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Topolino apprendista stregone: l’eredità di Fantasia

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A Parigi ci sono molti Topolino. Lo so perché quando avevo otto anni i miei genitori mi portarono in vacanza lì. In un misto di assennatezza e curiosità scientifica verso i limiti della sopportazione umana, avevano programmato l’obbligata gita a Disneyland l’ultimo giorno, di modo che, qualsiasi sgarro avessi commesso, mi sarei visto negare la giornata-premio. Nel mezzo, venni comunque viziato con pranzi da McDonald – di questo ricordo moltissimi particolari ma soprassederò per rispetto (vostro e mio) – e incursioni in negozi di giocattoli, dove a un certo punto mi fecero scegliere un ricordo della vacanza.

Non so perché, ma tra tutti i giocattoli presenti in quel negozio scelsi Topolino, nella versione Apprendista stregone, con tunica bordeaux e cappello a punta. Credo fosse stata la commistione di colori ad affascinarmi. Quel copricapo azzurro trapuntato di stelle, la corda dorata che terminava con due piccole nappe e si stringeva alla vita del pupazzo.

A Burbank, in California, c’è un edificio con un cappello blu a punta, lo stesso che indossa il mio peluche. È l’edificio in cui realizzano i lungometraggi degli studi d’animazione Disney. Dentro era situato l’ufficio di Roy Disney, nipote di Walt. Topolino, in quella stessa mise, introduceva tutte le videocassette dell’azienda, rappresentandone lo stemma di qualità.

Ora le VHS non le fanno più, ma nei Disney Store il peluche di Mickey stregone è un pezzo immancabile. Anche chi ha frequentato il mondo Disney con casualità, non può non essersi imbattuto nel Topolino vestito da mago.

«Nel momento in cui inizio a disegnare Topolino diventano tutti bambini di sei anni» dice a Fumettologica John Pomeroy, animatore di Alla ricerca della valle incantata, I Simpson, Pocahontas e Atlantis- L’impero perduto. «Lo sentono nel profondo. E quando poi gli aggiungo il cappello da mago impazziscono. È magia.» La nascita di quell’icona è tutt’altro che magica ed è una storia di fallimento come poche nella Storia Disney.

Storia di un corto

Nel 1938, reduce del successo di Biancaneve e i settenani, Walt Disney era in pieno fermento creativo. Oltre all’abituale produzione di corti e delle Silly Symphony, lo studio stava iniziando i lavori sul secondo lungometraggio, Pinocchio. Ciò che fino a poco tempo prima sembrava un’impresa fuori dal comune – la realizzazione di un film animato – ora era già stata inglobata come pratica standard.

Disney trepidava di produrre un cortometraggio musicalmente ambizioso, una «super Silly Symphony» come la definisce il biografo Michael Barrier in Vita di Walt Disney – Uomo, sognatore e genio. L’idea alla base del corto era lo scherzo per orchestra di Paul Dukas L’apprendista stregone (1897), ispirata a sua volta all’omonima ballata di Goethe.

Topolino Apprendista stregone

Acquistati i diritti della musica, nel 1938 Disney pranzò con Leopold Stokowski ex direttore dell’Orchestra di Filadelfia e celebrità a Hollywood. I due entrarono subito in sintonia e il conduttore offrì i propri servigi a titolo gratuito. Disney era fuori di sé dalla gioia: «Attraverso questo medium combinato, potremmo fare cose che sarebbero impossibili per qualsiasi altra forma di film oggi disponibile».

Stokowski registrò la partitura nel gennaio 1938 nel corso di una sessione di tre ore. Non altrettanto celere si dimostrò la realizzazione del corto. A novembre, una proiezione del materiale fino ad allora prodotto mostrava diversi passaggi ancora sotto forma di storyboard.

A interpretare il ruolo di protagonista ci sarebbe dovuto essere Cucciolo, il nano beniamino del pubblico di Biancaneve. Ma Disney colse l’occasione per rilanciare la sua creatura più importante, Topolino.

Disney stesso ammise che il personaggio stava venendo confinato a ruoli sempre più limitati in una sessione di scrittura dell’agosto 1939: «Le cose con Paperino sono sempre divertenti, ma se cerchi di farlo con Topolino, sembra qualcuno che sta cercando di essere buffo». Mickey era diventato lo straight man che accompagnava Pluto o altri attori comici. Non cercava più l’avventura, l’aspettava sull’uscio di casa.

