In occasione del Festival La violenza illustrata di Bologna (7 novembre/4 dicembre 2018) e del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, proponiamo una sintesi degli incontri pubblici a cura di Canicola con Ancco, autrice coreana della graphic novel Ragazze cattive (Canicola, 2018). Il libro ripercorre il quadro oscuro e brutale dell’adolescenza coreana negli anni Novanta, tra soprusi di violenza in un periodo di forte crisi economica e morale del paese.
Nell’aprile di quest’anno, Ancco – già premio rivelazione al Festival di Angoulême nel 2017 – è stata ospite del Far East Film Festival a Udine con una mostra personale presso Casa Cavazzini – Museo di arte moderna e contemporanea e per un incontro pubblico condotto da Darcy Paquet, successivamente a Bologna l’autrice ha incontrato le ragazze e i ragazzi dell’Istituto professionale Aldrovandi Rubbiani e Fabiola Naldi in un incontro pubblico presso la Biblioteca Italiana delle Donne e Centro delle donne e in collaborazione con il festival La violenza illustrata. A Roma è stata ospite della libreria Tuba, per una presentazione del libro in collaborazione con l’associazione Scosse e a Napoli, in occasione del Comicon, Alessio Trabacchini e Roberta Barbato hanno dialogato con l’autrice per un incontro presso L’Orientale di Palazzo Corigliano.
Il testo che segue fonde alcune delle domande di tutti i moderatori che hanno partecipato in un’unica voce con le risposte dell’autrice.
In occasione dell’arrivo in Italia di Ancco è stato chiesto un disegno di tributo ad alcune giovani autrici tra le più promettenti e apprezzate del panorama nazionale: Chiara Abastanotti, Eliana Albertini, Eleonora Antonioni, Giulia Cellino, Irene Coletto, Sarah Mazzetti, Maria Melotti, Cristina Portolano, Silvia Righetti, Silvia Rocchi, Serena Schinaia, Josephine Yole Signorelli, Alice Socal (all’interno dell’intervista se ne trova una selezione).
Leggi le prime pagine di Ragazze cattive
Da dove viene il nome Ancco?
Il mio vero nome è Choi Kyung Jin, quando ho deciso di usare Ancco non sapevo che sarei diventata nota con questo nome. Da piccola mia sorella studiava cinese e ripeteva continuamente “ancco” che significa “assurdità”. Il suono mi piaceva e così adottai questa parola come nome. Qualche anno dopo un editor cinese mi ha detto che “ancco” non esiste nella sua lingua… il nome non è nato quindi da un significato, ma dall’entusiasmo che ho provato nel sentire questa parola.
Come sei diventata fumettista?
Ho sempre disegnato, soprattutto la mia quotidianità, affiancando il disegno alla scrittura. Nel tempo ho creato dei veri diari, che colleziono da quando avevo nove anni, e la cosa divertente era farli leggere ai miei amici e vederli ridere. A quel tempo andavano in voga i manga e i cartoni animati giapponesi con occhi grandi e viso occidentalizzato, mentre io disegnavo cose “strane”, totalmente diverse, forse è stato questo ad affascinarli.
Mi sono poi iscritta a una scuola di fumetto in Corea dove ho iniziato a lavorare più seriamente e ho proposto i miei diari a una società di webcomics molto importante in Corea.
Ho lavorato ai webtoons per circa due o tre anni. È stato un periodo molto impegnativo: dovevo pubblicare tre volte a settimana, era quasi una schiavitù! Anche se i miei diari piacevano e venivano letti da molti lettori coreani non ero molto convinta di continuare con i webtoons. Un mio professore poi mi fece conoscere la casa editrice Sai Comics e così ho iniziato a collaborare con loro.
Leggi anche: La cattiveria delle ragazze (coreane) e il dramma di Ancco
Il tuo fumetto, Ragazze cattive, edito da Canicola, è ambientato nel presente e nel passato. La protagonista, Chinju, una fumettista trentenne, ripercorre la sua adolescenza e i suoi ricordi che seguono una cronologia esatta. In quale momento della tua vita hai deciso di lavorare su Ragazze cattive? Quanto tempo hai impiegato per realizzarlo?
Quest’opera ha avuto dieci anni di preparazione e ogni anno andavo incontro a fallimenti, è stato un periodo difficile e doloroso. Quando Sai Comics è entrata in crisi, è stato un brutto periodo per noi autori. Mi sono sentita molto sola, avevo paura ma sono andata avanti e ho iniziato a lavorare al libro sulla mia adolescenza.
