Salgari a fumetti. Sono più di due anni che osservo con curiosità, ma non riesco a decidermi a scrivere della nuova iniziativa editoriale di Star Comics. Da un lato, mi rendo conto di quanto sia complesso e quanto timore possa incutere affrontare Emilio Salgari per realizzare una o più “riduzioni” a fumetti (il termine è volutamente tra virgolette: cos’altro può essere se non una diminutio rispetto al mare di storie e personaggi creati dall’autore scaligero?) del suo ciclo di romanzi più famosi, cioè quelli dei Pirati della Malesia, capitanati dall’inarrivabile Sandokan.
Dall’altro, temendo il peccato di ubris altrui, mi sono astenuto. E nonostante abbia sempre considerato profondamente vera una citazione di W Somerset Maugham: «Deve essere un mio difetto – diceva lo scrittore inglese –, ma i peccati altrui non mi scandalizzano – sempre che non mi riguardino personalmente», ho esitato. Ecco, forse perché sento che Salgari in qualche modo mi tocca personalmente: non penso ci siano altre spiegazioni.
Tutto questo fin con la prima “sentinella”, un piccolo albo-teaser distribuito in occasione del Free Comic Book Day 2017. Poi, è uscito il primo volume, che ho letto con piacere complice una forte influenza. Uno di quei momenti con febbre da cavallo, che ti lasciano spossato e immemore di tutto quel che è accaduto nei giorni precedenti. Questa forse la mia timida scusa nel non aver proceduto alla scrittura. Sono passati altri mesi ed è uscito il secondo volume della collana Sandokan, con un terzo che lo ha seguito. Passati un altro po’ di arretrati, ho ripreso il primo volume, l’ho riletto da capo a piedi questa volta nel pieno possesso delle mie facoltà, e poi idem per il secondo. Il terzo invece ancora deve aspettare un po’: meglio mettere in fila questi pensieri senza indugiare ulteriormente.
Vediamo cosa ho trovato, cosa mi è piaciuto e cosa invece mi lascia perplesso. Cominciamo dalla prima cosa sulla quale ho cambiato opinione: il formato. I volumi cartonati sono di ottima qualità e costo paragonabile (cioè: formato 19×26 cm, foliazione 144 pagine in bianco e nero, al prezzo di 20 euro). All’inizio, lo giudicavo un prezzo eccessivo, così come la scelta del formato. Poi, leggendo le storie ho cambiato decisamente idea. È una collana che nasce già per essere collezionata. E non solo perché arriva per celebrare i trent’anni di Star Comics. L’ambizione è maggiore. Ogni volume è sostanzialmente diviso in due parti: una storia lunga che ripercorre e attualizza una avventura del ciclo delle Tigri di Mompracen (cioè dei Pirati della Malesia, per chi davvero ignorasse completamente l’epica di Salgari), e una serie di storie brevi che invece sono il tentativo (ben riuscito) di raccontare storie ambientate nel mondo di Sandokan, anche se scritte oggi da altri autori. Storie parallele, le definiscono quelli di Star Comics, rendendo molto bene l’idea.
Il primo volume, Le tigri di Mompracem e altre storie, è assolutamente filologico, così come il secondo, I misteri della giungla nera e altre storie. A giudicare dal titolo, anche il terzo volume segue il medesimo schema. A dire il vero addirittura la scelta di non “ribilanciare” il ritmo del racconto è filologica, come osserva lo sceneggiatore Luca Blengino a proposito dell’adattamento che ha messo in scena nel secondo numero con I mistri della giungla nera: «Il “critico fumettistico” rileverà ad esempio come sia, per dirla in gergo tecnico, arrivato corto sul finale: la vicenda, dopo aver traccheggiato a lungo fra inseguimenti, fughe e agguati, giunge al suo climax e allo scioglimento conclusivo in una manciata di pagine appena. Questa caratteristica era una prerogativa salgariana, dovuta probabilmente alla struttura a puntate dell’opera. Per una questione di fedeltà, nell’adattamento ho preferito mantenere questa impostazione “ritmica”».
