Quaranta anni fa uscì nelle edicole un fumetto italiano doppiamente importante, sebbene oggi un po’ dimenticato. Era l’opera più matura di Bonvi, un autore che si sarebbe affermato tra i grandi maestri dell’epoca, e la più sorprendente fra le opere della collana più sorprendente del decennio. Si trattava de L’uomo di Tsushima, tredicesimo volume di Un uomo un’avventura, pubblicata da Cepim (oggi Sergio Bonelli Editore).
La collana Un uomo un’avventura è stata, dopo l’ideazione della rivista Linus, la singola iniziativa editoriale che più ha ridefinito, mettendola in crisi, la tradizionale distinzione tra fumetto popolare e fumetto d’autore in Italia. Sergio Bonelli la aveva fortemente voluta ed aveva chiamato a parteciparvi le maggiori firme del fumetto nazionale, per creare dei veri e propri romanzi a fumetti di argomento e ambientazione liberi. L’unico vincolo era dato dal filo rosso reso esplicito sin dal titolo: dovevano essere storie d’avventura.
In una collana ricca di storie drammatiche, perlopiù di ambientazione bellica, realizzate da maestri del fumetto realistico/naturalistico quali Pratt, Toppi, Battaglia o Berardi&Milazzo, il vertice venne però da un’opera scritta e disegnata da un outsider, l’unico autore umoristico di tutta la collana: L’uomo di Tsushima di Bonvi, appunto.
La storica battaglia russo giapponese
Il volume racconta la battaglia navale dello stretto omonimo, al largo della Corea, tra le flotte dell’Impero Russo e dell’Impero Giapponese, avvenuta tra il 27 e il 28 maggio del 1905, decisiva per la risoluzione della Guerra russo-giapponese. La guerra era stata dichiarata dal Giappone per contrastare i piani di espansione zaristi sulle coste del Pacifico. Uno degli obiettivi primari era strappare Port Arthur (l’odierna Lushun, in Cina) alla Russia, per chiuderle l’accesso alla Corea. Il generale Nogi assediava la città da terra, l’ammiraglio Tōgō dal mare.
In soccorso della guarnigione e della Flotta del Pacifico, lo Zar Nicola II inviò la Flotta del Baltico, rinominata Secondo Squadrone Pacifico. L’ammiraglio Rožestvenskij dovette fare praticamente il giro del globo, circumnavigare Europa Africa Asia, solo per giungere in ritardo, quando Port Arthur era ormai caduta in mano giapponese.
La Flotta del Baltico dovette così cercare rifugio nel porto di Vladivostok, ma per farlo era necessario attraversare gli stretti tra Corea e Giappone. Delle tre vie possibili, Rožestvenskij scelse quella più rapida e più adatta alle pessime condizioni in cui vertevano le sue navi, in navigazione quasi continua ormai da un anno: decise di attraversare lo stretto di Tsushima.
L’ammiraglio Tōgō aveva però previsto questa mossa e intercettò l’ammiraglio Rožestvenskij. Le navi giapponesi erano più moderne e in condizioni migliori di quelle russe, gli uomini più preparati, e lo scontro fu una disfatta totale per gli zaristi. 21 navi, di cui 11 corazzate, furono distrutte, e solo tre raggiunsero Vladivostok. Rožestvenskij fu catturato. Dei suoi uomini, 4380 morirono e 5917 vennero feriti. Un fallimento colossale, e una carneficina. Le perdite giapponesi al confronto furono irrisorie, con sole 3 navi affondate, 117 morti e 583 feriti.
“L’uomo di Tsushima”: la versione di Bonvi
Il fumetto di Bonvi si apre con quattro pagine scritte in corsivo e illustrate da vignette/fotografie, che raccontano in breve la Guerra russo-giapponese e la partenza su ordine dello Zar della Flotta del Baltico, “composta di navi obsolete e assolutamente inadatte ad un combattimento moderno”. Soprattutto Bonvi pone una domanda, fondamentale per comprendere il suo punto di vista: “Perché lo Zar, pur sapendo di mandare a morte sicura i propri marinai, diede quest’ordine?”. A chiudere queste pagine la firma del loro autore: Jack London.
Non era la prima volta che Bonvi inseriva lo scrittore in un suo fumetto. London compare già nella storia di Nick Carter del 1974 La pista dei molti soli e in entrambi i casi ha il volto di Bonvi stesso (come gran parte dei suoi protagonisti, in realtà). Ma qui la sua presenza ha un valore diverso.
