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Il pluralismo delle culture nel fumetto franco-belga

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di Andrea Sani*

tintin mon ami
Copertina del libro di Michel Serres Hergé mon ami, edito in Italia dalla casa editrice Portatori d’acqua (Pesaro 2017). ©Hergé/Moulinsart

1. I viaggi del reporter Tintin

Molti fumetti franco-belgi, sia di tipo realistico sia di tipo umoristico, possiedono un carattere decisamente avventuroso. E l’avventura implica la partenza per Paesi lontani, la scoperta di continenti inesplorati e l’incontro con popoli sconosciuti. Proprio per questo, molto spesso gli eroi della bande dessinée intraprendono dei viaggi di esplorazione o anche di piacere, che appunto si trasformano in occasioni di avventura.

Questa tendenza al viaggio avventuroso del fumetto francofono è evidentissima negli albi di due personaggi celeberrimi ed emblematici: il giovane reporter Tintin di Hergé, la cui storia d’esordio è pubblicata a puntate sul settimanale Le petit Vingtième a partire dal 1929, e il gallo Astérix di René Goscinny e Albert Uderzo, che appare per la prima volta sulla rivista Pilote nell’ottobre del 1959.

Le avventure di Tintin sono sempre racconti di viaggi, con la sola eccezione dell’albo-capolavoro I gioielli della Castafiore, in cui la vicenda narrata dall’autore si svolge interamente nel castello di Moulinsart dove abitano Tintin e l’amico Capitano Haddock.

Gli stessi titoli degli albi di Hergé fanno riferimento ai Paesi in cui viaggia Tintin. Si pensi, per esempio, a Tintin nel Paese dei Soviet, Tintin nel Congo, Tintin in America, Obiettivo Luna, Tintin nel Tibet e Volo 714 per Sydney.

Dominique Labesse ha catalogato tutti i Paesi visitati da Tintin: in Europa, il personaggio di Hergé percorre la Germania, il Belgio, la Borduria, la Francia, la Gran Bretagna, l’Islanda, la Russia, la Svizzera e la Syldavia, nota anche come il Regno del Pellicano Nero. Nel resto del mondo visita l’Arabia, la Cina, il Congo, l’Egitto, l’India, l’Indonesia, il Khemed, il Marocco, il Nepal, il Nuevo Rico, la Palestina, il Perù, il Sahara, San Théodoros, il Tibet e gli Stati Uniti. In tutto, si tratta di 25 Paesi e luoghi (reali e immaginari), senza contare una spedizione nell’Oceano Atlantico e sulla Luna.

Tuttavia, come osserva sempre Labesse, non tutti questi Paesi sono posti da Hergé sullo stesso piano. Alcuni di essi sono appena intravisti perché presenti in una sola pagina, o al massimo in due. Altri, invece, ritornano in più di un albo e possono essere considerati i luoghi prediletti dall’autore delle storie di Tintin.

Questi ultimi sono i Paesi dell’America del Sud, descritti in Il Tempio del Sole, L’orecchio rotto e Tintin e i Picaros, i Paesi del Medio Oriente, descritti in I sigari del faraone, Nel Paese dell’oro nero e Coke in Stock e i Paesi dell’Europa dell’Est, descritti in Lo scettro di Ottokar , Obiettivo Luna e L’Affare Girasole.

Se alcune delle località geografiche sono rappresentate in modo decisamente fantasioso, altre, invece, sono riprodotte scrupolosamente nelle immagini create da Hergé. Alla prima categoria appartengono, per esempio, l’Africa di Tintin nel Congo e il Nuovo Mondo di Tintin in America. Significativa della seconda categoria è invece l’Asia centrale raffigurata nell’albo Tintin nel Tibet: la città di Katmandu, nel Nepal, è tale e quale l’ha descritta Hergé.

In un’intervista pubblicata su Le Journal du Dimanche nel 2011, il filosofo francese Michel Serres ricorda un suo viaggio sull’Himalaya, in cui la sua guida è stata proprio l’avventura di Hergé ambientata nel Tibet: «Quando sono arrivato nell’Himalaya, e sono entrato per la prima volta in un monastero tibetano – confessa Serres – ho saputo quale comportamento adottare ricordandomi di Tintin. Ed era quello che bisognava fare…».