Mentre la prevalenza degli autori delle sceneggiature è maschile, c’è un crescendo di matite e pennelli al femminile. La sola Michela Cacciatore nel primo volume, e la totalità delle artiste nel secondo volume: Francesca Follini, Alessia De Vincenzi, Valentina Pinti.
I pregi maggiori dei primi due volumi che ho imparato ad apprezzare nel tempo sono nello sforzo di interpretare il ciclo dei pirati della Malesia in maniera moderna e al tempo stesso corretta e rispettosa dell’originale. La parola chiave è “fedeltà”, che non vuol dire però sedersi sul lavoro pittorico degli illustratori delle edizioni di fine Ottocento e dei primi del Novecento assorbendone stili e caratterizzazione dei personaggi.
Invece, il fumetto come il cinema è anche divulgazione, quando abbraccia un’opera che nasce come libro. O meglio, come feuilletton, in questi primi due casi, anche se poi Salgari e i suoi editor di casa editrice curavano particolarmente la messa in volume, con cambiamenti di forma, accenti, toni e a volte anche strutturali importanti). Sono dunque meritevoli le nuove caratterizzazioni e lo studio dei personaggi in chiave moderna, ma anche il linguaggio svecchiato da parte dell’enfasi salgariana nei dialoghi e nelle descrizioni (cosa che comunque sarebbe dovuta avvenire in ogni caso, com’è regola nelle traduzioni da un formato all’altro), nonché le nuove avventure “parallele” ispirate e portate avanti alla maniera di Sandokan e del suo universo.
Mi lascia più perplesso non tanto la parte critica che arricchisce ogni volume – ci sta, dopotutto: da tempo lo fa (e meritoriamente) anche Disney per i suoi albi di fumetti destinati a un nostalgico pubblico adulto fornendo finalmente quel contesto (fin troppo, a volte) che per più di quarant’anni venne completamente negato su Topolino, sugli Almanacchi e sui Classici e Grandi Classici – quanto le schede autore e la generale impaginazione delle pagine di testo. Non sono manie personali: per me è proprio una questione di sintassi editoriale. Sono pagine “enormi”, ariosissime, che fanno quasi pensare a un aiuto per i lettori della seconda (quasi terza) età come me, che forse così possono fare a meno di usare gli occhiali, necessari invece per la dimensione del lettering e la densità di dettagli delle tavole a fumetti. Ecco, è questo salto o discontinuità tra la forma del testo e quella del fumetto che mi spiazza, soprattutto in un’opera cartonata che ha l’ambizione di voler restare e farsi collezionare, mettersi in bella mostra sullo scaffale dell’appassionato.
Le storie mi piacciono, la ricchezza polifonica dei volumi ancora di più, la sensazione che sia una collana che parta piano ma stia crescendo la rende ancora più piacevole. La cadenza semi-annuale fa pensare al migliore Luca Enoch (secondo me il punto di riferimento di chi porta avanti un progetto “laterale” per un decennio, un albo all’anno, senza tentennamenti) e, se arriverà a chiudere la serie di romanzi del ciclo di Sandokan, Yanez e Tremal-Naik, ci troverà tutti indistintamente con i capelli decisamente più bianchi di oggi.
C’è, a parer mio, nella volontà di Star Comics di fare una collana come questa, una ambizione che poggia su molti livelli. Il primo è quello dell’omaggio a Salgari, indubitabile e ben gradito. Il secondo è appropriarsi con coraggio e spirito combattivo di uno dei più grandi generatori di miti in lingua italiana. Salgari è enorme ed è ovunque: la sua influenza si spinge in tantissima narrativa popolare del nostro Paese e non solo. Il terzo è proprio e specifico di Sandokan: è la parte più visibile e conosciuta dell’opera di Salgari, ma è anche un eroe a tutto tondo, conosciuto e comunicato per cinque quarti di secolo; ripartire da Sandokan è come ricreare una icona pop del Dopoguerra come Tex Willer e andare avanti. L’idea di farlo a fumetti ma in maniera così ricca, seppur filologica e rispettosa, è coraggiosa.
Il punto di arrivo di tutto questo? Probabilmente non una rivoluzione, ma sicuramente una collana, se andrà avanti ancora, destinata a passare alla storia del fumetto italiano per ambizione, intelligenza e una certa abilità nell’esecuzione.