Pur essendo nato in animazione, la personalità di Topolino come è nota al grande pubblico si è formata nei fumetti. O meglio, nelle daily strip disegnate da Floyd Gottfredson dal 1930 al 1975, come ci ha raccontato Luca Bertuzzi.
Se si escludono le strisce umoristiche autoconclusive degli ultimi vent’anni e in parte i primissimi anni di produzione, quando Topolino era caratterizzato come una piccola canaglia, Gottfredson ha dedicato gran parte della sua carriera a raccontare le avventure di Mickey in giro per il mondo, fornendo il modello per gli autori successivi.
Questa carriera può essere divisa in due: la prima metà, fino al giugno del 1944, lo vede autore anche dei soggetti oltre che dei disegni, affiancato da diversi dialoghisti; nella seconda, invece, è accompagnato dallo sceneggiatore Bill Walsh. A differenziare questi periodi, oltre ai membri del team artistico, è la caratterizzazione del protagonista, che potremmo sintetizzare dividendo in “Topolino del fare” e “Topolino dello stare”.
L’influenza di Gottfredson e delle sue storie è così grande che possiamo adottare queste due personalità di Topolino come chiave di lettura per tutta la produzione successiva.
Ci arriveremo più avanti nell’articolo; prima ritengo opportuno sviscerare questi due diversi Topolino.
Il Topolino del fare
Topolino nasce come monello scavezzacollo nei primi cortometraggi e nelle primissime strisce. Ma già dai primi cicli di strip inizia a imbarcarsi in avventure che diventano sempre più serie e meno umoristiche anno dopo anno. Sono gli anni in cui Floyd Gottfredson sforna un capolavoro dopo l’altro, inventando i soggetti e disegnandoli, mentre i dialoghi sono appannaggio soprattutto di Merrill De Maris e Ted Osborne.
Nonostante l’ambientazione di queste storie cambi costantemente, da Topolinia ai deserti dell’Arabia, dai mari artici ai cieli d’alta quota, dalle isole tropicali all’Europa Centrale, le strisce dal 1932 al 1944 mostrano un’uniformità stilistica unica, tanto che spesso le cesure tra una storia e l’altra appaiono davvero arbitrarie e un’avventura si mette in moto come conseguenza diretta della precedente.
Ma a cementare questo corpus c’è in primo luogo Topolino stesso. Il carattere di Topolino nel periodo d’oro di Gottfredson è molto diverso da quello a cui siamo abituati. È comunemente considerato come l’incarnazione del New Deal di Roosevelt, un giovane americano ottimista e attivissimo, che lavora per far progredire la sua società.
In effetti il protagonista di storie come Sosia di Re Sorcio, La banda dei piombatori o Il mistero dell’Uomo Nuvola non sta fermo un secondo. Il piccoletto è sempre in movimento, gettandosi da un’avventura alla successiva senza nemmeno il tempo di prendere fiato.
Inoltre – caso molto raro nella narrativa avventurosa – è spesso lui stesso a cercare le situazioni più assurde in cui cacciarsi. Sono emblematici in questo senso gli incipit di Il misterioso “S” flagello dei mari e di Il mostro bianco: nel primo (strisce dall’1 al 5 ottobre 1935) Topolino capta con la radio di casa l’S.O.S. di una nave, corre ad avvertire il suo vecchio amico Capitano Setter della Marina e si candida per indagare sulla sparizione; nel secondo caso addirittura, pur essendo appena rientrato dalla Gran Tassonia dove ha preso momentaneamente il posto del re non riesce a stare ozioso per più di tre giorni e prende la decisione, improvvisa e un po’ surreale, di diventare cacciatore di balene.
Non saranno certo gli anni a mitigare questo suo bisogno di gettarsi nell’azione. In Topolino e il misterioso corvo (1942, testi di Merrill De Maris) si arruola volontario nell’Esercito degli Stati Uniti insieme a Pippo, perché non può sopportare di restare con le mani in mano mentre i suoi compatrioti sono in Europa o nel Pacifico a combattere. Quando si vede rifiutato perché troppo basso per la leva, ripiega su un lavoro nei campi per produrre cibo per i soldati, pronunciando la celebre frase «Coraggio, Pippo! Ogni volta che ari un solco aiuti a scavare la tomba di Hitler!».
Anche in questo corpus, però, ci sono storie in cui Topolino non è il motore dell’azione ma ne viene coinvolto suo malgrado. Gli esempi più famosi sono Il mistero di Macchia Nera e All’età della pietra, entrambe sceneggiate ancora una volta da De Maris.