Hergé si è evidentemente ben documentato sul Tibet prima di disegnare il suo albo. Anche per realizzare Il Tempio del Sole si è ispirato in modo scrupoloso alle immagini della rivista Géographie Magazine.

tintin filosofia
Tintin au Pays des Philosophes, numero speciale dedicato a Tintin di Philosophie Magazine, settembre 2010 ©Hergé/Moulinsart

Oggi sappiamo che è il disegnatore belga Edgar Pierre Jacobs, il padre di Blake e Mortimer, ad aver rafforzato in Hergé la cura della documentazione e la mania dell’esattezza. Jacobs partecipa al rifacimento delle prime avventure di Tintin in bianco e nero, che l’editore Casterman intende ripubblicare in nuovi albi cartonati e in quadricromia, e lavora per Hergé part-time dal primo gennaio del 1944 fino al 1947, quando interrompe la sua collaborazione per dedicarsi unicamente alle avventure di Blake e Mortimer.

Jacobs non si limita a ricolorare le vecchie storie di Tintin, ma interviene anche sul disegno dei personaggi e degli sfondi: per esempio, balcanizza i costumi dello Scettro di Ottokar, per evocare il paese fittizio della Syldavia, situato nell’Europa dell’Est. Infatti, nella prima versione della storia, i costumi degli abitanti e dei soldati della Syldavia, a giudizio di Jacobs, risultano troppo inglesi. Addirittura, in questo albo realizzato con il contributo di Jacobs, a un certo punto Hergé interrompe la sua storia e, prendendo spunto da un depliant che Tintin legge in aereo, delinea in tre pagine tutta la storia immaginaria del Regno del Pellicano Nero.

Questo scrupolo documentaristico diventerà una caratteristica fondamentale dei disegnatori della ligne claire o della cosiddetta Scuola di Bruxelles, cui appartengono – oltre a Hergé e a Jacobs – anche il belga Bob de Moor e il francese Jacques Martin. I personaggi creati da questi autori si muovono su sfondi molto fedeli, frutto di studi e spesso di sopralluoghi nelle location dove si svolgerà la storia che essi intendono rappresentare.

2. L’incontro di Tintin con il “diverso”

Nel corso dei suoi numerosi viaggi, Tintin entra in contatto con popoli stranieri, appartenenti a numerose etnie differenti dalla propria. Se nei primi albi l’incontro con il diverso è rappresentato secondo stereotipi occidentali e si risolve in una serie di gag e in continui colpi di scena, le cose cambiano a partire dall’albo Il Loto blu.

In questo episodio, Tintin salva Chang, un giovane cinese sconosciuto, da un annegamento nel fiume Yangtze. Di conseguenza, tra i due personaggi si instaura una profonda amicizia. Salvando Chang, Tintin compie un passo fondamentale verso la fraternità.

Il personaggio di Chang è ispirato a un individuo reale, Zhang Chongren, un giovane studente cinese conosciuto da Hergé a Bruxelles nel 1933 e diventato suo amico. Zhang Chongren documenterà il padre di Tintin sulla Cina, in vista della realizzazione dell’albo Il loto blu. Chang è il primo a far scoprire a Tintin chi sono veramente i cinesi, al di fuori di tutti i cliché. Tintin salverà di nuovo la vita a Chang nell’albo Tintin nel Tibet, mentre Hergé ritroverà il suo amico cinese Zhang Chongren nel 1981, rivedendolo a Bruxelles 42 anni dopo il loro primo incontro.

A giudizio di Michel Serres, a partire dal Loto blu, Hergé ci invita a considerare le altre civiltà come equivalenti alla nostra, e nelle sue storie ci insegna a essere amici di Chang e di Zorrino, il giovane indiano quechua che Tintin incontra in Il Tempio del Sole e che difende da due bianchi che lo stanno picchiando, suggerendoci così il rispetto e l’ammirazione per l’altro.

Questa consapevolezza rappresenta per Serres la grande rivoluzione filosofica del XX secolo: la messa su un piano di parità di tutte le culture.

«Gli altri non sono più dei primitivi che devono raggiungerci sul cammino del progresso e della civilizzazione, ma dei nostri simili nei quali dobbiamo riconoscerci». (M. Serres, Une leçon d’ethnologie, in Tintin au Pays des Philosophes in Philosophie Magazine, hors-série, settembre 2010, p.50).