Fred Moore, papà del nuovo Topolino

Ripensare Topolino significava rivederne anche l’aspetto, compito che toccò al talento prediletto di Disney, Fred Moore. Tra i suoi lavori si annoverano i sette nani, il Bianconiglio di Alice nel paese delle meraviglie, Lucignolo e le sirene in Peter Pan.

Fred Moore definì l’estetica Disney e lo stile d’animazione. Prima di lui, tutto era come sospeso per aria o nell’acqua, le braccia erano tubi di gomma, qualsiasi cosa si poteva piegare annodare curvare fino allo sfinimento. Moore portò la concretezza. Il suo lavoro si distingueva per vitalità, rotondità, scioltezza, calore, fascino e carisma.

«Fred Moore incarnava lo stile Disney» disse Marc Davis. «Facevamo ognuno le cose a modo nostro ma il lavoro di Moore fu la base su cui poggiava tutto lo stile dello studio.»

fred moore Topolino Apprendista stregone

Moore nacque nel settembre 1911 a Los Angeles. Il suo retroterra riporta un’educazione non particolarmente sofisticata. Nessuno lo ricorda come un intellettuale, uno studioso o un critico del proprio lavoro. Gli bastò qualche lezione al liceo per comprendere i fondamentali. Poi, finita la scuola, lavorò come bidello in un istituto d’arte dove barattò la busta paga in cambio dell’accesso al corso di disegno.

Autodidatta, Moore possedeva una capacità innata di disegnare bene. Le cronache suggeriscono che non coltivasse nessuna passione per lo studio né cercasse di migliorarsi in qualche modo. Credeva che i suoi disegni non andassero analizzati più di tanto. Semplicemente disegnava, incapace di produrre un brutto risultato.

Sulla sua assunzione in Disney circolano diverse leggende, tra cui il mitologico racconto di una serie di disegni schizzati sulle buste della spesa e poi arrivati sulla scrivania delle risorse umane. Ciò che invece è sicuro è che Moore venne assunto nell’agosto 1930, all’alba dei diciannove anni. «Non passarono nemmeno 24 ore» ricordava un animatore, «e stava già realizzando grandi disegni. Non ci potevo credere». A differenza dei personaggi su cui lavorò, nessuno si ricorda alcuna evoluzione da parte sua. Arrivò, iniziò a disegnare e non smise mai di farlo in quel modo.

L’animazione era un terreno senza confini e un gioco senza regola, che i disegnatori dovettero inventare man mano che la partita si svolgeva. «Fred non si applicò mai» ricorda Ward Kimball. «Non studiava, era semplicemente un animatore dotatissimo il cui stile era perfetto, a tempo, e in sincrono con quello che stava cercando di diventare lo studio.»

La realtà, come sempre, si avvicina al mito, ma non del tutto. In Disney, Moore passò diversi mesi come apprendista di Les Clark. I due non potevano essere più diversi. Quattro anni più vecchio di Moore, Clark era stato uno dei primi animatori assunti da Walt Disney, lavorò come assistente di Ub Iwerk su Steamboat Willie e i successivi corti di Topolino. Nello studio era considerato lo specialista del personaggio. Perenne studente, compensava la mancanza di talento con la tenacia e la consistenza produttiva. Ci teneva a ritagliarsi del tempo, tra un incarico e l’altro, per frequentare corsi elezioni. Non fu l’animatore preferito di nessuno, ma ebbe una carriera lunga e priva di picchi, in negativo o positivo. Eppure i due avevano sensibilità vicine, entrambi disegnavano con stile sentimentale e personalità.

«Norm Ferguson aveva mostrato agli animatori come suggerire la vita in un personaggio. E ora Moore mostrò loro come accrescere quella sensazione, quasi al punto da far pensare che il personaggio fosse dotato di una personalità propria. La sua animazione era pura magia» scrisse Michael Barrier a proposito de I tre porcellini, cortometraggio del 1933 con cui Moore gettò dalla finestra quelle animazione inconsistenti. Propose uno stile realistico e vivido, fornendo le basi per tutta l’animazione Disney successiva.

fred moore Topolino Apprendista stregone

«Fred era l’uomo giusto al momento giusto» ebbe a dire Kimball. «Fu il primo a uscire dal modello dei tubi di gomma e della scuola dei cerchi tondi, imponendo il proprio stile allo studio invece che il contrario.»

