di Giulio C. Cuccolini*
Un amico italiano che lavora in Cina, conoscendo la mia passione per le storie in immagini, mi ha fatto dono di un albo a fumetti cinese, pubblicato nel 1988, che porta un doppio titolo: Ding Ding Zai Jiu Shang Hai (in caratteri latini: Ding Ding aiuta un’altra volta Shang Hai) e Ding Ding fuori dall’accerchiamento (in caratteri cinesi).
Immaginate la mia meraviglia quando ho avuto l’albo tra le mani e ho visto che sulla copertina spiccava una gran testa di Tintin in abiti cinesi! Il collegamento con Il Loto Blu (quinto albo della serie) è stato immediato e poi confermato dalle pagine interne. Tuttavia, a un’attenta lettura, diverse cose non tornavano.
Il Loto Blu è composto di 62 pagine (o tavole) mentre Ding Ding di sole 30. Inoltre il formato ridotto (cm.18,2 x 16,5) dell’albo cinese contiene in ogni tavola tre strisce al posto di quattro e quindi finisce per sacrificare alcune vignette per pagina. Insomma, l’album cinese era chiaramente una riduzione di quello originale, ma effettuata in base a quale criterio e con che scopo?
Per quanto mi consta, non è la prima volta che il fumetto cinese riproduce storie a fumetti occidentali o “borghesi” per strumentalizzarle, vale a dire per alterarne o accentuarne parzialmente il senso a scopo ideologico e propagandistico. In quest’ottica rimando al mio saggio Il fumetto come strumento ideologico. L’esempio cinese e procederò qui a una decostruzione o scomposizione della storia del Loto Blu rispetto a quella di Ding Ding per effettuare una comparazione.
La prima “rivoluzione”, quella di Tintin del 1934
Nel primo albo della serie, Tintin nel paese dei Soviet (1930), compaiono due cinesi nel ruolo di sadici torturatori ai quali i comunisti russi consegnano Tintin affinché sia lavorato a dovere. Nel seguente albo, Tintin in America (1931), altri due cinesi compaiono nel ruolo d’individui crudeli incaricati da una gang di eliminare il piccolo eroe in cambio di Milou, destinato così a soddisfare la golosità per la carne di cane dei due orientali.
Hergé non si fa scrupolo di utilizzare un arcaico pregiudizio occidentale che considera i cinesi individui sanguinari e disumani la cui raffinata civiltà ha finito per rendere ancor più sofisticato il loro sadismo. Poi nel 1934 col Loto Blu arriva una prima rivoluzione per illustrare la quale mi servirò di una lunga citazione in grado di gettar luce sul lavoro di Hergé, chiedendo pubblicamente scusa all’autore per avere eccessivamente approfittato di un testo particolarmente esplicativo.
«Come succede spesso al giovane Hergé, tutto è all’inizio un affare di abati. È l’abate Wallez, dirigente del quotidiano conservatore Vingtième Siècle che aveva deciso che nelle sue prime avventure Tintin avrebbe dovuto prendersi beffa dei russi a Mosca, poi andare in Congo per illustrare i benefici apportati dalla colonizzazione belga.
Hergé, quando l’ecclesiastico è allontanato nel 1933 dalla direzione del giornale, ha le mani libere e annuncia che invierà il suo reporter in Estremo Oriente. Prende quindi contatto con padre Edouard Neut, specialista di cultura cinese nell’abbazia di Saint-André-Lez Bruges. Il benedettino gli fa avere due libri: All’origine del conflitto mancese di Dom Thaddée (1934), uno studio sulle relazioni sino-giapponesi dal 1914, e Mia madre (1928) di Cheng Tcheng, più incentrato sulla vita domestica. Sprofondandosi in queste due opere, Hergé, che fino ad allora improvvisava settimanalmente le avventure di Tintin, inaugura quello che chiamerà più tardi il suo “periodo documentale”. Una rivoluzione.
