Difficile trovare un autore che si sia fatto brand più di Mike Mignola. Negli anni il creatore di Hellboy ha affinato il suo stile, sintetico ma ricco di preziosismi, e i suoi temi (le atmosfere vittoriane, il folklore est-europeo, la mitologia pulp), imprimendo su ogni cosa toccasse il proprio marchio di fabbrica. L’editore Dark Horse, peraltro, gli ha permesso di creare una sorta di “Mignolaverse”, fatto di spin-off di Hellboy ma anche di titoli che rilavoravano temi e filoni a lui cari, secondo il suo specifico gusto (Sledgehammer 44, Witchfinder).
Influenzato dalla produzione fantastica a cavallo tra Otto e Novecento, tra folklore e letteratura di genere, quello che è stato spesso definito come esemplare pastiche post-moderno, in realtà, è una sensibilità narrativa molto ancorata a regole classiche. Lungi dall’essere retrò, Mignola pesca dal passato più sordido della tradizione adattandolo al presente. In questa rilettura, il denominatore comune è l’aspetto ‘popolano’. Mignola ha assorbito e ri-praticato tutto ciò che di “triviale” la narrativa del Secolo breve ha prodotto, dimenticato e poi rivalutato, da Lovecraft a Howard, passando per Wellman, Dent e Gibson.
Durante la pre-produzione di Hellboy II: The Golden Army, Mignola partecipò a una riunione generale sull’aspetto del film. Se ne usciva spesso dicendo: «Su questo personaggio potremmo metterci dei chiodi di ottone». «I chiodi di ottone!», sbuffava il regista Guillermo Del Toro, «I chiodi di ottone sono per te quello che sono per me i meccanismi.»
Il cineasta messicano aveva appena fatto un esercizio di analisi su cosa volesse dire essere autori con personalità. Idiosincrasie, fissazioni, ossessioni, inclinazioni estetiche. Dove può, nei suoi film, Del Toro inserisce ruote, molle e viti, come se ogni aspetto dello spirito umano fosse un orologio perfetto che con il rumore dei propri meccanismi riempie la stanza di vita. Mignola fa lo stesso, ma con i chiodi d’ottone, le crepe, gli inserti con rane, vermi e corvi, i giornalacci pulp, la letteratura di genere.
Tutto ciò che rende Mignola un Autore è in questa matassa indistricabile di testo e disegno. Ma cosa succede quando a mettere su carta le fantasia del Nostro è un’altra persona? Cosa succede quando districhi la matassa? Cosa resta del Mignola scrittore, lui che scrive soprattutto con la matita e le suggestioni più che con le storie e i dialoghi?
A rispondere a questo trittico di domande c’è l’enorme produzione del Mignolaverse, moltissime serie scritte – o addirittura co-scritte – che stanno lì a ricordarci com’è il suo universo quando non si occupa dei disegni. Si tratta però di produzioni legate a prodotti che Mignola ha già pensato graficamente, disegnando pagine o curando il design dei personaggi. Mr. Higgins torna a casa è invece un’opera nuova, un graphic novel spurio che il Nostro non ha potuto metabolizzare con la matita.
Senza l’apporto del disegno, in questo lavoro rimane un Mignola interessato a ciò che già sappiamo, ma ellittico in fase di sceneggiatura tanto quanto lo è nel disegno, ed è proprio a quest’ultimo che lascia il compito di caratterizzare la storia. È infatti nelle ambientazioni e nei paesaggi che troviamo il cuore dei personaggi più che nelle parole. Mignola non è uno sceneggiatore “completo”: nelle sue storie procede per idee e temi collegati tra di loro attraverso passaggi affrettati. Le meccaniche più fini del racconto non gli interessano.
Nelle avventure ad ampio respiro manca di ritmo, glissa su scene madri o smarrisce lo sguardo in evocativi squarci panoramici. La sua dimensione è quella della short story. Come nei disegni, le uniche cose che contano sono i tre o quattro colpi di scalpello per togliere il superfluo dal legno e lasciare una statuina non molto levigata di cui – con meraviglia – si percepiscono con esattezza il peso, la massa e le intenzioni. Non è un caso che Pancakes sia la sua migliore storia e uno dei migliori fumetti brevi mai scritti, in cui Hellboy bambino viene sedotto dagli umani grazie a… un piatto di frittelle.