Serres sviluppa ampiamente l’analisi di questo tema antropologico caratteristico delle storie di Hergé anche nel suo bel libro Hergé mon ami, edito recentemente in Italia dalla casa editrice Portatori d’acqua.

Bisogna comunque precisare che le avventure di Tintin, pur negando l’etnocentrismo, non esprimono una concezione etica di stampo relativista, cioè che annulla completamente ogni differenza fra il Bene e il Male.

Infatti il comportamento di Tintin è costantemente ispirato agli ideali superiori del pacifismo e della non violenza, ed è sul piano di questi princìpi universali che, secondo Hergé, si può intavolare un dialogo fra i popoli. L’incontro interculturale può avvenire sul terreno della solidarietà, della tolleranza e del rispetto reciproco, inteso come il minimo comun denominatore fra le diverse civiltà.

In effetti, Tintin difende dei valori morali che oggi sono riconosciuti unanimemente nella Dichiarazione universale dei diritti umani (1948), sottoscritta da tutti i membri dell’ONU.

3. I viaggi di Astérix

Piuttosto differente rispetto a quello di Tintin è l’approccio del personaggio di Astérix nei confronti del “diverso”. Le avventure di questo character creato da Goscinny e Uderzo iniziano nel 50 a.C. e sono incentrate su tre grandi temi: l’amicizia fra i personaggi appartenenti a un piccolo villaggio della Gallia, la resistenza ai Romani e, appunto, il rapporto con lo straniero. Quest’ultimo argomento è predominante nelle storie dedicate ai viaggi di Astérix, raccolte per esempio nel volume italiano dei Super Miti di Mondadori intitolato Astérix alla conquista del mondo.

Scontro di civiltà in Asterix e i Normanni (Astérix et les Normands, 1967) di R. Goscinny e A. Uderzo. ©Les Éditions Albert René/Goscinny-Uderzo

Goscinny e Uderzo inviano Astérix e Obélix ai quattro angoli del globo: a Roma, in Belgio, in Corsica, in Svizzera, in Spagna, in Grecia, in Arabia, in India, in Egitto e perfino in America. Uderzo spedisce i due Galli anche in Atlantide in La galera di Obélix, accentuando l’aspetto fantastico della serie che Goscinny, saggiamente, limitava al solo tema della pozione magica che conferisce ai Galli una forza sovrumana.

Questa tendenza fantasy– estranea allo spirito originario della serie – raggiunge l’apice nella 33a avventura, intitolata Quando il cielo gli cadde sulla testa, che contamina in modo del tutto incongruo Astérix con il mondo dei manga e dei supereroi.

Nelle loro storie più belle dedicate ai viaggi di Astérix, i due autori sbeffeggiano il nostro modo semplicistico di ridurre a pochi luoghi comuni la natura dei vari popoli. Per esempio, i còrsi di Astérix in Corsica sono fieri e suscettibili; gli svizzeri di Asterix e gli Elvezi sono puntuali e pulitissimi; i Belgi di Astérix e i Belgi sono burloni e generosi, mentre i Britanni di Astérix e i Britanni sono flemmatici e puntigliosi nella cura dei loro prati, ovviamente all’inglese.

Ma qual è l’atteggiamento che Astérix e Obélix assumono di fronte allo straniero? I due simpaticissimi personaggi sono altruisti e sempre pronti ad aiutare in modo disinteressato i popoli che chiedono il loro appoggio contro la dominazione romana.

Tuttavia, sul piano culturale, i due personaggi prendono atto delle differenze nei modi di vita e di pensare e non pretendono di stabilire un dialogo con gli stranieri, per raggiungere un punto di intesa super partes circa i loro rispettivi modi di vita. I vari gruppi etnici sono rappresentati nella loro irriducibile alterità rispetto ai Galli.

Tant’è vero che Obélix, venuto in contatto con le altre popolazioni, non comprendendo i loro costumi, ripete puntualmente la sua celeberrima constatazione: “Sono pazzi questi Romani!”, adattandola, volta per volta, alle diverse etnie: “Sono pazzi questi Iberici!”, “Sono pazzi questi Britanni!”, “Sono pazzi questi Goti!”, e così via.