[…] Qualche giorno più tardi arriva una lettera per Hergé alla redazione del Petit Vingtième. Ancora un abate! “Sono cappellano degli studenti cinesi dell’Università di Lovanio. Se voi mostrate i cinesi infidi e crudeli, ferirete i miei studenti. Vi prego, informatevi!” e l’abate Gosset mette in contatto Hergé con uno dei suoi studenti alla Scuola di Belle Arti di Bruxelles, un certo Tchang-Tchang-Jeu, che per mesi apre gli occhi al padre di Tintin […] Da queste confidenze nascerà la celebre scena del Loto Blu nella quale il giovane Chang (gemello di carta del vero Tchang-Tchang-Jeu) riderà dei pregiudizi europei, suggellando una duratura amicizia con Tintin che osserva, cogitabondo, “I popoli si conoscono male!” […]
Ecco Hergé pronto a inviare Tintin in Cina. Più precisamente a Shanghai che, con i suoi tre milioni d’abitanti, è chiamata la perla d’Oriente che affascina l’Occidente. Il nostro intrepido eroe, vestito con il tradizionale abito blu locale, si fonde con il popolo minuto cinese delle classi popolari e bistrattate […] Per contrasto, gli occidentali che vivono nella concessione internazionale saranno tutti raffigurati come odiosi capitalisti […]
Quanto ai bassifondi, il famigerato Lotus Blu – nome senza dubbio derivato da una scena del film Shanghai, con Marlene Dietrich – incarna la leggenda nera di questa città, che ha avuto un migliaio di fumerie d’oppio. Quando Tintin sbarca a Shanghai questa droga è proibita da tempo, ma organizzazioni criminali continuano a smistarla. […]
Quest’empatia con il popolo cinese provoca però vittime collaterali: il Giappone. Nel lungo conflitto sino-nipponico, Hergé si schiera con Pechino. Istruito da Tchang, mette in scena, con qualche vignetta notturna, il famoso incidente di Mudken, sabotaggio di una linea ferroviaria mancese e assalto al treno nel settembre 1931, falsamente attribuito ai cinesi e pretesto per l’invasione del Paese ad opera delle truppe nipponiche.
Osservate bene come i giapponesi sono disegnati da Hergé, a cominciare dal crudele Mitsuhirato: hanno tutti una dentatura a forma di griglia. Un modo per suggerire ai giovani lettori dell’epoca chi sono i cattivi in questo complicato Estremo Oriente. Questa posizione antinipponica provocherà una protesta ufficiale dell’ambasciatore giapponese a Bruxelles nei confronti del Vingtiéme Siécle». [Da Jerome Dupuis, La révolution du “Lotus Bleu”, in Tintin. Les Peuples du monde, numero speciale della rivista Geo Hors-Série, aprile-maggio 2017, pp.70-73. Traduzione mia.]
L’albo Il Loto Blu «è un’eccezione nell’opera di Hergé in quanto si basa su avvenimenti politici veri, di cui si sarebbero misurate in seguito le funeste conseguenze sull’evoluzione delle relazioni internazionali» [Nella lunga prefazione all’albo Il Loto Blu, edizione Corriere della Sera/La Gazzetta dello Sport, Milano, 2017, p.8].
Inoltre, per valutare appieno l’importanza di questa “rivoluzione”, occorre ricordare che all’epoca l’opinione pubblica e le classi dirigenti occidentali parteggiavano per il Giappone visto come un esempio di stato ordinato e moderno rispetto alla Cina percepita come un’entità politica disgregata, anarchica, inaffidabile e come un’entità sociale viziata da secolari raffinatezze spesso trasformatesi in malcostume, dissolutezza, corruzione.
Cina e Giappone tra Otto e Novecento
Il Celeste Impero Cinese retto dalla dinastia mancese nel corso dell’Ottocento vive in una specie d’isolamento che maschera la sua fragilità politica e militare. Nel 1840 si oppone all’importazione e allo spaccio dell’oppio sul suo territorio e la Gran Bretagna, che trae da questo commercio ingenti profitti, dichiara guerra alla Cina e nel 1842 le impone (con i cosiddetti “trattati ineguali”) di aprirsi alla penetrazione commerciale europea, di cederle la città di Hong Kong e di effettuare numerose altre concessioni territoriali a varie potenze straniere. La dinastia Manciù, per quanto screditata, continua a reggere il paese.
Nel 1900 scoppia una rivolta antioccidentale ad opera del movimento xenofobo dei Boxers, stroncata però dall’intervento militare delle potenze europee, statunitense e giapponese a difesa dei rispettivi privilegi (tra questi ricordo le cosiddette concessioni internazionali – zone in cui gli europei risiedevano e svolgevano i loro traffici commerciali – che godevano dell’extraterritorialità ed erano presidiate da forze militari europee). Nel 1912, la dinastia mancese è dichiarata decaduta e ad essa subentra la Repubblica che, per quanto sostenuta da vari movimenti nazionalistici, non riesce però a dar vita a un governo forte, organizzato e centralizzato.