Prima di dedicarsi a tempo pieno alla letteratura London era stato un giornalista, e proprio nel 1904 era stato corrispondente durante la Guerra russo-giapponese per il San Francisco Examiner, riuscendo a farsi arrestare ben tre volte dalle autorità giapponesi. Nel giugno dello stesso anno tornò in patria e si dedicò alla scrittura di uno spettacolo teatrale. Non assistette quindi alla battaglia di Tsushima – come non avviene nemmeno nel fumetto – né poteva trovarsi in Madagascar nel dicembre del 1904, dove Bonvi ce lo fa incontrare a tavola 7.
Mentre i giornalisti di tutto il mondo cercano notizie della Flotta del Baltico, London-Bonvi passa le giornate a Nosy Be (scritto Nossi Be’ da Bonvi) a bere e giocare a scacchi a spese del suo giornale, sicuro che l’ammiraglio Rožestvenskij dovrà fare tappa in quel porto per fare rifornimento. Fatto storico, i russi entrano in porto nel gennaio del 1905. Tra i russi, London trova un vecchio amico, il comandante Bogdanov, con cui beve e parla di politica. I due sono insieme quando il russo riceve la notizia della caduta di Port Arthur e l’ordine di salpare ugualmente per il Mar del Giappone. Poche settimane dopo, a causa delle sue idee socialiste, London viene licenziato dal giornale e apprende la notizia della disfatta della Russia dalla stampa.
La narrazione fa qui un salto in avanti di quattro anni.
Il 31 dicembre del 1908 London è a Bahia (falso) e sente la voce del suo amico Bogdanov che lo chiama. Lo spirito del russo, attraverso l’estasi di una santona, gli racconta come si è svolta realmente la battaglia di Tsushima. Come nella realtà, l’ammiraglio Rožestvenskij viene intercettato da Tōgō e distrutto grazie alla maggiore gittata delle artiglierie e alla maggiore velocità delle navi. Ma il racconto di Bogdanov non si concentra sulle dinamiche della battaglia, quanto su ciò che accade sulle navi russe.
Già nei giorni precedenti lo scontro serpeggia il malcontento tra i marinai a causa della pessima qualità del cibo e dell’inadeguatezza degli armamenti. Circolano manifesti che inneggiano alla rivoluzione verso gli ufficiali. Si verificano ammutinamenti, sedati con la forza. Il morale è bassissimo.
Quando la flotta russa inizia a essere bombardata dai giapponesi, la situazione degenera. I soldati si ribellano. Gli ufficiali perdono il controllo. Sembrano più numerosi i morti da fuoco amico che quelli per le granate giapponesi. Finalmente le navi di Tōgō arrivano a tiro. Ma nessuna batteria russa, ormai, è più in grado di fare fuoco.
Le navi superstiti si arrendono, i marinai catturati dai giapponesi e portati in campi di prigionia. Lo Zar li abbandona in mano nemica senza cercare di riscattarli perché nessuno racconti la vera storia di Tsushima. Due anni dopo, una volta liberati, vengono sbarcati sul continente lungo la Transiberiana e lì abbandonati. Bogdanov muore assiderato mentre cerca di raggiungere una città.
La prima guerra mediatica
La Guerra russo-giapponese fu un vero evento mediatico per l’epoca, tanto che la vittoria del Sol Levante cambiò il modo in cui gli occidentali guardavano ai giapponesi. Giacomo Puccini ne sa qualcosa: il successo della Madama Butterfly, dopo il fiasco della prima rappresentazione presso il Teatro alla Scala di Milano nel febbraio 1904, è attribuito da molti al fascino improvviso acquisito, nel frattempo, dal Giappone.
Bonvi mostra questa attenzione della stampa per l’avvenimento sin dalla prima tavola del fumetto, che si apre su un gruppo di infreddoliti strilloni sotto la neve di New York. Ogni giornale riporta un titolo diverso, anche in aperta contraddizione tra loro. La Guerra russo-giapponese vende, come scopriamo dall’editore di Vanderfeller, «è il più grosso affare editoriale del secolo». Per questo la versione ufficiale della battaglia è rappresentata solamente attraverso quattro tavole che riproducono altrettante fittizie copertine illustrate di giornali europei: Neue Zürcher Zeitung, De Telegraf, Le Journal pour tous e La Domenica del Corriere.
