Dopo che la presenza sugli scaffali delle librerie italiani di autori della tradizione del manga d’autore nipponico classico – come Yoshihiro Tatsumi, i fratelli Tsuge o Kazuo Kamimura – si è ormai consolidata, e la quantità di proposte è andata ampliandosi, si inizia ora a percepire maggiore varietà anche dal punto di vista dei temi, oltre che delle voci dei singoli autori.
Susumu Katsumata, autore della raccolta Neve rossa, è un autore difficile da classificare, essendo complicato afferrare i generi, i luoghi e il tempo in cui si inserisce la sua materia narrativa. Di fatto, i racconti brevi di Katsumata illustrano un Giappone antecedente al Rinnovamento Meiji (il momento in cui, tra il 1866 e il 1869, il Giappone si aprì all’Occidente, da un punto di vista economico e culturale).
Katsumata racconta un Giappone profondo e rurale. Non importa sapere in quali luoghi esatti, poiché i suoi contadini, i suoi mendicanti e le sue prostitute sono quelli che probabilmente si sarebbero trovati ovunque nelle campagne dell’epoca. Sono individui piccoli e buffi come i funny animals di una striscia o come i personaggi di un vecchio cartoon. Ma hanno una caratteristica spietatamente realistica: sono ingobbiti, come piegati dalla vita. Rammentano le figure goffe dei protagonisti dei film di samurai di Akira Kurosawa.
Sono individui bassi (sia perché sono ometti, sia perché spesso la loro moralità è incerta o la loro miseria evidente), che un po’ impietosiscono e un po’ fanno ridere solo a guardarli. Ma non c’è dileggio nello sguardo di Katsumata, c’è quasi più comprensione e un bonario spirito da storytelling fiabesco ad accompagnare le brevi vicende della sua povera gente di campagna.
Quella di Katsumata è una narrazione dalla propensione sociale, finanche socialista. La sua attenzione all’ultimo si mostra programmatica. Proprio come in Kurosawa, solo che, forse con una scelta ancor più generosa nei confronti dell’umanità, Katsumata raramente rappresenta il male come prerogativa esclusiva dell’uomo (del bandito o del feudatario). Lo spirito di profonda empatia nei confronti degli ultimi lo avvicina al socialismo di Sampei Shirato (che si mostra soprattutto in Akame – Red Eyes), ma a distinguerlo è la sua tendenza a rendere fantastiche, quasi al di sopra del reale, le vite degli uomini.
A differenza di ciò che raccontano Kurosawa o Shirato, il rischio e il pericolo qui si nascondono nel metafisico, sono inafferrabili, poiché leggenda e realtà si fondono con naturalezza estrema. Gli yokai sono una presenza costante e certa nella vita che si consuma tra baracche, campi e boschi. Così certa da non essere vissuta necessariamente come un pericolo: culturalmente, nel folklore nipponico, lo yokai non è necessariamente maligno.
Nelle pagine di Katsumata però lo spirito sovrannaturale ha una presenza più ordinaria rispetto anche a quella che ha nei fumetti di Shigeru Mizuki, il mangaka che forse più di tutti ha popolato la propria produzione di spiriti della tradizione. In Mizuki gli spiriti molto spesso vivono in mezzo a noi ma si manifestano in determinati momenti, all’improvviso, celandosi nell’ombra, o nelle fantasie di bambini alimentate dai racconti delle anziane (si veda NonNonBâ). Seppur umanizzati, i suoi yokai sono evidentemente diversi dall’uomo. In Katsumata a volte è difficile, anche arrivati alla fine di una storia, distinguere la differenza tra uno spirito e un essere umano.
Neve rossa è una raccolta di storie non facili, che lasciano interrogativi e situazioni irrisolte. Non è, insomma, il tipo di libro che si legge tutto d’un fiato, ma probabilmente il tipo di libro che resta addosso.
Neve rossa
di Susumu Katsumata
traduzione di Vincenzo Filosa
Coconino Press, marzo 2018
Brossurato, 230 pagine, b&n
€ 19,00