La nuova Linus è la più diversa delle nuove Linus che si siano mai viste, dai tempi di Alter Linus. Le strips umoristiche sono quasi sparite, la spillatura è sparita, tante rubriche storiche sono sparite. Al posto di tutto questo la rivista si presenta come un contenitore di fumetto d’autore, della provenienza – geografica, ma anche storica – più varia. Le riviste di fumetto d’autore sono morte, ci raccontiamo ormai da 20 anni. Proprio la più anziana di tutte, però, prova a strepitare «Toc-Toc. Ehi! ALLORA?».
Prima ancora di stabilire se il contenuto dell’operazione di rivitalizzazione editoriale sia interessante o no, la sorpresa è dunque che Linus abbia alzato la voce. Una rivista che per lunghi anni sembrava quasi averla persa, una voce, per poi progressivamente ritrovarla ed ora, invece che portare a compimento una già avviata ma graduale mutazione, tentare lo strillo – con eleganza, s’intende – accompagnato da qualche scossone. «Niente esplosioni o grandi Bum. Al massimo una raffica di mortaretti» scrive l’Editoriale firmato da Igort. Pur sempre di scoppi si tratta.
Per poterlo raccontare a modo, il progetto di una rivista del genere è, all’incirca, composto da tre ingredienti: articoli, fumetti, grafica. Dalla lettura di questo primo numero ne ho gustati due ben cucinati ed uno insipido.
C’era una volta un magazine
Parto da quest’ultimo: ho trovato pochi stimoli dagli articoli, più pedagogici che curiosi, più di servizio che di proposta. Lo spirito di ricerca, che non manca invece sul fronte dei fumetti, sembra andato perduto nella transizione verso il modello cui Igort ha, un po’ inevitabilmente, ispirato la propria direzione: da magazine fumettocentrico – come nelle direzioni di Giovanni Robertini prima e Pietro Galeotti poi – a rivista di cultura fumettistica. Meno giornalismo culturale e dibattito politico-sociale, più fumetto e fumettofilìa. Primo scoppio: uno spostamento di asse della componente intellettuale, scivolata dalle penne ai pennelli.
Cosa c’è nel primo numero di Linus diretto da Igort https://t.co/N196r0oD9P
— Fumettologica (@fumettologica) 28 aprile 2018
La prima, visibilissima novità della nuova Linus è la scomparsa della satira. Una presa d’atto realista: in Italia la satira è morta (o non si sente troppo bene) con l’avvento al potere di troppi satiri di professione. Se Robertini al suo ingresso aveva descritto la rivista come “istituzione divertita e coraggiosa” e Galeotti, finemente ironico, aveva dato spazio a firme surreali come Lo Sgargabonzi, Igort sancisce la fine della lunga stagione comico-umoristica proprio a partire dai contenuti giornalistici.
Per la verità la satira linusiana, negli ultimi tre anni, era diventata qualcosa di piuttosto diverso dai canoni cabarettistici, televisivi o vignettistici (Altan escluso, sia chiaro) della rassicurante satira “da sinistra” che ha imperversato dal dopo-Cuore in poi. L’identità di magazine era mutata in un bizzarro e caotico ibrido narrativo/informativo tra interventi satirici, giornalismo socio-politico-letterario, elzeviri, racconti, battute, commenti: qualcosa di ovvio mescolato con qualcosa di straniante. Nei miei stessi (rari) contributi – uno sulla “gentrificazione” del fumetto e uno sull’eredità politica dei pornofumetti – riconosco che senza la spinta di quel caos dubito avrei trovato la voglia di scriverli. Difficile tenere insieme coerentemente tutto ciò con Dilbert o Tuono Pettinato, Manuele Fior o Hurricane Ivan, ma il risultato era tornato ad essere interessante.
Sono pronto a scommettere che la “rivoluzione soffice” da magazine fumettocentrico a quest’ultimo modello, per qualcuno, suonerà come una specie di fan service alla fumettofilìa, allo specialismo in fondo un po’ da sottocultura quale il fumetto (hey nerd!) è stato a lungo. E ho la certezza che per altri, invece, suonerà come un atto di riappropriazione: la dimensione intellettuale della vita, in fondo, ha nel fumetto (con la spinta linusiana del 1965; con la fioritura del graphic novel globale anni 2000) una risorsa che può serenamente mandare a stendere gli snobismi del passato. Magari anche per rimpiazzarli…
Certo, il tasso di specialismo è elevato (la preponderanza di fumetti è evidente dal sommario) così come la volontà di rivendicazione di uno sguardo ambizioso, uno “spirito delle origini”. Ma la verità, almeno dal mio punto di vista – di osservatore ma anche di lettore ‘laico’, non-generazionale della testata – è che entrambe queste prospettive sono poco a fuoco. La sfida dell’operazione igortiana con Linus sarà dimostrarlo con i fatti: la qualità del contributo intellettuale, e la solidità del fatturato che saprà generare.