Il libro parla di violenza su giovani donne, è una violenza sistemica: fa parte della quotidianità e viene accettata da chi la subisce. Le vittime non si percepiscono come vittime, per questo non riescono a venirne fuori e, dall’altra parte, il non sentirsi vittime dà la forza di continuare a vivere. Perché hai scelto di raccontare la tua esperienza di violenza? C’è una dimensione di genere?
Non ho scelto la mia storia personale, è venuta fuori dal disegno. Volevo raccontare una storia che sentivo nel mio cuore. Inizialmente i miei ricordi adolescenziali erano divertenti, quindi dovevo realizzare un fumetto comico, ma col tempo è cambiata totalmente la mia percezione degli eventi passati e l’impostazione del fumetto.
Non volevo rappresentare una violenza nello specifico, volevo raccontare dei giovani che vivono situazioni di violenza di cui è difficile parlare. Non vorrei che la violenza da me narrata venisse fraintesa come violenza di genere.
La violenza non riguarda solo l’esperienza domestica, è una violenza istituzionalizzata, portata avanti dai professori e dalle professoresse e da tutte le figure che incontra la protagonista, condivisa non solo da lei, ma da tutte le ragazze che l’accompagnano in questa sua crescita. Il libro è ambientato nella Corea del Sud negli anni Novanta, in un periodo di crisi economica e di grande difficoltà. La situazione oggi è migliorata?
Dagli anni Novanta fino al Duemila in Corea c’era il Fondo Monetario Internazionale e la crisi economica per i forti debiti del Paese. Le violenze erano consentite dalla società coreana.
A scuola mi hanno picchiata con un banco. Era normale che una famiglia caldeggiasse i professori affinché mantenessero una linea di durezza nel rapporto con i propri figli. Credo che oggi gli adolescenti siano cambiati e che le cose siano migliorate. Però nell’ambito domestico non so. Ho preso coraggio nel tentativo di essere un po’ di aiuto a questi ragazzi che subiscono violenza domestica.
Tu hai la capacità di raccontare le cose più tremende con grande naturalezza e senso di tragedia. Le ragazze del fumetto condividono un percorso di crescita e di rivendicazione della propria libertà, senza sentirsi delle vittime, ma riuscendo comunque a trovare anche dei momenti di felicità, condivisione e divertimento, al di là delle violenze subite. Perché hai deciso di far diventare l’amicizia l’elemento centrale del racconto e che ruolo ha nella società contro la violenza?
Il significato di amicizia per me è molto importante, per questo ho sottolineato questo legame nel libro. Volevo mostrare che con gli amici, qualsiasi cosa diventa bellissima.
Frequento ancora le ragazze apparse del fumetto. Le ho conosciute quando avevo quattordici anni. Sono molto importanti per me, ho imparato moltissimo da loro e mi hanno insegnato a vivere.
Leggi anche: 5 motivi per leggere “Ragazze cattive” di Ancco
Nel fumetto c’è una tragica, inevitabile ironia. Nella parte in cui queste ragazze si trovano in un quartiere a luci rosse di Seul, un signore si masturba davanti a loro e le ragazze ridono: non c’è coscienza, è una presa in giro. Quanto è importante l’umorismo nella tua vita e nei tuoi lavori?
Penso di avere un discreto senso dell’umorismo. C’è una sorta di aspetto agrodolce nei miei lavori: l’umorismo fa esaltare la tristezza di quella situazione. Volevo rappresentare il mio passato e trasmetterlo ai lettori. Essendo una fumettista, avevo gli strumenti necessari per raccontarlo.
La prima cosa che emerge con potenza e inquietudine è il nero che pervade l’intero racconto. Che significato c’è dietro a questa scelta stilistica?
Il bianco e nero è adatto a riprodurre le immagini e le sensazioni della mia mente. Tramite questo fumetto volevo raccontare le mie emozioni, confuse, che non sapevo come spiegare se non attraverso il colore nero. Mentre lo facevo non mi rendevo conto di quanto fosse buio e scuro, ma non avevo altro modo per raccontare questa storia.
La città è quasi impercettibile, è presente solo quando le ragazze fuggono nei quartieri a luci rosse. Sono rappresentati muretti, angoli di stanze, bagni della scuola, luoghi chiusi. All’inizio si sentono le rane gracchiare, è l’unico momento di sinestesia totale in cui ci si immerge in un momento notturno che trascina subito dentro la storia. Perché solo luoghi chiusi, perché la città è resa in modo quasi invisibile?