A partire dal 1868, il Giappone con il cosiddetto “rinnovamento Meiji” dà vita a un radicale cambiamento nella propria struttura sociale, politica, economica nel senso di una profonda occidentalizzazione soprattutto nei settori industriale e militare. Questa metamorfosi, alimentata dallo spirito marziale nipponico e dalla spinta colonialistica insita nel capitalismo industriale, origina a sua volta un espansionismo aggressivo.
In seguito alla prima guerra contro la Cina (1894-1895), il Giappone sottrae la Corea al controllo cinese, annettendola poi nel 1910, occupa l’isola di Formosa (Taiwan) e costringe la Cina a riconoscergli privilegi economico-commerciali. Con la vittoria nella guerra russo-giapponese (1904-1905) e l’intervento durante la Prima guerra mondiale a fianco delle potenze alleate vincitrici, il Giappone s’impone come la maggior potenza estremo-orientale e intensifica la politica espansionistica nel continente asiatico. Dapprima organizza un sabotaggio nel nord della Cina (incidente di Mudken, 1931) alla locale ferrovia giapponese attribuendone la responsabilità a banditi cinesi e poi interviene, a protezione degli interessi nipponici e della pace (!?!) in un Paese travolto dall’anarchia, creando nel nord uno stato formalmente indipendente ma di fatto sotto controllo nipponico, il Manciukuò.
Nello stesso anno i giapponesi attaccano la città di Shanghai e alla fine la occupano (è in questo contesto che Hergé situa la storia del Loto Blu) ed escono dalla Società delle Nazioni. Nel 1934, Tokyo dichiara che tutta la Cina è una propria riserva territoriale e che nessuna potenza può intervenire nel Paese senza il permesso nipponico. Mentre nella Cina, politicamente frammentata, varie aree sono controllate dai cosiddetti signori della guerra, si assiste altresì, a partire dal 1927, allo scontro tra forze del Kuomintang (partito nazionale del popolo) capitanate da Chiang-Kai-Shek e quelle comuniste guidate da Mao Zedong. Il Giappone nel 1937 invade la zona costiera della Cina imbarcandosi in una guerra che avrà fine solo nel 1945.
Decostruzione comparativa
All’inizio della storia del Loto Blu, Tintin (d’ora innanzi TT), ospite in India di un marajà, si diletta a fare il radioamatore con un apparecchio a onde corte quando capta un enigmatico messaggio proveniente da Shanghai (d’ora innanzi S.). Al contempo, riceve la visita di un signore cinese che, mentre sta per fargli un’importante comunicazione circa il signor Mitsuhirato (d’ora in poi M.), è colpito da una freccetta che gli fa perdere il senno. TT parte per S. alla ricerca del signor M.
Tutta questa parte, contenuta nelle prime cinque tavole dell’edizione originale, è assente nella versione cinese che inizia con la grande vignetta della tavola sei. Vengono così eliminate molte gag e situazioni comiche ivi contenute, che contribuiscono a caratterizzare la serie di Tintin.
Giunto a S., TT si fa portare all’indirizzo di M. da un risciò il cui conducente urta involontariamente un ricco signore americano e viene da costui malmenato. TT rimbrotta il perfido straniero che, con la coda tra le gambe, entra in un club riservato agli occidentali dove manifesta il suo odio anticinese e l’intenzione di farla pagare a TT, in ciò appoggiato dal capo della polizia della concessione internazionale di S. Nel frattempo, TT incontra M. che lo informa di un grave pericolo incombente sul marajà suo amico e gli consiglia di ritornare in India. TT, mentre rientra in albergo, è oggetto di un attentato dal quale lo salva uno sconosciuto cinese. Rientrato in albergo TT sta per bere un tè quando una pallottola di pistola colpisce la tazza.
Questa parte è riprodotta nella versione cinese ma con tagli di vignette che riducono la leggibilità della vicenda. Soprattutto sono eliminate quelle contenenti qualche gag.