Le parole “intellettuale” e “fatturato”, vicine e peraltro a proposito di una rivista di fumetto “d’autore”, potrebbero suonare un compiacimento linguistico, una licenza poetica o, se siete benevoli, un’approssimazione. Ma se mi permetto un po’ di ironia vezzosa è perché voglio sottolineare che il nodo sta proprio qui.
Fumetti cibo per la mente
Il secondo ingrediente, i fumetti, sono il contenuto su cui Igort è forte. Uno dei più forti che ci sia, in Italia. Più forte anche dei direttori precedenti, ottimi giornalisti/scrittori poco fumettòfili che avevano pure tentato una rotta, nonostante budget sempre più ristretti (e con diverse ottime scelte, fra le cui ultime l’arrivo di Fabio Tonetto), ma senza gesti tali da riassestare una rotta. Con l’acquisizione di Baldini & Castoldi da parte de La Nave di Teseo, Linus si ritrova parte di un gruppo più solido, ma non per questo “rivoluzionata” nei budget. Eppure la “rivoluzione soffice” su questo fronte è evidente: un altro scoppio. Ovvero il mortaretto con cui Igort ha “ritrovato l’incanto” della più antica prassi delle riviste: la pre-pubblicazione di estratti dai libri in uscita. Cioè la strategia di contenere i costi attraverso sinergie editoriali, unita alla sapienza nella selezione dei contenuti. Un equilibrio da navigato timoniere.
La capacità di selezione, dunque, fa la differenza, se è in grado di incrociare una prudente politica di costi, e questo Linus offre pagine di autentici geniacci. Penso a Tommi Musturi, uno dei maestri del surrealismo pop nel fumetto odierno, persino più interessante di Jim Woodring se badate, oltre che ai colori magnetici, all’abilità nel fare dei suoi personaggi muti degli avatar dello sguardo, privi di emozione quanto generosi di immaginazione. Penso anche a Fabio Viscogliosi, uno dei più sensibili poeti della bande dessinée dagli anni Novanta, o a Gabrielle Bell, microbiologa del racconto intimista, o a Sammy Harkham, armato di spietata disillusione vestita di delicatezza, o a Ron Regé Jr., una specie di rumorista grafico mosso da ossessioni psichedeliche e filosofiche. Tutti autori di pillole narrative, come quelle ospitate nella sezione flip book dedicata a Resist! (un pamphlet anti-sessista con firme da Emil Ferris a Daniel Clowes a Alison Bechdel), che mostrano la capacità di Igort nell’individuare autori intelligenti, stilisticamente maturi, abili proprio nella forma breve. Una selezione adatta a una rivista, insomma, come lo sono – da sempre – i più noti Davide Toffolo, Seth o Marcello Jori, pure presenti.
E poi c’è Yoshiharu Tsuge, maestro – autentico faro generazionale – del manga che ha fatto del realismo emotivo una leva influente come poche nella storia del manga, tradotto per la prima volta in Italia con L’uomo senza talento da Canicola Edizioni (ingenerosamente dimenticata nel testo di presentazione) e qui pubblicato con la sua opera seminale, Nejishiki, forse la short story più importante nell’intera storia del manga d’autore. Le 20 pagine di Nejishiki sono, allo stesso tempo, un’eccellente proposta culturale ed un eccellente contenimento dei costi. Non tanto perché costi meno tradurre un manga con alcune tavole quasi mute, ma perché si tratta di un lavoro il cui budget è spalmato altrove: sull’edizione in volume, prevista per giugno, presso Oblomov.
Nel rapporto con Oblomov, pure marchio diretto da Igort e parte del gruppo La Nave di Teseo, c’è un nodo di sinergie ed opportunità da cui potrebbe dipendere molto il futuro di Linus. La possibilità di pre-pubblicare libri e/o porzioni di libri, come sempre nella storia dell’editoria di fumetto, può permettere non solo di muovere attenzione e offrire sponde di comunicazione alle opere, ma anche di generare con l’accostamento ulteriori connessioni, dibattiti, piste di lettura. Ma naturalmente un conto sarebbe una rivista strettamente legata al proprio gruppo editoriale, un altro una rivista collaborativa, aperta ad altri autori ed editori, senza troppi timori o tattiche.
In questo senso un segnale potrebbe venire dalla rubrica di recensioni fumettistiche, assente in questo numero ma che, nell’ultimo decennio, era diventata uno dei nuovi snodi chiave dell’orientamento critico italiano, grazie alle penne intelligenti di Michele R. Serra, Valerio Mattioli, Raffaele Ventura. Dare spazio a penne libere e curiose senza chiudersi in una logica corporate pro domo publisher sarà esiziale e spero vivamente che la strada collaborativa sia quella che attende il cantiere ancora aperto di Linus.