La storia d’esordio di The Phantom Blot inizia come inizieranno in seguito altre mille storie: «Topolino, seduto tranquillo sulla poltrona di casa, viene convocato con urgenza da Basettoni alle prese con un caso apparentemente insolubile» per rubare le parole a Luca Bertuzzi.
Non è la prima volta che Topolino compie un’indagine, né la prima in cui collabora con la polizia, ma è certamente un esordio per una collaborazione ufficiale. Macchia Nera conosce tutti gli agenti di Basettoni e questi ha bisogno di un volto nuovo per indagare; per questo motivo sceglie Topolino, che non è ancora diventato il detective dilettante risolutore, è ancora solo un tizio che si dà da fare. Peccato che Macchia Nera scoprirà il piano del commissario e rapirà Mickey, per il quale la faccenda diventerà personale.
Più misterioso è l’incipit di All’età della pietra, in cui a Topolino compare in sogno il Professor Ossivecchi, che gli chiede di aiutarlo. «Permettetemi di dirvi che la vostra reputazione è giunta fino a me! – dice la proiezione dello scienziato in camera di Topolino – Un giovine non comune… abituato a sfidare il pericolo… un giovine cui l’avventura suona come un invito!».
Ancora una volta, la caratteristica del nostro eroe messa in luce è il desiderio di avventura. È questo a spingere Ossivecchi a cercare il suo aiuto. Non viene dato per scontato che Topolino aiuterà il prossimo per un innato desiderio di fare il bene, ma nemmeno le avventure gli capiteranno per caso, due diversi motori dell’azione della produzione successiva: è lui stesso, invece, la causa di quello che gli succede giorno dopo giorno nelle strip sui quotidiani.
Lo stile di disegno di Gottfredson, pur con diversi mutamenti lungo il decennio, accompagna perfettamente il tono delle storie. Il suo Topolino è dinamico e scattante, le vignette sono piene d’azione. Perfino durante i dialoghi è difficile che i personaggi siano statici: si muovono, camminano, maneggiano qualcosa. La strip di Mickey Mouse è tutta un fremito, irrequieta come il suo titolare.
Il Topolino dello stare
Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale ad affiancare Floyd Gottfredson arriva lo sceneggiatore Bill Walsh, che più avanti intraprenderà una gloriosa carriera da scrittore cinematografico, sempre in ambito disneyano, firmando film come Mary Poppins, F.B.I. – Operazione gatto, Il fantasma del pirata Barbanera, Un maggiolino tutto matto e Pomi d’ottone e manici di scopa.
«Già nelle prime storie affiora una vena surreale e un gusto per l’assurdo che prima non c’era, mentre Floyd Gottfredson porta a compimento l’evoluzione del suo stile, che si fa sempre più essenziale, fluido e spigoloso, perfettamente in linea con quanto avviene nei corti del cinema. Non manca poi un’inquietudine serpeggiante (come gli “aberzombie” di La cassetta elettronica, 1943) che darà alla striscia i suoi momenti migliori qualche anno dopo. Walsh non si preoccupa troppo di dare coerenza interna alle storie e di giustificare avvenimenti straordinari: in Le meraviglie del domani (1944) Topolino arriva nel futuro grazie a un mantello invisibile che gli consente di viaggiare nel tempo (abbandonando definitivamente i pantaloncini rossi), mentre in Topolino nell’isola della morte (1944) appare una ciurma di fantasmi.»
Come riassume con precisione Bertuzzi nella citazione qui sopra, la caratteristica principale che accomuna le storie di Walsh è il gusto per l’assurdo, che sfocia spesso in situazioni inquietanti e vagamente horror.
Il protagonista di queste avventure è un personaggio nettamente diverso da quello dell’età d’oro. Forse perché ormai i lettori non hanno più bisogno di essere spronati a rendere grande l’America e preferiscono piuttosto personaggi che ricordano loro la quiete domestica dopo gli anni di guerra: Topolino è diventato un ragazzo tranquillo, che vive nella sua villetta di periferia e la cui massima ambizione è restare a casa a riposarsi.
Nelle storie di Walsh non intraprende mai un’avventura di sua iniziativa, c’è sempre un elemento esterno a trascinarcelo. Può essere Eta Beta, incontrato per caso in una grotta, o la Spia Poeta, che cerca di rubarne l’invenzione straordinaria; Gas e Giac, i topini di Cenerentola, che hanno bisogno di aiuto nel reame di Mousepotamia; un leprecauno che gli apre le porte del reame dei folletti; un sosia che prende il suo posto e ne usurpa la casa; la scomparsa misteriosa di Pippo…
Ulteriore tratto in comune di quasi tutte queste storie è il fatto che Topolino non venga scelto per la missione, come invece faceva Ossivecchi, ma che sia proprio solo un caso che venga coinvolto.
