Matthias Lehmann è un narratore abilissimo a intrecciare più storie in una singola cornice narrativa. Del suo precedente La favorita colpiva proprio la sua capacità di accumulare vicende su vicende, all’interno di una trama drammatica che si risolveva con chiara e improvvisa spietatezza. Era un libro denso, sia di storie che graficamente: il tratto di Lehmann è “figlio” delle tecniche di incisione su legno. All’inizio della carriera ha realizzato alcuni lavori con la scratchboard (tecnica che consiste nel grattare via l’inchiostro da una pagina nera), ma La favorita e anche Le lacrime di Ezechiele (pubblicato originariamente nel 2009) sono realizzati con tecnica di inchiostrazione tradizionale, pur rammentando il segno deciso dell’incisione.
A prima vista, le tavole di Le lacrime di Ezechiele suggeriscono una materia narrativa più leggera, probabilmente più diretta e a senso unico. E invece proprio no. Lehmann sceglie una costruzione della tavola insolita, lasciando respirare l’occhio del lettore, con abbondanza di bianchi (spesso davvero molto bianco) e vignette di dimensioni ridotte, come piccole diapositive o fotogrammi di una pellicola. La composizione ricorda per certi versi alcune scelte grafiche delle tavola di Chris Ware, mentre al lettore italiano ricorderanno quelle di Paolo Bacilieri, anche per il segno graffiante e chirurgico di Lehmann (anche un po’ crumbiano, a volte).
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La storia inizia con un presupposto e subito ne trova un altro per andare poi avanti in più direzioni, in un mosaico di aneddoti e ricordi. Le lacrime di Ezechiele presenta inizialmente un autore di fumetti un po’ misterioso, una sua opera e l’interessamento di una giovane pittrice nei confronti dell’autore. Ma poi si sposta subito verso il ritrovamento del diario d’infanzia della pittrice, uno scrigno di storie che si aprirà e si dipanerà in tutto il racconto.
Avrebbe potuto essere l’elegia di un autore immaginario e portare con sé ogni tipo di metafora sul ruolo del creatore di storie, e invece Lehmann – mai avido di immaginazione – si concede anche al romanzo di formazione, accompagnando la sua pittrice in uno sguardo a ritroso verso la sua infanzia, adolescenza e maturità. La figura del fumettista ritornerà in un secondo momento, lasciando il lettore di fronte a un finale a dir poco enigmatico e travagliato con piani narrativi che si mescolano.
Lehmann sembra proprio appartenere a quella schiera di narratori per cui nessun soggetto e nessuna storia possono essere un’isola, intoccabile da altre realtà. La vita è troppo complessa per essere racchiusa in un unico flusso narrativo (come David Foster Wallace ha dimostrato finché ha potuto nei suoi racconti, che sono intrecci e labirinti di vicende e pensieri).
Lehmann accumula tasselli di un quadro complesso e lascia a volte il lettore perdersi in una direzione per poi riportarlo in un’altra; per lui la materia del ricordo è fondamentale, e la frammentarietà e la irrequietezza con cui i ricordi si manifestano gli sono da modello per costruire storie. Non a caso, parallelamente alla sua attività di autore di graphic novel per il mercato regolare, Lehaman continua a realizzare anche albetti autoprodotti – in particolare una serie intitolata Lampiste – che hanno appunto per soggetto i ricordi personali, che verranno solo in futuro ricomposti e ripubblicati insieme (come ha spiegato anche in un recente incontro tenuto nella cornice di BilBOlbul a Bologna, che abbiamo pubblicato integralmente).
La favorita era un libro che voleva disorientare, attento alla tematica dell’identità del genere, un libro nel quale non esistono certezze; Le lacrime di Ezechiele porta un maggior sconvolgimento nella disciplina narrativa, in un approccio al racconto che mette in mano al lettore tasselli da ricomporre non col fine di una singola soluzione finale, ma con l’implicito intento di rispettare la complessità dell’intreccio di cui ricordi e rapporti umani necessitano.
Le lacrime di Ezechiele
di Matthias Lehmann
Traduzione di Giulia Eusebi
001 Edizioni, maggio 2018
Brossurato, 112 pp in b&n
16,00 €