Nato in Tasmania, Simon Hanselmann è l’autore di Megg e Mogg, una irriverente serie a fumetti su una strega, un gatto parlante e un gufo antropomorfo che dividono l’appartamento e si trascinano tra droghe, depressione, fallimenti personali, sesso di ripiego, festini con amici fuori di testa e scherzi crudeli di pessimo gusto.
Vincitore del Premio alla Migliore Serie ad Angoulême 2018, Simon Hanselmann è stato ospite d’onore del Romics e protagonista di un mini-tour italiano organizzato da Coconino Press (che ha pubblicato i volumi Megahex e Special K).
Rinunciando all’abitudine di vestirsi da donna – troppo impegnativa per le trasferte e potenzialmente imbarazzante in caso di controllo valigie in aeroporto – Hanselmann sembra aver un po’ accantonato l’eccentrico personaggio che ha costruito per sé nel corso degli anni. Ha risposto alle nostre domande con la serietà e la gentilezza di un autore maturo e posato, che non rinuncia a un tocco di fresca ironia e sano cinismo.
I protagonisti di Megg e Mogg sono personaggi surreali e autodistruttivi che hanno tra loro rapporti di dipendenza e sopraffazione. Ti è capitato nella vita di conoscere persone così?
Megg e Mogg si basa principalmente sulle mie esperienze e sui miei amici. È una serie decisamente autobiografica. Diciamo che ho rielaborato il ricordo di tutte le persone orribili che ho conosciuto nella vita. È una cosa che forse mi accomuna a tante altre persone nel mondo, molti hanno avuto a che fare nella vita con persone tremende.
Megg e Mogg ha l’impostazione di una sit-com, con tanto di scene ambientate su un soggiorno con divano. E tu stesso hai dichiarato di essere debitore a serie come Seinfeld e Sabrina, vita da strega. Se scrivessi un adattamento televisivo di Megg e Mogg dove metteresti le risate finte? Penso agli episodi dello stupro fatto per scherzo a Gufo, o la morte di Lupo Mannaro Jones.
In realtà al momento sto lavorando al progetto di uno show per la tv. Non vorrei usare le risate finte, vorrei che fosse tutto più realistico, e che il pubblico scegliesse da solo i momenti in cui ridere o piangere. Qualche anno fa eravamo in trattativa con Lindsay Lohan nella parte di Megg. Sarebbe stata una buona pubblicità, visto che lei è sempre protagonista del gossip. Tutte le riviste femminili avrebbero riportato titoli tipo “Lindsay Lohan nel ruolo di una strega strafatta”, e molta gente avrebbe visto lo show solo per lei. Mi piacciono le sit-com ma non le risate finte, e del resto molte serie moderne le hanno eliminate. La risata finta è una cosa un po’ antiquata, ormai.
La strega Meg, il gatto Mog e il gufo sono personaggi di libri per bambini degli anni Settanta molto popolari in Australia. Tu li hai resi cinici, depressi e cattivi. Come se noi facessimo una versione della Pimpa che si droga e compie atti vandalici. Perché?
È nato tutto per caso. Disegnavo un sacco di streghe col cappello a cono, con il nasone e la pelle verde, e avevo tanti gatti, da ragazzino. Quindi disegnavo streghe e gatti. E stavo lavorando a un lungo graphic novel con molti personaggi umani, una storia à la Twin Peaks in salsa fantascientifica, ma mi stavo stancando e quindi ho deciso di fare una cosa in stile sit-com o buddy comedy. Ho preso una strega e un gatto e mi sono detto “Che nome gli do?” e mi sono ricordato di questi libri per bambini che mi piacevano molto, e così li ho chiamati Megg e Mogg.
Non immaginavo che di lì a dieci anni sarebbero diventati famosi e io sarei venuto in Italia a parlarne. Megg e Mogg non è in realtà basato su quei personaggi, non va visto come una parodia di quei libri. Semplicemente, i personaggi hanno nomi simili, e come quelli sono una strega e un gatto. Ho sempre paura che mi facciano causa gli autori della serie originale, ma finora niente… Vedremo.
Di Megg hai raccontato la depressione, la noia, i rari momenti di serenità e anche, in Megg’s Coven, la problematica storia familiare. Rispetto a Mogg, Gufo e Lupo Mannaro Jones, Megg è il personaggio più sfaccettato e più umano, non solo nell’aspetto. È anche il personaggio più vicino a te?
Lo era, ma forse oggi somiglio di più a Gufo. Sto invecchiando, non mi piace più andare alle feste, sono un uomo sposato, mi prendo cura dei miei conigli. Mi piace che la casa sia pulita, che ci sia silenzio, che ci sia pace. Mi sono decisamente trasformato in Gufo. In passato ero molto più Megg. Ora sono Gufo.