TT insegue l’attentatore, ma nel buio della notte è arrestato e imprigionato dalla polizia inglese della concessione. Il capo della polizia invita i suoi poliziotti a dare in cella una lezioncina a TT, ma alla fine sono costoro a essere trasportati in ospedale. Ritornato in albergo, TT si rende conto che lo sparo aveva solo lo scopo d’impedirgli di bere il tè che era drogato. Un biglietto lo invita a recarsi di notte a un appuntamento. TT raggiunge il luogo indicato dove incontra un cinese impazzito che tenta di decapitarlo con una scimitarra. TT fugge e il giorno seguente parte in piroscafo per Bombay.
Tutta questa parte, comprese le scene comiche, è eliminata nella versione cinese.
Mentre di sera passeggia sul ponte del piroscafo, TT è cloroformizzato, gettato in mare in una cassa e poi ripescato da un piccolo battello. Il giorno seguente, si risveglia ospite del cinese Wang Jen-Ghie, padre del giovane che aveva protetto TT in occasione del primo attentato, ma che poi era uscito di senno a causa di una droga iniettatagli da M. Wang è anche a capo di una società segreta che si batte contro il traffico d’oppio e contro il giapponese M. che lo gestisce.
Hergé rivela anche l’aggressività nipponica in Cina, il ruolo di M. quale spia, trafficante d’oppio e proprietario della fumeria Loto Blu. TT si reca alla fumeria vestito da cinese e sorprende M. mentre si accorda con un gangster occidentale per compiere un attentato alla ferrovia e al treno giapponesi nel nord, da imputare poi a banditi cinesi (è l’attentato di Mudken). Ad attentato avvenuto, il Giappone si proclama garante della civiltà e dell’ordine nella Cina in preda al caos, giustificando così il suo intervento militare nel paese.
TT, presente all’attentato, è catturato da M. che gli inietta la droga che rende folli per poi liberarlo, in quanto ormai innocuo. Accortosi però che gli aveva iniettato solo acqua (che era stata sostituita alla droga da un membro della società segreta antinipponica), M. tenta inutilmente di uccidere TT. Fa allora emettere dall’autorità giapponese una taglia su TT, ma un amico cinese aiuta il reporter belga a uscire da S. e a sottrarsi alle ricerche delle truppe nipponiche.
Gran parte di queste vicende sono ignorate nella versione cinese, che recupera solo i tentativi di M. di drogare TT e di attentare alla sua vita, oltre ai vani sforzi dei militari giapponesi di catturare TT dopo la sua fuga da S. Successivamente, con un salto logicamente inspiegabile, la versione cinese anticipa l’attentato ferroviario, l’esondazione del fiume Azzurro, il salvataggio del ragazzo cinese, il fallito attentato alla loro vita da parte di un fotografo, il loro ingresso nella casa di Wang e la visita al Loto Blu di un ometto barbuto.
TT promette a Wang e a sua moglie di fare tutto il possibile per trovare un rimedio in grado di fare rinsavire il loro figlio e si traveste da generale giapponese per ispezionare le truppe nipponiche. Poi si riveste da cinese per entrare nella zona della concessione internazionale alla quale non può avere accesso per mancanza di documenti. Con un comico stratagemma, entra ugualmente per incontrare il prof. Fan-Se-Yeng che nel frattempo è scomparso.
TT si reca a casa del professore dove è arrestato dagli inglesi e consegnato ai giapponesi, i quali lo processano e lo condannano a morte. M. cerca inutilmente d’ingaggiare nel servizio segreto giapponese TT che, in attesa dell’esecuzione, viene fatto evadere dagli amici cinesi. TT ruba un’autoblindo nipponica, sabota le altre e fugge, poi si reca in treno nei pressi del fiume Azzurro per consegnare il riscatto e liberare il prof. Fan. La linea ferroviaria è interrotta dall’esondazione del fiume e TT salva dall’annegamento un ragazzo cinese orfano di nome Chang. Fra i due nasce una sincera amicizia e TT si ricrede su molti pregiudizi che nutriva sui cinesi e sulla loro civiltà. Insieme raggiungono la località dove versare il riscatto.