Se il “tizio qualunque” degli anni Trenta era uno che si dava da fare in prima persona per forgiare il mondo, quello degli anni Quaranta è uno a cui capitano le cose e che non ha il controllo sugli agenti esterni alla sua vita.
Come per il “Topolino del fare”, anche nelle storie di quello “dello stare” il tratto di Gottfredson e il mood delle vicende si accompagnano. Vestito ormai di tutto punto, Mickey non corre più come una volta, non salta più, non guida come un pazzo. Nelle strip, complice l’umorismo verbale di Walsh, meno basato sulle gag fisiche rispetto a quello dei suoi predecessori, l’azione è molto diminuita rispetto a dieci anni prima. E anche quando, raramente, prende il sopravvento – come nell’inseguimento al cardiopalma tra Topolino e il suo sosia malvagio in Topolino contro Topolino – è molto più coreografata e meno “sporca”, un balletto elegantissimo rappresentato da un disegnatore che, nella piena maturità artistica, ha sacrificato un po’ di vitalità del segno in cambio dell’armonia della composizione.
“Non andare. Vai”. I Disney italiani tra le due vie
Come si scriveva in apertura dell’articolo, queste due categorie di Topolino possono essere usate come chiave di lettura per tutte le storie successive. In particolare, gli autori italiani hanno utilizzato spessissimo questi due modelli come base per i loro fumetti. E se quello “dello stare” è certamente il più rappresentato, quando un autore ha interpretato correttamente il “Topolino del fare” è sempre riuscito a confezionare delle grandi storie.
Visto che la produzione Disney italiana è sterminata mi limiterò a qualche esempio nei due casi, cercando di mostrare come, pur non aderendo perfettamente ai modelli, le varie storie si inseriscano appieno nei due filoni. Lascio a altri lettori il piacere di proseguire il gioco di categorizzare ogni storia presente nell’Inducks con protagonista Mickey Mouse.
(Una piccola nota di metodo: nel mio breve elenco non troverete alcuna Grande Parodia. Ritengo infatti che, anche se ovviamente chi scrive una storia di questo tipo è influenzato dalle altre storie di Topolino, sia più importante l’influenza della trama di cui si sta facendo la parodia, che non rientra nelle due categorie che propongo)
Cercando di restare, ovviamente, sulle grandi storie del personaggio, non si può non partire citando Guido Martina, il Professore, autore della prima storia italiana con Topolino, Topolino e il cobra bianco (1949), iniziata sugli ultimi numeri del formato giornale e conclusasi nel celebre primo numero del libretto. La sua gestione dei personaggi disneyani è sempre stata molto personale, utilizzando sia paperi che topi come maschere a cui poteva far interpretare qualsiasi ruolo, ignorando più o meno consapevolmente le personalità che erano state donate loro negli USA.
Il suo sembra un chiarissimo rappresentante del “Topolino dello stare”, coinvolto sempre nelle avventure dall’esterno, che sia Basettoni che ha bisogno di aiuto per un’indagine, uno scienziato che deve mostrargli una scoperta o una forza misteriosa che lo spedisce da qualche parte. Esempio perfetto potrebbe essere Il doppio segreto di Macchia Nera, disegnata da Romano Scarpa, in cui Topolino più che protagonista è vittima delle macchinazioni del suo nemico: tutto il contrario del topo a caccia del ladro vestito di nero di Floyd Gottfredson.
La produzione martiniana pone però un interrogativo sull’influenza di Bill Walsh. Il Professore, infatti, scrive in contemporanea allo sceneggiatore americano, avendo avuto la possibilità di leggere poche sue storie. Probabilmente la vicinanza (in un certo senso) tra i due è dovuta a una lettura simile dei temi delle strip classiche, che, come abbiamo già visto, introducevano alcuni degli elementi dello “stare” (la chiamata all’azione, l’inquietudine) anche se sotto una luce un po’ diversa.
In più, la produzione di Martina è talmente vasta e seminale da gettare un’ombra su quasi tre decenni di storie italiane, influenzate dalla sua versione dei personaggi più che da quelle originali americane. La sua potrebbe essere quindi considerata una terza via, vicina ma non sovrapponibile a quella di Walsh, che del personaggio delle strip mantiene una vuota facciata, senza coglierne l’essenza.
