggende e fantasy
Scendendo sotto la superficie troviamo una seconda fonte di ispirazione per De Vita, ovvero fiabe e leggende varie, palese ad esempio nel titolo La bella addormentata nel cosmo.
La sequenza in cui Topolino, Pippo e i loro nuovi amici si addormentano nel guanto di un gigante scambiandolo per una capanna rimanda a una leggenda nordica con protagonista Thor, e sempre dal folklore nordico proviene il toponimo Jotunheim, la terra dei giganti. Anche i nomi che non sono presi direttamente dalla mitologia scandinava hanno suoni germanici. Inoltre vengono citati espressamente Heimdall e gli Aesir, gli dèi nordici, e i protagonisti si ritrovano a dover percorrere un ponte di arcobaleno.
La Spada di Ghiaccio, in quanto spada magica, è diretta discendente delle lame del ciclo arturiano, Excalibur e la Spada nella Roccia. La missione di Topolino e amici nel primo episodio è proprio il ribaltamento della storia di quest’ultima: Artù deve estrarre la lama per diventare re e concludere la sua quest, mentre Pippo in cima al Picco Inaccessibile deve inserire la Spada di Ghiaccio in una fessura nella pietra per sconfiggere il Principe delle Nebbie.
De Vita non si limita a pescare dalle leggende ma guarda anche alle saghe fantasy sue contemporanee. Alcuni elementi del suo fumetto, come la Spada stessa, rimandavano al ciclo di Shannara di Terry Brooks, il cui primo libro – La spada di Shannara – era stato pubblicato in Italia pochi anni prima.
Anche Star Wars trovò spazio nella storia, basti vedere l’abbigliamento del Principe delle Nebbie e la sua somiglianza con Darth Vader. Guerre stellari era il fenomeno del momento, i primi due capitoli della saga (pardon, gli episodi IV e V) erano usciti rispettivamente nel 1977 e nel 1980, tutti i bambini dei primi anni Ottanta avevano almeno un pupazzetto Kenner di Luke Skywalker, di Lord Fener (sic) o di un assaltatore imperiale.
Nonostante l’importanza nell’immaginario popolare del momento, l’influenza dei film di Lucas sul fumetto di De Vita sembrò fermarsi a un livello superficiale, di design. È stato proprio il disegnatore milanese, qualche anno dopo, a firmare su testi di Giorgio Pezzin la saga Disney che più si avvicina allo spirito di Star Wars: Topolino e i Signori della Galassia.
Un cuore tolkieniano
Sia la saga di Shannara sia Guerre stellari hanno un genitore comune, come in realtà la maggior parte delle opere fantasy: Il Signore degli Anelli. Nella saga della Spada di Ghiaccio l’ispirazione tolkieniana non è esplicita, come invece lo fu qualche anno dopo nella parodia Paperino e il signore del Padello, ma proprio per questo è più profonda. Da Tolkien De Vita non riprese tanto personaggi o situazioni, quanto i temi più cari allo scrittore inglese.
In realtà un parallelismo tra i personaggi della Spada di Ghiaccio e del Signore degli Anelli è possibile: Yor ricorda Gandalf, Boz Bilbo, Gunni Helm un po’ Aragorn e un po’ Beorn. Sempre dal punto di vista formale, le creature alate già citate ricordano da vicino la descrizione delle cavalcature dei Nazgûl, tanto quanto nei film di Peter Jackson.
«La grande ombra scese come una nuvola cadente. E, meraviglia! era una creatura alata: se uccello, assai più grande di qualunque altro uccello, e stranamente nudo, sprovvisto di penne e di piume, e le sue immense ali parevano pelle tesa fra grinfie di corno.» (Il Signore degli Anelli, Il ritorno del re, libro V, capitolo VI. Traduzione di Vicky Alliata)
Ma, come si diceva, è nei temi che si trova la grande vicinanza tra le due saghe. Innanzitutto, sia la Spada che il Signore sono il racconto della lotta del Bene contro il Male, Male che nelle due opere assume forme molto simili. Il Nemico non è un mostro orribile o un potente guerriero ma una creatura completamente incorporea, che ha perso la sua fisicità secoli prima combattendo contro un eroe (Isildur in Tolkien, Alf in De Vita) ed è costretto quindi a governare il suo esercito di servitori dalla sua fortezza, situata in una regione remota e ostile. Da lì osserva quello che accade nel resto del mondo.
È una rappresentazione quasi frustrata del Male, terribilmente potente e al tempo stesso fragile. Sia Sauron che il Principe delle Nebbie temono un piccolo artefatto, perduto o nascosto, che potrebbe portare alla loro distruzione completa. Entrambi inoltre basano gran parte del loro potere sulla menzogna.
Sauron riesce con l’inganno a far forgiare gli anelli dagli elfi e a creare il suo Unico Anello per dominarli tutti; con l’inganno porta alla disperazione e alla follia Denethor, mostrandogli attraverso il Palanthir immagini tremende dei suoi eserciti; anche quando affronta gli eroi guidati da Aragorn tramite il suo emissario diretto, la Bocca di Sauron, cerca con un inganno di portarli alla disperazione, bluffando sulla fine di Frodo per far credere loro che ogni speranza sia perduta. In modo simile, il Principe delle Nebbie padroneggia un potere chiamato Grande Persuasione, «una forza misteriosa che lo rende invincibile» e che gli dà potere sulle altre creature dell’Argaar. Attraverso questo potere è in grado addirittura di creare delle illusioni solide per ostacolare da lontano la missione degli eroi.