La sovraesposizione mediatica della guerra, secondo la tesi di London/Bonvi, è anche il vero motivo della missione della Flotta del Baltico. Lo Zar, infatti, avrebbe inviato a morte certa i suoi uomini per distrarre l’opinione pubblica dai disordini interni all’Impero Russo, che culmineranno con la domenica di sangue del 22 gennaio 1905, le manifestazioni e gli scioperi dei mesi successivi e soprattutto l’ammutinamento dei marinai della corazzata Potëmkin.
Bonvi si impadronisce di questo evento così emblematico per l’iconografia sovietica successiva (Ėjzenštejn e gli Area insegnano) e lo utilizza per rafforzare la sua tesi, anticipandolo di qualche mese. Secondo Bogdanov, sono proprio i fatti di Odessa a spingere lo Zar a non far rientrare la flotta nonostante Port Arthur sia già perduto, per tenere l’attenzione dei giornali concentrata dall’altra parte del mondo rispetto ai problemi di Madre Russia.
La follia della guerra
L’ammutinamento della Potëmkin e le vicende biografiche di London non sono gli unici fatti storici che Bonvi manipola a piacimento per costruire la propria narrazione. Ad esempio, la notizia della caduta di Port Arthur non raggiunse Rožestvenskij quando era ancora in Madagascar ma quando era ormai prossimo all’arrivo: non aveva perciò occasione di rientrare in patria e fu per necessità che fece rotta su Vladivostok.
Nessuna decisione zarista di sacrificare la flotta, quindi. O almeno, non così esplicita come nel racconto a fumetti. L’ammiraglio stesso non morì durante la battaglia, come mostra Bonvi, ma venne catturato dai giapponesi, rimandato in patria, processato davanti alla corte marziale e assolto. Si spense quattro anni dopo nella sua casa di San Pietroburgo.
Grande appassionato di storia militare, per L’uomo di Tsushima Bonvi sceglie coscientemente di modificare i fatti storici – anche l’introduzione al volume lo dichiara – per dare più forza al racconto. Tutta la vicenda della Flotta del Baltico diventa più assurda e tragica rispetto alla realtà, con un onnipresente senso di tragedia inevitabile. Il fato dei marinai è già segnato dall’introduzione, da prima che inizi il racconto vero e proprio.
L’assurdità della guerra è uno dei temi principali del corpus bonviano. Basta leggere le prime strisce delle Sturmtruppen (alcune delle quali scritte con Guccini) per accorgersene. I soldaten vanno al macello senza un vero motivo, ubbidendo ciecamente agli ordini dei capi. La macchina dell’esercito è talmente perfetta che anche chi si pone dei dubbi è condannato a comportarsi come gli altri. È il famoso Comma 22 di Joseph Heller: «Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo», che Bonvi riprende esplicitamente per una serie di strip.
Ma se nelle Sturmtruppen Bonvi affronta l’argomento con umorismo, nero e surreale, ne L’uomo di Tsushima il tono è completamente diverso, nonostante lo stile di disegno. È un racconto angosciante e drammatico come poche volte il fumetto di casa Bonelli ci ha proposto.
La prima metà dell’Uomo di Tsushima è impregnata di un’atmosfera di attesa e ineluttabilità. Sia London che Bogdanov sanno che il destino della flotta è segnato. Sanno che ne sono consci anche gli ammiragli, addirittura lo Zar. I marinai russi, però, non possono farci nulla, se non godersi le ultime settimane di vita tra alcol, donne e amici. Sono così insignificanti per la macchina bellica che non vengono nemmeno informati ufficialmente dal comando della caduta di Port Arthur: apprendono solo dal giornale che il loro obiettivo principale non esiste più ma che loro andranno ugualmente al macello.
Nella seconda parte, nel racconto dello spirito di Bogdanov, il ritmo lento dell’attesa si fa sempre più rapido man mano che gli eventi precipitano. Le azioni dei personaggi si fanno frenetiche, come formiche impazzite. Il caos dilaga. I soldatini di Bonvi mostrano una crudeltà inumana ammazzandosi e ammazzandosi e ammazzandosi. In tutta questa parte, così piena di violenza, non compare nemmeno un soldato giapponese. La morte, più che per i tiri lunghi dell’artiglieria nemica, avviene per mano di altri russi.
Tutto il racconto di Bonvi è costruito per arrivare a questo punto. La Flotta del Baltico ha compiuto il suo viaggio intorno al mondo privo di senso. La follia della guerra è diventata reale nel rosso degli incendi e del sangue.