E ti fa piacere questa trasformazione in Gufo…?
Sì, è meglio essere Gufo. Gufo è il più gradevole del gruppo. Di sicuro non voglio essere Lupo Mannaro Jones. A volte ho fatto cose degne di lui, ma il personaggio si ispira ad alcuni miei amici in Tasmania che sono degli idioti fuori di testa. E molti di loro sono morti, ora.
Hai definito il tuo fumetto “gender-neutral”, e in effetti, nei personaggi le differenze di genere tendono ad annullarsi. Questo sguardo privo di stereotipi, che hai maturato anche per le tue scelte personali, per me è sicuramente un valore. Secondo te, esiste la prospettiva che diventi un modo di vedere e di raccontare più comune e condiviso?
Quando Megg e Mogg è diventato popolare mi aspettavo di vedere che altri autori facessero cose simili, ma non è successo, per ora. Mi fai un complimento se dici che il mio fumetto è gender neutral, perché mi sforzo molto di raccontare Megg come se fosse una donna reale. Molti dei personaggi sono gender fluid, come Lupo Mannaro Jones che ha dei lati queer, altri che si scopano tra loro, e poi ci sono personaggi trans come Booger.
Volevo raccontare i trans come persone realistiche. Ho visto molte rappresentazione di trans nell’arte, ed erano tutte estremamente positive, ti veniva da dire che fossero perfetti, che non potessero fare nulla di sbagliato. Ma i trans sono persone come le altre, e quindi possono anche essere orribili, dei fottuti pezzi di merda qualunque.
Non mi piace quando un prodotto culturale ha un messaggio politico definito, del tipo “ Tu devi essere così e devi fare questo”. Mi piace quando i personaggi si comportano come persone reali. Così la gente li vede e dice “Ah, ma allora ci sono diversi tipi di queer, e possono fare cose diverse, essere liberi con sé stessi”. Molti lo apprezzano perché possono davvero immedesimarsi.
Mi preoccupo del fatto che Megg a volte appare come un personaggio molto sessuale. L’America in questo periodo è assai politicamente corretta, puoi finire nei guai con questa storia delle molestie… Devo stare attento. Però, sai, alla fine io parlo della gente che ho conosciuto, della squallida e schifosa vita vera, con tossici, alcolizzati… La vita vera. Non mi interessa addolcire nulla, non amo le cose carine. Perché la vita non è carina, la vita è crudele e dura.
Infatti, in un’intervista hai detto di aver voluto fare con Megg e Mogg un fumetto squallido e orribile, che riflette il tuo stile di vita e la tua educazione. Eppure l’impostazione grafica della griglia ordinata, l’uso delicato degli acquerelli, il ritmo regolare del racconto comunicano un che di ordine e razionalità. È questo il tuo modo di vedere il fumetto: una disciplina che dà ordine e significato anche alle cose più orribili?
La griglia del fumetto è qualcosa che ti dà un flusso. Quando leggo molti fumetti mainstream non c’è nessuna griglia, ci sono queste composizioni folli con un personaggio in una posa d’azione e paragrafi e paragrafi di testo ed è tutto così statico, fermo. Io invece voglio che il lettore respiri tra una vignetta e l’altra e percepisca l’animazione, il movimento. Per questo resto legato a una griglia tradizionale; penso sia più facile per il lettore seguire, non ci sono deviazioni, segui le vignette e tutto scorre naturalmente. Anche per questo motivo uso i colori, penso che in questo modo il cervello può riconoscere più rapidamente le situazioni. Per come lavoro io, il bianco e nero renderebbe tutto più difficile. Gufo col becco giallo e Megg con la faccia verde li riconosci subito e puoi quindi passare alla vignetta successiva e lasciar fluire la storia. Il mio modo di fare fumetto è tutto incentrato sulla velocità di lettura e sulla fluidità.
Hai cominciato a disegnare Megg e Mogg per prenderti una pausa dal tuo graphic novel, Girl Mountain (che ha dato il nome anche al tuo blog su Tumblr), graphic novel che fino ad ora ti ha dato forse più dolori che gioie. Ti va di parlarne?
Ho 36 anni adesso, ne avevo 21 quando ho cominciato a lavorare a Girl Mountain, ero molto giovane. Ho cominciato a disegnare fumetti a 8 anni, e in seguito ho disegnato tante cose diverse. A 21 anni mi sono detto “Farò il mio grande graphic novel, un volumone di un migliaio di pagine, con 50 personaggi”. Era un po’ troppo per un ragazzo così giovane.