Come il Male, anche il Bene ha forme e modi di agire molto simili in Tolkien e in De Vita. I protagonisti del Signore degli Anelli e dello Hobbit non sono eroi né grandi guerrieri ma hobbit, semplice gente comune. Come loro, anche gli Uli della Spada di Ghiaccio – che vivono in pace con la natura come gli hobbit della Contea – e Topolino e Pippo. I maghi e i guerrieri, Gandalf e Yor, Aragorn e Gunni Helm, sono gli aiutanti che li accompagnano nella quest, ma non è sulle loro spalle che si trova la salvezza del mondo. Questa è nelle mani di creature semplici, chiamate dal Destino a intraprendere una missione impossibile.
E la soluzione non è mai nella violenza. Le guerre in Tolkien non salvano il mondo, nonostante siano fondamentali per impedire al Male di sopraffare i popoli liberi. La vittoria giunge sempre attraverso il sacrificio di un singolo (Eärendil, Frodo e Sam). Così è anche nella saga disneyana, in cui non ci sono battaglie né, ovviamente, lotte violente. In tutte e quattro le storie è la missione di Topolino e Pippo, praticamente da soli contro le forze del male, a risolvere la situazione. Il successo giunge grazie al coraggio dei due, che accettano una sfida impossibile da compiere da soli, in segretezza, senza l’aiuto di re o potenti. È l’abnegazione l’unica vera arma che hanno i nostri eroi.
È facile riscontrare un parallelismo anche tra le due coppie di protagonisti, Frodo e Sam da una parte, Topolino e Pippo dall’altra. In entrambe le opere non è il protagonista a essere risolutivo, bensì il suo aiutante. Frodo, incaricato di gettare l’Unico Anello nel Monte Fato, crolla vicino alla meta, ed è Sam a farsi carico della missione (con il fortuito aiuto di Gollum, a dire il vero). Topolino, a cui sono intitolate le storie, non è mai l’attore principale della trama ma diventa spalla di Pippo, a cui spetta il compito di volta in volta di trovare la Spada di Ghiaccio, vincere il Torneo dell’Argaar, trovare la maschera del Signore delle Nebbie e svegliare la Bella Addormentata nel Cosmo.
Un’ultima tematica comune a entrambe le saghe è la decadenza del presente rispetto al mitico passato. È un tema classico dell’epica e del mito, a partire dall’Età dell’Oro in cui Saturno viveva in Lazio o giù di lì, ma che è fondante nelle opere di Tolkien.
Il Signore degli Anelli è ambientato alla fine della Terza Era. Il mondo è cambiato da quando è stato creato da Iluvatar e dagli Ainur; i nobili elfi stanno abbandonando la Terra di Mezzo, le loro città sono scomparse o in rovina; anche gli uomini sono più deboli e meno saggi di quelli del passato: le loro vite si sono accorciate, i loro regni sono un’ombra di quelli di un tempo. Sarà solo con la sconfitta di Sauron che Aragorn riporterà lo splendore, ma è una storia che al Professore non interessa raccontare.
Anche l’Argaar ha già vissuto tre ere prima delle vicende del fumetto. La prima era l’età dell’oro, degli dèi, la seconda quella dei giganti, mentre la terza ha visto la guerra contro il Signore delle Nebbie. Dopo la vittoria dei popoli guidati da Alf sono hanno fatto ritorno pace e benessere, ma ormai le ere degli eroi sono terminate. Per questo Boz è costretto ad andare in un’altra dimensione per cercare aiuto contro il Male redivivo.
Se il passato è glorioso, il futuro sarà per forza peggiore del presente. Tolkien era diffidente, se non critico, nei confronti della tecnologia. Saruman, lo stregone malvagio del Signore degli Anelli, rappresenta l’uso della tecnica per arrivare al potere. I suoi esperimenti magico-ingegneristici, con cui crea i mostruosi Uruk-hai e le loro armi, portano alla distruzione del luogo ameno che un tempo era la sua residenza e di gran parte della vicina foresta di Fangorn. Sarà proprio la natura, incarnata negli Ent, a sconfiggerlo. Questo fece del Professore un autore di riferimento per il movimento ecologista, soprattutto negli Stati Uniti.
Un atteggiamento simile di diffidenza per la tecnologia e la modernità, forse anche più forte perché pubblicato sulle pagine di un settimanale per ragazzi, si può leggere in Topolino e il Torneo dell’Argaar. Quando Topolino e Pippo arrivano a Ululand dopo un anno di assenza la trovano radicalmente cambiata. Nell’altra dimensione il tempo scorre più velocemente e sono passati decenni. La tecnologia si è evoluta, il villaggio è diventato una città futuristica con auto volanti, autostrade, alberghi e attrazioni turistiche ipertecnologiche. Un «esasperante benessere», per usare le parole di Yor, che ha trasformato il popolo semplice e pacifico facendogli dimenticare le proprie tradizioni.
Il fallimento della missione degli eroi porta alla distruzione della città. Gli Uli saranno costretti a ripartire da capo, riscoprendo il valore della sincerità e tornando alle proprie tradizioni secolari. Come Bilbo che, dopo aver attraversato la Terra di Mezzo, conosciuto maghi e guerrieri, elfi, nani e draghi, torna alla semplicità della sua Contea.
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