Glass è il film di supereroi più lento della storia. Meno memorabile di Unbreakable – Il predestinato (2000) e decisamente meno acido di Split (2016), con questi due film costituisce la trilogia delle origini di M. Night Shyamalan.
Ovviamente il problema è proprio lui: M. Night Shyamalan, autore e regista del film, uno dei talenti più grandi e meno continui di sempre. Chi non ricorda infatti il capolavoro che lo ha fatto conoscere, vent’anni fa, al grande pubblico? Mi riferisco a Il sesto senso (1999), ovviamente. Il regista ha alternato clamorosi successi ad altrettanti clamorosi insuccessi, costruendo la sua poetica su una competenza tecnico-espressiva come regista impressionante e al tempo stesso una fortissima passione per le trame a effetto, con un finale a sorpresa che ricolora tutto il film e mette in fila gli indizi sparpagliati qua e là, ma che non erano stati notati.
Proprio questo finalone a sorpresa, che è diventato il suo marchio di fabbrica, è anche una specie di limitazione, perché chi si approccia ai suoi film con attenzione e competenza lo fa andando a cercare gli indizi per sgamare la sorpresa prima del finale e sostanzialmente si rovina il film.
Unendo questo al fatto che Glass è un film di supereroi che fa da culmine a una trilogia non si sa quanto programmata e quanto casuale, le considerazioni che possiamo trarne sono due: è noioso; è spaventosamente bello. Non per la fotografia, ma per come si muove e come si svela. Peccato però che giochi in un territorio, quello dei nerd del fumetto, che è pericoloso perché tutto basato su una monomania molto difficile da gestire. E infatti il buon Shyamalan sembra non uscirne vincitore, almeno a giudicare dai forum online e dalle discussioni degli appassionati andati al cinema.
Perché il vero nerd del fumetto i film sui supereroi li prende veramente sul serio e quindi, di conseguenza, ci lavora sopra: applica intelligenza, intuito e un bel po’ di logica. Il tutto saltando dal piano del dettaglio – come procede la trama, chi ha detto cosa e perché – a quello della storia generale e dell’universo complessivo. Da questo punto di vista l’amante dei fumetti supereroistici è forse uno degli appassionati che si trova a fare più fatica e quindi ad avere il muscolo celebrale più allenato, perché salta letteralmente dal piano del fabbricante di universi che deve riflettere sulla coerenza di una nuova teoria cosmicologica (e metterla in relazione con altre analoghe, con il genere, con livelli superiori e inferiori di creazione) a quello del revisore di bozze che deve beccare il minimo refuso nella trama. Insomma, il risultato è che il lettore di fumetti che va a vedersi un film come Glass non è detto che dia perfettamente ragione a Shyamalan.
Intendiamoci, tra questo film e uno dell’universo Marvel c’è un abisso. Ma non è solo un problema di effetti speciali o di cast, a partire da un inossidabile Bruce Willis (che sta a Shyamalan come Mastroianni a Fellini e via dicendo) per passare al solito, straordinariamente disturbante James McAvoy e, ahimè, al prezzemolino Samuel L. Jackson, tra gli altri. Il problema è che qui c’è anche la vita vera, il “peso” della realtà, i comics anni Novanta, le inquadrature raffinate composte come una tavola dei fumetti, alternate a un senso spaziale raro anche nei registi più bravi, per arrivare alla lavorazione indie artigianale e non limitata da stereotipi e semplificazioni eccessive, come invece capita nei fumetti Marvel-DC e poi viene amplificata allo spasmo nei relativi film, orge di effetti speciali con la profondità di un tappeto.
Ma vale veramente la pena vedere Glass? Beh, l’arte – e quindi il cinema – deve essere disturbante. E questo film lo è. Al limite del dubbio che forse sia uno di quelli non meglio riusciti di Shyamalan. Tra trama, inghippi, indizi, costruzione dell’arco narrativo, tentativo di rimettere tutto assieme, alla fine si esce stanchi e un po’ provati. Da vedere soprattutto se avete visto i primi due e volete dare una closure al tutto.
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