«Don Graham vi può spiegare la regola, io vi dico solo che così è più bello» era la frase tipica di Moore. Graham fu il primo vero insegnante di animazione nella Storia del mezzo e rappresentava tutta la teoria da cui Moore era fuggito. Fred lavorava d’istinto, era tutto di pancia, ma era la pancia più intelligente del mondo.

Prima di lui, le espressioni erano approssimative, la recitazione dei personaggi serviva soltanto per comunicare le informazioni emotive più generiche. Con I tre porcellini, invece, Moore costruì su misura di ogni personaggio un profilo psicologico che si portava dietro movenze e manierismi. Dopo di lui anche il corpo dei personaggi partecipa alla recitazione, non soltanto il volto.

Proseguì la sua opera curando il design dei nani di Biancaneve e i sette nani, altro contributo fondamentale al canone, e addestrando alcuni dei futuri Nine Old Men come Frank Thomas e Ollie Johnston. E poi, alla fine degli anni Trenta ripensò il design di Topolino, che era da anni troppo limitato per le evoluzioni compiute dall’animazione. Ingrandì la testa, aggiunse le pupille, le guance e gli diede un corpo a forma di pera che poteva esprimere emozioni lungo tutto lo spettro.

Il temperamento fumantino e l’alcolismo (che all’epoca veniva considerato più un difetto caratteriale che una sindrome patologica) condussero al suo licenziamento. Fu solo grazie ai buoni uffici di Johnston e altri che Moore tornò in Disney nel 1948, dove lavorò fino alla sua morte nel 1952, in un incidente stradale. Lo studio avrebbe poi sviluppato uno stile diverso, meno opulento e romantico rispetto ai gusti di Disney che Moore aveva così ben incanalato.

«Moore aveva uno stile particolare, disponeva le forme in un modo che era economico e sofisticato allo stesso tempo. E molto organico» spiega a Fumettologica Will Finn, regista e animatore di Aladdin, Labella e la bestia e Il gobbo di Notre Dame. «Quasi tutto quello che disegnava era tondo e ovale. Morbido, come impasto per il pane. Ma la disposizione e la spazialità delle forme erano piene di energia. Erano disegni che catturavano l’attenzione.»

Topolino apprendista stregone: alchimia di un successo

L’apprendista stregone vede come protagonista un nuovo Topolino. Non soltanto nell’aspetto ma anche nel carattere. A bottega da Yen Sid, un potente e anziano mago, Mickey è relegato a pulire i pavimenti e svolgere faccende molto poche magiche come andare a prendere l’acqua dal pozzo. Yen Sid è capace di mirabolanti incantesimi e Topolino, desideroso di cimentarsi nelle stesse pratiche, prende in prestito il cappello dello stregone, credendolo l’unica fonte del potere.

Topolino Apprendista stregone

In realtà, senza lo studio e l’esperienza, Topolino non riesce a controllare la magia. Dopo aver dato vita a una scopa affinché compia le mansioni al posto suo, l’apprendista è incapace di fermare la creatura e la situazione gli sfugge di mano.

Gli animatori mischiarono un’animo infantile con i manierismi di Charlie Chaplin per dare a Topolino una qualità da amorevole monello. La tunica più grande di due misure e la prossemica bambinesca rinforzarono il lavoro di Moore. Il disegnatore si era infatti sforzato di implementare la gradevolezza, il movimento sinuoso, e l’economicità delle forme che riescono comunque ad accogliere le sfumature.

Con un nuovo design e una storia che avrebbe dovuto ridare lustro al personaggio, L’apprendista stregone venne coccolato come poche altre produzioni. I costi divennero talmente alti che Disney dovette trovare un modo per ripagare l’investimento. La soluzione fu Fantasia, film-concerto che unisce vari cortometraggi ad altrettante composizioni classiche, implementati dalle nuove tecniche dello studio.

Punto d’orgoglio per il papà di Topolino, l’antologia a cartoni Fantasia vantava un innovativo sistema audio e una fattura impressionante, conseguenza del folle innamoramento di Walt per il progetto. Il biografo Michael Barrier ricorda che il budget di Fantasia aumentò a dismisura – solo L’apprendista stregone costò 160.000 dollari, tre o quattro volte il costo di un normale cortometraggio – perché Disney imponeva continui aggiustamenti «non per riparare a un errore ma per lucidare un vero e proprio gioiello».