Sono convinto che gli esordienti debbano iniziare facendo storie brevi e sperimentare, piuttosto che avviare progetti così imponenti. Del resto, sta anche cambiando la tendenza dei graphic novel moderni, che non sono più così voluminosi. Certo, nel mercato di massa, forse se sei un autore già un po’ conosciuto a un certo punto il grande graphic novel devi farlo. Ma con Megg e Mogg ho sempre preferito raccontare storie brevi. Sono in grado di raccontare una storia lunga, ma preferisco farlo attraverso passaggi brevi.
Per un autore come te, che ha alle spalle anni di auto-produzioni, com’è stato il passaggio a un editore? Questo salto, che tutti gli autori sognano, ha cambiato la percezione che hai del tuo lavoro?
In realtà io continuo ancora a fare autoproduzione. Parlando di numeri, con un editore tu guadagni l’8, il 10% se ti va bene. Ed è una piccola fetta delle vendite. Quanto posso ricavare in un anno solo con la pubblicazione editoriale? 10.000 dollari al massimo. Ecco perché continuo ad autoprodurmi e a stampare le mie riviste. Io e mia moglie li assembliamo, li confezioniamo e li spediamo. Posso tirar su anche 50.000 dollari l’anno, così.
Non sono il tipo che se ha un lavoro pronto si cerca un editore, piuttosto me lo pubblico da solo e li tengo tutti per me i soldi, cazzo. Ho molti follower su Instagram e sul blog, ho un pubblico di riferimento abbastanza ampio, quindi posso direttamente vendere a loro. Molti autori non hanno questa fortuna. Poi è anche bello avere un editore, l’ideale è fare entrambe le cose. L’editore ti permette di arrivare nelle librerie, di avere recensioni sulle grandi testate. Ma nel mondo del fumetto non girano tanti soldi, non è un settore che ti permette un tenore di vita alto, è quindi importante diversificare. Poi io amo l’autoproduzione, mi piace disegnare la copertina a mano, usare diversi tipi di carta, sperimentare.
Che cosa hai in programma per il futuro? Ti piacerebbe creare storie lontane dal mondo di Megg e Mogg?
Ho scritto l’anno scorso una storia di fantascienza con personaggi umani per un’antologia di genere di produzione francese. Mi hanno chiesto se volevo far parte di un’antologia, e io ho detto “Sì, bellissimo! Ma, per favore, non con Megg e Mogg. Fatemi fare qualcosa di diverso”. Megg e Mogg possono essere un po’ stupidi a volte, e la richiesta era di una storia più letteraria. Be’, è stato terribile. Ho fatto questo fumetto di fantascienza ma non mi piaceva per niente, l’ho mandato all’editore e vi assicuro che non è piaciuto neanche a lui. È stato un fallimento, e questo mi ha un po’ frenato dal fare cose nuove. Ho qualcosa come 10 anni di materiale inedito su Megg e Mogg. La mia prossima serie su di loro sarà di 5 volumi e mi terrà occupato per un po’. Poi c’è il progetto per lo show televisivo, e poi ci sarà una grande installazione su di loro in una galleria d’arte a Seattle con grossi pupazzi, con tanto di sound design e diorami.
Fondamentalmente, vorrei diventare come Matt Groening, e costruire un impero con il merchandising di Megg e Mogg. Voglio comprare una casa per me e mia moglie, aiutare mia madre che è malata, pagarle i conti. La gente ama Megg e Mogg, io amo Megg e Mogg e sono completamente a mio agio con loro perché sono parte di me, del mio cervello. Non voglio mollarli, per ora.
C’è però un libro che vorrei fare, un adattamento di un romanzo di Knut Hamsun, scrittore norvegese di fine ’800. È un thriller psicologico e romantico, ambientato in una piccola cittadina. Però ho un po’ paura che tutti dicano “Ah, che bello, Hanselmann ha fatto una cosa nuova” e poi dicano “Ma cos’è questa roba? Storie d’amore, gente nei boschi che parla di fiori?” Temo che a molti potrebbe non piacere, che lo trovino troppo diverso. Megg e Mogg potrebbe andare avanti per altri 10 o 15 anni.
Voglio diventare come i fratelli Hernandez, voglio fare una sorta di Love and Rockets, con i personaggi che si evolvono, che cambiano col tempo. Del resto anch’io sono cresciuto, e ora che ho 30 anni sto rielaborando i miei 20, e magari a 40 rielaborerò i 30. Poi magari un giorno riuscirò a fare questo libro romantico e vedrò che ne pensa la gente. Oppure potrei fare un’altra commedia. Solo che, anche quando propongo progetti per la tv, Megg e Mogg sono sempre il mio punto di riferimento. Per ogni nuova idea mi chiedo sempre se è buona come Megg e Mogg e se piacerà alla gente così. È difficile. Sono un po’ bloccato con loro. Ogni volta che qualcuno mi chiede di disegnare qualcosa che non siano loro, io penso “Cazzo!”. Sono fregato.