Nel frattempo compaiono i poliziotti Dupont e Dupond (d’ora innanzi D&D) con un mandato per catturare, ma inutilmente, TT. Raggiunto il luogo, TT e Chang rischiano di essere uccisi da un fotografo ambulante, ma evitano l’attentato organizzato da M. Cercano così di raggiungerlo, sfuggendo a un secondo tentativo di D&D di catturarli. Saputo che M. si è recato a casa di Wang, i due lo raggiungono ma apprendono che il giapponese si è recato al Loto Blu dove ha luogo una scena comica: un tipo piccolo e barbuto entra nella fumeria e viene scambiato per TT e solo dopo diversi buffi tentativi per smascherarlo è rilasciato con mille scuse.
Nel frattempo M. utilizza il figlio impazzito di Wang per far decapitare la sua famiglia e TT, ma improvvisamente Chang e altri membri della società segreta intervengono e catturano M. Penetrati nella fumeria, scoprono che è il centro del traffico d’oppio. Nelle tre ultime tavole seguenti viene precisato che il prof. Fan ha scoperto una cura contro la follia improvvisa, che il figlio di Wang è guarito, che i due D&D si congratulano con TT per aver scoperto il complotto, che M. ha compiuto harakiri, che Wang ha adottato l’orfano Chang e che TT sta rientrando in Belgio.
Buona parte di tutto questo è eliminato nella versione cinese che tuttavia aveva recuperato anticipatamente diverse azioni come ad esempio il salvataggio di Chang travolto dal fiume, il fallito attentato a TT compiuto dal fotografo, la presenza nella fumeria di un barbuto scambiato per TT (uno dei rari passaggi comici mantenuti). Figurano inoltre il fallito tentativo di decapitare TT e la famiglia Wang grazie all’intervento di Chang, la fuga di TT su un’autoblindo giapponese e TT sul piroscafo per rientrare in Belgio.
La seconda “rivoluzione”: quella cinese del 1988
Cosa rimane dunque dell’originale Loto Blu nella versione cinese del 1988? In altre parole, cosa ha visto il lettore cinese nella vicenda così come gli è presentata? Una generale rivalutazione della civiltà e della cultura della Cina quando in un recentissimo passato le potenze occidentali la consideravano ancora una nazione barbara, primitiva, incivile.
Un’immagine di nazione ridotta a uno stato semicoloniale, che su molte parti del proprio territorio (Hong Kong e le numerose concessioni internazionali) non era più in grado di esercitare la sovranità alla quale aveva rinunciato con una serie di “trattati ineguali” (perché imposti con la forza) a favore di molte potenze straniere. Lotta di alcuni strati della popolazione contro questa condizione di inferiorità e inizio di una resistenza antinipponica.
Tutti questi temi, anticipati da Hergé con la “rivoluzione” del Loto Blu, aderivano perfettamente alla politica culturale comunista cinese della seconda metà del Novecento, che aveva come obiettivo quello di celebrare la vittoria della lotta del Partito Comunista contro il regime borghese corrotto del Kuomintang e il trionfo del nazionalismo cinese di marca comunista.
Per una nazione desiderosa, dopo una fase rigidamente autarchica di quasi un quarto di secolo, di aprirsi al mondo e di familiarizzarsi anche con la moderna narrativa per immagini, il Loto Blu era una ghiotta occasione che soddisfaceva al contempo esigenze narrative e propagandistiche. Così, evitando di sottostare al pagamento dei diritti d’autore (operazione che per i cinesi rientrava in una forma di sfruttamento di stampo elitario e borghese della creatività) non rimaneva che copiare, senza citare naturalmente la fonte, e potendo altresì intervenire sull’imprestito nei modi ritenuti più consoni alle proprie scelte culturali e propagandistiche.
È quanto è successo in questo caso in cui il lavoro originale di Hergé è stato dimidiato e qui e là modificato. Quest’operazione, però, ha eliminato anche le parti che arricchiscono il racconto – in particolare quasi tutte le gag e certe situazioni umoristiche legate alla figure di Tintin, Milou e D&D – e che non risultavano del tutto funzionali a una storia a fumetti, quella cinese, dagli intenti seriamente educativi in senso nazionalistico, sociale e anticapitalistico. Il tutto a scapito della varietà e vivacità dei motivi narrativi e umoristici legati alla figura del giovane giornalista detective con i calzoni alla zuava. Quella operata dai cinesi nel 1988 è stata una “rivoluzione” dagli esiti piuttosto tristi.
*Questo articolo è originariamente apparso su Fumetto n. 105, pubblicato dall’associazione Anafi.