Mr. Higgins torna a casa ha lo stesso peso specifico. Potrebbe infatti girare intorno a un paio di tavole: il professor J.T. Meinhardt e il suo assistente Knox viaggiano alla ricerca di Mr. Higgins, un vecchio che potrebbe aiutarli nella loro missione verso Castel Golga, dove i non-morti si stanno radunando per il rito orgiastico noto come Notte di Valpurga.
Il tratto del giovane Warwick Johnson-Cadwell (in forze a IDW Publishing e già visto su Tank Girl) è fisiologicamente buffo. La scelta del disegnatore, che parrebbe a proprio agio in un libro per bambini, asseconda bene quel misto di commedia e horror (lieve) dei testi. Mr. Higgins torna a casa è infatti un ibrido: inizia come una fiaba (con il «Tanto tempo fa» e il protagonista intento a sognare «cavoli e coniglietti»), prosegue nei topoi classici dell’horror e si conclude come un racconto esistenzialista.
Colpendo con un’altra ellissi, Mignola conclude il volume in quello che è uno dei migliori finali fumettistici visti di recente, ironico e desolante nella tradizione delle sue storie brevi (oltre a Pancakes potete pescare tra le avventure di Hellboy Il neo o Nella cappella di Moloch, contenute entrambe in Hellboy: L’uomo deforme e altre storie pubblicato da Magic Press).
Come scrive nella dedica iniziale, Mignola omaggia i film della Hammer e Per favore, non mordermi sul collo! di Roman Polanski, che del filone Hammer è una parodia. Ma come li omaggia? Attraverso la costruzione di un mondo gotico, vittoriano, arcaico e smaccatamente artificioso, che dell’artificio ne fa vanto e cifra stilistica.
Tutto ciò che Mignola avrebbe messo su carta con compostezza e parsimonia, Johnson-Cadwell lo disegna sconquassando ogni angolo, facendo sbandare ogni linea e incrinando ogni prospettiva. Mettendo cioè in evidenzia la natura fittizia dell’illusione prospettica e facendo assomigliare ogni sfondo a un set teatrale. Le panoramiche di carrozze che scendono da viuzze di montagna, le magioni dei castelli, i muri e pavimenti sono tutti in un pericoloso bilico, inclinati verso l’osservatore o ribaltati per dare un senso di precarietà e irruenza anche alla più statica delle inquadrature.
E poi li omaggia anche nell’impianto estetico, barocco nei costumi ed estremamente consapevole nella sua tavolozza cromatica. Nei film della Hammer i buoni vestono in tweed e chiunque sia estroso al punto da indossare del velluto è guardato con sospetto. Ecco che, come il Van Helsing interpretato da Peter Cushing, Meinhardt e Knox vestono di semplici cappotti color verde-marrone, mentre i mostri si concedono stoffe blu o cremisi con inserti decorati.
I colori di Johnson-Cadwell tengono a bada qualsiasi tentazione di azzardare una tinta squillante, lasciando che dei pacatissimi colori terrosi prendano possesso della scena. Solo i vampiri si permettono di proiettare un’aura color indigo, e questa morigeratezza fa risaltare il rosso del sangue e della violenza che entra in campo a metà del volume.
Mr. Higgins torna a casa è un fumetto di poche pagine, una storia di nulla che guarda a un passato trapassato, eppure i piccoli tocchi di Mignola e la confezione di Johnson-Cadwell le danno un fascino peculiare. Veder lavorare il creatore di Hellboy su qualcosa di completamente inedito è dunque un rinfrescante diversivo. Anche se “completamente inedito” è un concetto che applicato a Mignola suona stonato. Perché il nucleo dei suoi interessi è noto, e sperare che si allontani da quei luoghi è una pretesa impossibile.
Mr. Higgins torna a casa
di Mike Mignola e Warwick Johnson-Cadwell
Traduzione di Diego Malara
Panini Comics, marzo 2018
Cartonato, 56 pp a colori
€ 15,00