di Luca Raffaelli*
Quello che cambia, con gli smartphone e con i computer, è che un tempo i genitori vedevano (e controllavano, e spesso criticavano a sproposito) ciò che appassionava i figli. Oggi questo non accade più. Le nuove tecnologie favoriscono la visione solitaria in qualsiasi momento della giornata. La fruizione è diventata antidisneyana. E anche se i film continuano a essere visti al cinema questo non è più il luogo rituale dove si vive l’evento unico e irripetibile. E infatti, guarda caso, le nuove serie che hanno sconvolto il mondo del cartoon sono adatte a questo capitolo.
Nel terzo episodio della serie Rick & Morty peraltro accade questo: Jerry, il capofamiglia (padre di Morty e genero di Rick), requisisce tablet e smartphone perché sia onorata degnamente la festa di Natale. Tutto questo prima che arrivino in casa Rick con un senzatetto vestito da Babbo Natale (che poi usa come cavia per i suoi esperimenti) e i suoi genitori, che si presentano insieme a Jacob, il loro giovane amante.
Rick & Morty è un cartone iperdinamico ispirato alla serie Ritorno al futuro e zeppo di citazioni di fantascienza. Ha esordito nel 2013 creata dagli statunitensi Justin Roiland (che nasce come doppiatore di videogiochi e dà la voce originale a entrambi i protagonisti) e Dan Harmon (anche lui attore e poi sceneggiatore, ideatore della serie tv Community) per Adult Swim, il segmento notturno di Cartoon Network.
La serie sovverte i canoni classici: qui è nonno Rick ad essere il motore dei vari episodi. È lui che coinvolge Morty in avventure travolgenti. Ma, attenzione: non c’è alcun movente affettivo. Il nonno (che tra l’altro sbava e rutta di continuo) persegue i suoi scopi senza alcuna attenzione nei confronti del nipote, senza guardare in faccia nessuno, neanche le sorti del mondo intero.
La serie è così fuori dalle righe che stridono le forme di autocensura: si può parlare di perversioni sessuali, si può mostrare Morty carezzato a letto da due ragazze, ma non si mostra mai alcuna nudità. E qui torna in mente Marge Simpson imbarazzata di fronte al David di Michelangelo; ma possibile che in una serie (per di più vietata ai minori di 14 anni) si possano mostrare teste tagliate e fiotti di sangue (comici, ovviamente), ma non una tetta o un pisello?
Il cavallo che capovolge il mondo
A parte questo, e nonostante il suo ritmo irresistibile, Rick & Morty è ancora un cartone (a suo modo) buonista, che si stupisce ogni volta di ogni sua trovata esagerata, proprio come fa il capofamiglia Jerry delle stranezze che vede intorno a sé. Piuttosto la serie che ha davvero capovolto il mondo disneyano (e anche quello dei Simpson) è BoJack Horseman.
Perché il suo mondo è un (amaro ed esilarante) inferno senza redenzione, dove gli uomini sono costretti a nutrirsi di falsi miti (che poi sono sempre quelli: la carriera, il successo, i soldi, il proprio ego) e i soli sostegni possibili sono l’alcol, la droga, il consumismo (o il sesso, ma vissuto male). In quella Hollywoo a cui manca una D non ci sono cuori da seguire. Tanto, anche la felicità che ne scaturirebbe sarebbe finta e di breve durata.
Nella serie creata nel 2014 dal californiano Raphael Bob-Waksberg per Netflix non c’è salvezza perché non c’è un angolo felice, una famiglia in cui trovare riparo, un sogno da realizzare. Prima o poi doveva accadere anche nei cartoon: il mondo è crollato. Il male che attraverso Disney riuscivamo a distruggere ha vinto su tutta la linea. Possiamo solo ridere sulle nostre ceneri. Addio.
Happy end
Si può dire che il tempo, il passaggio degli anni, sia stato in qualche modo antidisneyano? E che oggi la mamma di Tamburino sarebbe spernacchiata dalla gran parte dei personaggi dei cartoni (anche per bambini)? Forse sì, ma comunque anche grazie a Disney, certamente. E comunque, sarebbe interessante vedere la reazione del grande Walt di fronte a cartoni come South Park o Beavis & Butt-Head o, figuriamoci, BoJack.
E se sul mondo di oggi si può dire tutto il male possibile (e a ragione), non c’è dubbio che una parte del mondo della comunicazione (ad esempio quella dei cartoni animati) permette un’ampiezza di vedute, di stili, di possibilità che fino a qualche anno fa sarebbe stata impensabile. Ci sono alcuni cartoni inguardabili, certo, ma quello rientra nelle leggi della natura.
Anzi dirò di più: se non ci fossero le guerre, la corruzione, la terribile divisione tra mondo ricco e mondo povero, il razzismo, l’inquinamento, il terrorismo, il disagio sociale, l’orrenda gestione del potere della maggior parte delle persone di potere, certa stupidità generale, l’incapacità degli adulti di ricordare chi si era quando si era più giovani e la mancanza d’identità e di coraggio dell’animazione televisiva europea in generale e di quella italiana in particolare, si potrebbe anche essere orgogliosi del nostro tempo.
*Questo articolo è un estratto del saggio Le anime disegnate – Il pensiero nei cartoon da Disney ai giapponesi di Luca Raffaelli − giornalista, saggista e sceneggiatore italiano esperto di fumetti e animazione −, pubblicato da Tunué a novembre 2018 in edizione ampliata e aggiornata.