A beneficiare dell’apertura di Linus verso il più ampio panorama editoriale, in particolare, sarebbe la sua identità di piattaforma storica. Il passato e il presente, per una rivista ultracinquantenne, non possono che coabitare, e su questo Igort ha mostrato una lucidità di visione che trovo – se ha senso dirlo, parlando di Storia – eccitante. Una visione racchiusa in un dettaglio: 1950, 1985, 2009, 2017, 2017, 1972, 1906, 2016, 2018, 2018, 1968, 2014. In alto a sinistra, ciascuna pagina di fumetto ne indica l’anno di prima edizione. Un tributo doveroso evidentemente non alla filologia, ma alla memoria e al suo necessario dialogo intergenerazionale. Lyonel Feininger, Vaughn Bodé, Yoshiharu Tsuge così come Peanuts o Calvin & Hobbes si ritrovano mescolati a nuovi maestri o a giovani esploratori, permettendo a Linus di mostrare che la cultura fumettistica è, come qualsiasi altra arte plurisecolare, fatta di innovazione e tradizione, nostalgia e fuga, ieri e ora.
Quasi quasi, un mook
Terzo ingrediente: il progetto grafico. Non conosco il lavoro di Sara Fabbri, ma la sua art direction è un contributo non secondario a questa nuova direzione. La linea in cui ha lavorato media tra la pulizia tipica del magazine graphic design contemporaneo e lo spirito retro tipico dell’identità della testata e della linea impressa da Igort.
C’è molto bianco nella grafica di Linus, accompagnato da gabbie fitte e riquadri elaborati. L’ariosità è peraltro un tratto molto comune nelle riviste – inclusi i formati mook – odierne in cui il design della carta marca la differenza dal design per il web o le interfacce digitali: l’occhio deve riposare, e più riposa più “assorbe” – e trae godimento da – la lettura. Ma per una rivista di fumetto, per giunta eclettica, l’occhio vive un’esperienza particolarmente frastornante, saltando di qua e di là, perdendosi ogni due per tre (vignette, dettagli). L’equilibrio dunque è tutto: troppa grafica non va bene, troppo poca nemmeno (il fumetto ha una percezione ben diversa dalla fotografia). E qui l’equilibrio non manca.
Tutto avrei immaginato, tranne di trovarmi per le mani una Linus che, con un formato simile a Rivista Studio e un progetto grafico che evoca l’eredità di The Believer e si colloca nell’universo di IL Magazine, potesse proporre una via nostrana al mook fumettistico. Certo, Linus è più sottile di un vero e proprio mook [contrazione di magazine + book] ed esperienze come la francese La Revue Dessinée restano lontane. Però non troppo; non più.
Ritrovare qualcosa
Per questo rilancio non scontato, non semplice e nemmeno sereno (l’annuncio dato online, all’insaputa pressoché di tutti, ha suscitato reazioni accese), Igort ha scelto come claim “Ritrovare l’incanto” e, nell’editoriale, ha parlato di sguardo “bambino”. Non mi sento di condividere questa chiave di lettura, sebbene intuisca l’approccio. La linea della nuova Linus è quella, piuttosto, di una rivista fumetto e cultura – anche letteraria: Michel Houellebecq oggi, Giorgio Scerbanenco domani, altri arriveranno – che mette in primo piano la propria fumettofilìa. Uno sguardo assai consapevole, anche nel rivolgersi alla dimensione ‘bambina’ dei campioni dello stupore disegnato Calvin e Charlie Brown.
In questa sterzata c’è il rischio di scontentare alcuni ed entusiasmare altri – come sempre, quando si lanciano mortaretti. L’abbandono delle strips (persino Doonesbury) e del registro satirico sarà duro da digerire soprattutto per i lettori “tradizionalisti”, con incognite importanti sul destino degli abbonati. Viceversa l’atmosfera contemporanea, se saprà mantenersi in equilibrio con lo sguardo storico e memoriale, sarebbe in grado di (ri)portare un pubblico interessato al fumetto contemporaneo come driver principale.
All’interno di questo lettorato potrebbe maturare però un equivoco: considerare Linus una rivista di fumetti, punto, o una rivista di fumetto per tutti. Cosa che non è e che dubito mai sarà, sotto la direzione di Igort, timoniere di una barca che non può e non vuole piacere urbi et orbi, ma che tenterà di rilanciare la sfida di un fumetto “alto”, si sarebbe detto una volta. Senza incanti, se non quelli dell’arte, e senza infantilismi se non quelli di una certa ironia intellettuale.
Comunque vada con la magnitudo dei mortaretti, sarà interessante seguire questa rotta.