Topolino Apprendista stregone

Gli spettatori non condivisero l’amore per il film-concerto e gli sforzi di Disney non spinsero il pubblico statunitense nei cinema. Con il mercato europeo tagliato fuori dalla seconda guerra mondiale, il film si rivelò un insuccesso. Peggio, unito al flop di Pinocchio, Fantasia per poco non mandò gambe all’aria l’azienda, portando a tagli del personale e a un importante sciopero. Senza volerlo, la parabola di un mago che perde il controllo dei suoi stessi incantesimi fu profetica per il destino dello studio. Lo studio avrebbe realizzato il successivo Dumbo in tempi lampo e con mezzi frugali nella speranza – poi concretizzata – di fare cassetta.

Il pubblico scoprì Fantasia e L’apprendista stregone negli anni successivi, grazie alle ridistribuzioni. «Ogni sette anni lo facevano uscire» ricorda John Pomeroy. «Uscì quando avevo diciotto anni ed era proprio il periodo giusto. Vivevo a Riverside, in California e appena finito scuola portai la mia fidanzata, sua madre e due amici nel cinema più vicino, che distava 50 miglia da casa mia.» Pomeroy, appassionato del corto, scelse proprio Topolino come soggetto per la sua prima animazione, che poi inserì in un portfolio da sottoporre alla Disney.

«Ricordo che, forse fu Frank a dirmelo, c’è una scena con Topolino sul promontorio in cui gioca con le stelle e le guida per il cielo. Mi disse che quella scena era una rappresentazione di Disney all’apice del suo potere creativo. Era il mago dei suoi film e Topolino era la sua immagine», spiega Pomeroy.

will finn Topolino Apprendista stregone
Topolino apprendista stregone, secondo Will Finn in un disegno per Fumettologica

Forse anche per questo, quando negli anni Novanta lo studio decise di riprogettare gli edifici adibiti all’animazione, l’architetto Robert A.M. Stern scelse il cappello a punta dello stregone come elemento attorno a cui costruire gli ambienti.

Il Topolino de L’apprendista stregone è emblatico dei prodotti Disney, di quello che l’azienda produce attraverso le sue ramificazioni, siano film, serie tv, cartoni o fumetti. «È la perfetta icona dello studio. Rappresenta il sogno, la realizzazione del sogno, la magia, la fantasia che ha reso noto lo studio» dice Pomeroy, «rappresenta l’appeal e la vita nell’animazione, una cosa che è solo carta e grafite. Una vita che può essere sperimentata solo al cinema».

In seguito a L’apprendista stregone, Topolino si sarebbe normalizzato e da campagnolo indiavolato sarebbe diventato un bolso everyman, imborghesendosi tanto nei modi quanto nell’aspetto. Non sarebbe più stato una figura di rottura ma un canone che si doveva confrontare con le personalità forti e i corpi comici di Pippo e Paperino.

Ollie Johnston disse che «dopo L’apprendista stregone non ci fu più un buon corto di Topolino. Iniziarono a disegnarlo in maniera diversa, ma non era il disegno il problema – non avevano niente di buono da fargli fare».

Tra il 1941 e il 1965 lo studio realizzò 109 cortometraggi con Paperino, 49 con Pippo e solo 14 con Topolino. Nel 1953 The Simple Things (da noi Topolino a pesca) sarebbe diventata la sua ultima apparizione cinematografica, in quello che sembrerà a posteriori un commento sull’inadeguatezza del topo di fronte alla modernità. A Topolino non restavano che le cose semplici, diceva il cortometraggio, come un pomeriggio a pescare carpe, perché non poteva più affrontare la complessità. Più che un addio, una ritirata. Ci sarebbe voluto, trent’anni dopo, l’unione con un altro classico, Il canto di Natale di Charles Dickens, per riportare Topolino nella mente di tutti.

Per i festeggiamenti dei novant’anni, Topolino ha scavalcato la rappresentazione degli anni Cinquanta, preferendo tornare all’immagine arcaica del Mickey anni Venti, che è stata al centro della comunicazione verso i consumatori in quest’ultimi mesi.

Ma nessun passaggio dell’evoluzione grafica del Topo va dimenticato, come afferma Pomeroy: «Riscoprire le componenti che hanno reso Topolino un personaggio perfetto, dallo stile ai “tubi di gomma” al digitale, è come riscoprire le origini dei tuoi antenati, non puoi portarlo nel futuro se prima non ti immergi nel passato del personaggio. Ci saranno sempre disegnatori che riscopriranno Topolino attraverso L’apprendista stregone e poi inventeranno qualcosa di nuovo per lui».

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