Secondo il filosofo tedesco Wolfram Eilenberger, l’ipotesi fondamentale che emerge dalle relazioni con gli stranieri negli albi di Astérix è che l’altro, sul piano culturale, si comporta in un modo del tutto assurdo.

4. Discorsi duplici

Le divertentissime avventure di Astérix e Obélix sembrano così confermare quanto asserisce un anonimo sofista greco del IV secolo a.C., autore dei cosiddetti Discorsi duplici. In questo antico trattato si elencano numerose differenze, in termini di usanze e di credenze, tra le varie comunità dell’epoca con le quali i Greci entrano in contatto. Gli argomenti discussi sono i più vari: dal modo di abbigliarsi o di adornarsi alle pratiche di sepoltura, dalla morale sessuale ai giudizi sulle diverse attività lavorative ecc.

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Astérix chez les philosophes, numero speciale di Philosophie Magazine, novembre 2014-gennnaio 2015. ©Les Éditions Albert René/Goscinny-Uderzo

La conclusione tratta da queste considerazioni è che «se si ordinasse a tutti gli uomini di riunire in un fascio le cose che ciascuno di loro giudica cattive, e poi dopo di togliere dal gruppo quelle che ciascuno di loro giudica belle, non ne rimarrebbe nemmeno una, ma tra tutti se le riprenderebbero tutte. Nessuno, infatti, la pensa come un altro».

Il trattato dell’anonimo sofista è dunque l’espressione evidente di un relativismo culturale maturo, che potrebbe essere sottoscritto dai personaggi di Goscinny e Uderzo, basato sulla consapevolezza dell’irriducibile varietà di opinioni sugli usi e i costumi e su ciò che è giusto o sbagliato.

Secondo questa prospettiva relativista, un’intesa interculturale su basi razionali è esclusa; di conseguenza, se nascono dei contrasti fra i popoli, la soluzione delle controversie può avvenire solo in due modi: o tramite la persuasione indotta dalla retorica (che prescinde dalla verità delle tesi sostenute e si basa unicamente sui trucchi verbali dell’oratore), oppure sul piano dei rapporti di forza.

Quest’ultima è appunto l’opzione preferita da Astérix e Obélix. Quando i due non vanno d’accordo con un certo gruppo sociale (come accade puntualmente con i Romani, ma anche, qualche volta, con altri popoli) passano subito alle maniere forti. Secondo Ellenberger, nessuna controversia con uno straniero può essere affrontata da Astérix e Obélix tramite la discussione e la ricerca del consenso.

In Asterix e i Normanni, il piccolo Gallo chiede gentilmente se sia possibile incontrare il capo della tribù normanna. Tuttavia, questo abbozzo di dialogo rende i suoi interlocutori arroganti e aggressivi. Allora Astérix decide di passare all’azione,e Obélix prende a sberle i Normanni, commentando in modo ironico (rivolto al suo compagno): «Ah, meno male! Sapevo che tu avresti finito per essere ragionevole!».

Quindi, nelle storie dei due celebri Galli, il punto di vista ideologico di Goscinny e Uderzo sembra piuttosto diverso rispetto a quello espresso da Hergé nelle avventure di Tintin. A tale proposito, Michel Serres, intervistato durante una trasmissione su France Info il 23 settembre 2011, contrappone decisamente la non violenza di Tintin ai metodi di Astérix, che risolve i suoi problemi a suon di pugni.

L’intervista di Serres innesca una vivace polemica tra i fan della bande dessinée, tant’è vero che il filosofo è poi costretto a scusarsi per le sue precedenti affermazioni un po’ troppo critiche nei confronti delle avventure di Astérix, che non tengono conto dell’eccezionale umorismo degli autori, in grado di sdrammatizzare tutte le situazioni rappresentate nei loro albi.

Comunque è innegabile il diverso approccio al pluralismo culturale da parte degli autori delle due serie a fumetti. Infatti, mentre Goscinny e Uderzo sottolineano le differenze irriducibili fra le varie civiltà, considerate come mondi chiusi che non comunicano fra loro, Hergé è invece un sostenitore del dialogo interculturale, fondato sul rispetto di valori comuni, identificabili, come si è detto, negli universali diritti umani.


*Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul numero 107 di Fumetto, la rivista dell’ANAFI, richiedibile qui.

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