Questi sono i posti che frequentavo, non li considererei dei luoghi chiusi o pericolosi. Erano i posti in cui io e le mie amiche vivevamo. Ho rappresentato il fumetto nella maniera più istintiva possibile.
Le protagoniste appartengono a due ceti sociali diversi: mentre tu appartieni alla classe borghese impoverita, Jong-Gae vive in una situazione di disagio economico e familiare. La differenza sociale è qualcosa che appartiene al tuo vissuto?
L’ambientazione è un’area periferica della Corea dove ci sono due piccoli villaggi, uno povero e l’altro, dove vivevo io, più abbiente in cui gli abitanti avevano pregiudizi nei confronti degli abitanti dell’altro villaggio.
Io stessa ero arrogante e mi sentivo superiore rispetto ai più poveri: da piccola ero veramente una stronza con i bambini più umili. Proiettavo la differenza sociale verso gli altri inconsciamente, ascoltando quello che dicevano i miei genitori.
Col tempo, conoscendo questi bambini, li ho rivalutati. Ho capito quanto era difficile per loro portare questo fardello e da che mondo ipocrita io provenissi. Provavo senso di colpa perché tutto sommato vivevo in una famiglia con una situazione abbastanza normale. Le storie dei miei amici erano crude e loro subivano delle violenze peggiori delle mie.
Chinju trova la sua strada di crescita e di uscita dalla violenza, mentre Jong-Gae rimane in qualche modo intrappolata in questi meccanismi. Prima parlavi di sensi di colpa, secondo te dipende anche dall’estrazione sociale ed economica differente tra queste due ragazze?
Non saprei, per me la vera domanda è: abbiamo un posto in cui tornare oppure no? Io ce l’avevo per questo mi sentivo in colpa… è una sensazione molto difficile da spiegare.
Cosa hai provato quando hai finalmente pubblicato il libro? Il fumetto è stato un mezzo esorcizzante?
Appena consegnato il libro ero felicissima perché finalmente ero riuscita a raccontare tutto della mia storia, ho avuto la sensazione di aver chiuso un capitolo della mia vita e questo mi ha dato un senso di sollievo.
Non avevo nulla da esorcizzare perché non sentivo dolore, provo affetto per quelle persone. Nella mia infanzia non vedo solo violenza e dolore ma momenti piacevoli e di allegria. Certo è che ho provato una grandissima gioia nel creare questo fumetto, mi ha arricchito moltissimo. Mi aspettavo la stessa reazione anche da parte dei miei genitori, ma inizialmente non è stato così. È stato tragico, ma ora loro mi appoggiano molto.
Oltre a Ragazze cattive hai realizzato altri tipi di lavori diversi in stile e contenuto.
Finora ho lavorato principalmente a due tipi di progetti. Ogni giorno disegno in un quaderno cose che mi ispirano e li pubblico, è una sorta di diario. In generale mi piace catturare istanti divertenti e disegnarli e in questi casi mi piace utilizzare il colore. Lo stile è più immediato, veloce, non ci sono testi e improvviso.
Quando poi decido di realizzare una storia più importante, come Ragazze cattive, lavoro in base ai contenuti realizzati nei diari. Il lavoro è lungo e meditato, sia per la scrittura sia per il disegno.
In Europa questo libro sta ricevendo molte attenzioni. Il premio di Angoulême ti ha fatto apparire in modo diverso agli occhi dei coreani?
Il libro ha superato i confini nazionali, è stato pubblicato anche in Francia dove è stato premiato, ma c’è stato una sorta di distacco da parte dei francesi. Il premio di Angoulême è stato un riconoscimento molto importante, adesso ricevo molti apprezzamenti e il fumetto è stato valorizzato anche in Corea. Prima di questo premio il pubblico di massa coreano non riusciva a capire il mio lavoro. Sono rimasti in silenzio, non so se per imbarazzo, per via dello stile atipico del fumetto, oppure perché era talmente pregnante il dolore che non sono riusciti a rispondere, forse perché coinvolti in situazioni analoghe.
Ragazze cattive fa parte del progetto “Dalla parte delle bambine” curato da Canicola associazione culturale che propone percorsi pedagogici volti alla diffusione di una cultura della non discriminazione.
[la redazione del testo stata curata da Eleonora De Florio e Debora Mazza]
Ragazze cattive fa parte del progetto “Dalla parte delle bambine” curato da Canicola associazione culturale che propone percorsi pedagogici volti alla diffusione di una cultura della non discriminazione.
Il progetto è sostenuto da: Comune di Bologna – Pari Opportunità e Tutela delle Differenze; Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna; Biblioteca Italiana delle Donne di Bologna.