Abbandonando quindi Martina e la sua “terza via” italiana (magari ci torneremo in altra sede), è necessario citare Romano Scarpa, ovvero «l’ultimo dei grandi autori americani», come è stato definito da Andrea Tosti. L’autore veneziano cercava la mimesi assoluta nei confronti del primo Gottfredson, sia formale che contenutistica. Le sue storie non possono essere quindi che catalogate nel filone “del fare”. Il mistero di Tapioco Sesto, La Dimensione Delta, Il Pippotarzan, Il gigante della pubblicità prendono tutte le mosse da situazioni squisitamente gottfredsoniane.
Nei capolavori del maestro veneziano ritorna, tra le centinaia di pagine del “Topolino vuoto” martiniano, il Mickey Mouse degli anni Trenta, energico e ottimista. È lui che si tuffa nell’avventura per aiutare un amico o addirittura uno sconosciuto. E se anche non raggiungerà i livelli di “dipendenza dall’avventura” delle strisce degli anni Trenta, ne mostrerà però sempre l’attitudine.
Un esempio su tutti, La collana Chirikawa. Quello che è uno dei massimi gialli di Topolino, dalla trama complessa e dalle ardite scelte di regia, nasce dal suo desiderio di aiutare la zia e dalla curiosità su quello che stanno combinando Pietro Gambadilegno e Trudy. Un Mickey ficcanaso come se ne sono visti pochi nei suoi 90 anni di storie.
Tra gli autori successivi a Scarpa, che non realizzano semplicemente scialbi gialli del “Topolino vuoto” martiniano, alcune delle storie più interessanti sono quelle legate alla macchina del tempo, scritte spesso da Giorgio Pezzin. Con qualche eccezione, il protagonista è quasi sempre il Topolino “del fare”, che partecipa alle missioni nel tempo per puro amore dell’avventura. Analogo è il discorso per la saga della Spada di Ghiaccio di Massimo De Vita: pur avendo incontrato per caso Boz, sarà lui a offrirsi di salvare Ululand insieme a Pippo.
Tito Faraci invece è una delle voci più interessanti per il Topo “dello stare”. Influenzato dalla narrativa noir e hard boiled, nelle sue storie Topolino si ritrova spesso in situazioni più grandi di lui che non ha minimamente cercato. Dalla parte sbagliata e Anderville (primo numero di Mickey Mouse Mystery Magazine), due tra le sue avventure più riuscite, partono entrambe da presupposti simili, lo spaesamento del protagonista, catapultato in situazioni per lui aliene. Nel primo caso deve accorrere in Sud America a salvare Gambadilegno su richiesta di Trudy, nel secondo si ritrova a ereditare un’agenzia investigativa nella pericolosa città di Anderville.
In entrambi i casi è allontanato da Topolinia da un fattore esterno, che lo strappa al divano e alla sicurezza della sua cittadina per spararlo nell’avventura.
Contrapposto a Faraci, nei cuori dei lettori, c’è Casty, l’altro autore che negli ultimi decenni ha portato alla ribalta il Topolino avventuroso. Se Faraci preferisce le storie investigative, Casty ama imbastire sceneggiature alla Gottfredson o alla Scarpa, avventure pure spesso in luoghi esotici.
A prima vista il suo sembrerebbe un classico Topolino “del fare”, ma inquadrare le sue opere nelle due categorie non è così semplice. Se nella doppia storia Tutto questo accadrà ieri e Tutto questo accadde domani ci rientrano appieno, altre tra le sue storie migliori sono invece molto walshiane, a partire dall’inquiete Topolino e qualcosa nel buio e Topolino e i 7 Boglins, che non può non ricordare la già citata Topolino contro Topolino.
Per complicare il tutto, in uno dei suoi capolavori, ovvero Topolino e il mondo che verrà, abbiamo in azione un Topolino “dello stare” trascinato all’avventura da un’inedita Minni “del fare”, che ignora i suggerimenti del suo fidanzato con la testa a posto per cercare l’avventura come avrebbe fatto lui 50 anni prima.
Ultimo autore di questa carrellata, sapendo di aver tralasciato nomi importantissimi, è Pietro Zemelo. Giovane autore, classe 1985, ha al suo attivo molte meno storie di tutti quelli citati prima di lui, ma merita un posto in questo articolo perché ha mostrato varie volte di saper scrivere un ottimo “Topolino dello stare”, innervando le sue storie di vera inquietudine, pura scuola di Bill Walsh.
In Gli incubi a occhi aperti e L’inquietante Nyappo inserisce nella quotidianità di Topolinia degli elementi estranei e oscuri che sconvolgono la vita di Topolino, facendo venire dei brividi sulla schiena ai lettori più giovani e trascinando il buon vecchio Mickey ancora una volta fuori di casa a vivere l’ennesima avventura.