Il corvo di James O’Barr è il classico pitch da ascensore: un giovane viene ucciso insieme alla fidanzata da una gang e resuscitato da una presenza soprannaturale che lo tiene in vita, finché la sua sete di vendetta e giustizia non verrà placata (spoiler: verrà placata). O’Barr lo aveva immaginato sul finire degli anni Settanta, nel tentativo di venire a patti con la morte della sua ragazza, uccisa da un automobilista ubriaco.
Sarebbe potuto sembrare facile trovargli un pubblico, ma non lo fu. Anni di rifiuti da parte di vari editori, che lo avevano bollato come «troppo triste, troppo confuso», vennero però ripagati nel 1989, quando l’etichetta Caliber decise di pubblicarlo.
Da allora Il corvo è diventato un fumetto di culto, disegnato non granché bene e sceneggiato con approssimazione da autodidatta, ma che si fa forza di una carica cupa e romantica che, in quegli anni, riesce a costruire un immaginario “oscuro” in linea con i suoi tempi.
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Le pagine di O’Barr funzionavano perché rispondevano alla domanda di gotico che alimentava le fantasie del pubblico tra gli anni Ottanta e Novanta, ingordo di prodotti esteticamente affini come quelli di Neil Gaiman, i Cure o Tim Burton. La trasposizione cinematografica di Alex Proyas, poi, con le visioni gotiche e la nomea “dannata” legata alla morte sul set del protagonista Brandon Lee (figlio del leggendario Bruce Lee), ne ha cementificato la fama, un fama che potrebbe non venire compresa del tutto da un lettore moderno.
E dagli ambienti underground, Il corvo è passato per mano di una manciata di editori che hanno prodotto sequel e nuovi racconti: prima un’altra etichetta indie come Kitchen Sink Press, poi il simbolo dell’editoria indie-diventata-mainstream Image Comics e, dal 2012, IDW Publishing. Lo stesso editore che oggi, associatosi in un’inedita co-produzione all’italiana Edizioni BD, propone una nuova e ulteriore versione del personaggio. Questa volta, immaginata da autori nostrani e – sorpresa – ambientata proprio in Italia.
Il meccanismo narrativo che governa tutta la serie prevede che uno psicopompo, incarnato in un corvo, doni di volta in volta i poteri a un avatar. Dunque, con il variare del protagonista è possibile aggiungere temi e toni che si innestano nel sentimento di redenzione e vendetta della storia originale, dall’horror spinto (Dead Time) ai drammi storici (Skinning the Wolves), alle storie di droga (Pestilence), passando per la detective story e il melò (The Crow: Curare).
Va detto, però, che le varie miniserie apparse lungo gli anni Novanta e Duemila non hanno certo fatto la Storia. Difficile ripetere il mix di violenza, straziante lirismo e approssimazione underground che fece la fortuna del Corvo originale, un UFO editoriale che ha segnato come pochi la stagione del fumetto indie in bianco e nero americano, aprendolo al successo di massa.
Tuttavia qualcosa di meno effimero e kitsch sarebbe stato possibile, magari arruolando autori più ispirati (di quella produzione, quel che resta da salvare è forse solo l’apparizione di un giovane Alex Maleev in Dead Time).
Con questi presupposti, proporre qualcosa di interessante ai lettori di oggi, figli di un’onda che ha relativizzato i fenomeni più modaioli del dark e dell’emo anni Novanta, è una sfida tutto sommato realistica. E infatti Memento Mori – questo il titolo della nuova produzione italiana – sembra vincerla piuttosto facile.
Roberto Recchioni e Werther Dell’Edera (con Giovanna Niro ai colori e altri autori a realizzare una back up story per ogni numero – in questo primo Matteo Scalera con Virtù sepolta, un racconto breve a mezzatinta e bicromia giallo/nero, più spiccatamente fantasy) firmano una miniserie che, rispettando la tradizione del franchise, introduce un nuovo Corvo, localizzato a Roma, e inserisce una connotazione religiosa assente nelle precedenti storie.
Recchioni spinge al massimo l’elemento spirituale attraverso i personaggi, l’uso dell’ambientazione romana – simbolico ma anche pratico, con tutte quelle statue su cui abbarbicarsi – e mettendo in scena, come evento scatenante, un attentato di matrice religiosa.
Lo spunto religioso, tanto sul pezzo quanto furbo, è sviscerato senza mezze misure sin dalla prima scena, in cui la voce narrante del protagonista ci snocciola passi biblici e spiega che il concetto di assassinio, checché ne dica il quinto comandamento, non è estraneo alla cristianità. Protagonista che per altro è un chierichetto di nome David Amadio – una scelta quasi filologica in linea con la grana grossa di O’Barr, che aveva battezzato il suo protagonista “Draven” (in inglese suona come “The raven”, il corvo). E quando si tratta di caratterizzarlo, Recchioni lo dipinge come un one liner nato che salta da uno scambio di battute all’altro riuscendo a infilare qualche frase smargiassa d’ordinanza («Muori!», «Già fatto»; «Dio esiste… E ti odia»). Come aveva anticipato l’autore, emana teen angst da ogni poro.
Questo gusto adolescenziale va al passo del contenitore, un fumetto cioè che sa di dover agire velocemente e altrettanto velocemente deve essere decodificato dal lettore (scambi di battute rapidi, situazioni decompresse), ma sopratutto è nelle corde dello stile di Recchioni.
L’autore romano, alfiere di un fumetto pop in bilico tra epico e drammatico, spesso ricco di personaggi e toni sprezzanti, in passato era parso poco intonato rispetto al clima o al contesto delle sue stesse storie: sfacciatamente kitsch in Battaglia (per esempio qui, qui o qui), ma oltremodo enfatico in Orfani o tranchant ma senza struttura ne La fine della ragione.
Qui invece la sintonia tra autore e materiale pare felice e la mano si muove svelta nella definizione di una storia che sembra virare verso un conflitto tra giustizia privata e istituzionale, fede e vendetta, in una crociata che potrebbe spostare gli equilibri più dalla parte di una moralità incerta che dal manicheismo dell’originale.
Dell’Edera e Niro producono pagine di altissima leggibilità, posate nei flashback appena sketchati, agili e mai troppo enfatiche nelle parti d’azione (solo in un paio di momenti si perde la bussola dei riferimenti spazio-temporali), e tutto l’albo è efficace. La sequenza iniziale, in particolare, offre un ritratto notturno della Capitale leccato ma non finto, che affascina ma non scade nella panoramica da cartolina, con inquadrature affondate nel blu e screziate dai lampi del suo complementare arancione.
E il punto in cui c’è maggiore distanza dall’originale, che tutti gli altri fumetti avevano seguito pedissequamente, è proprio sul piano visivo, costruito attorno a una patinatissima Roma. Meno neri e più blu, meno goth e più punk. Si affonda meno nelle sottoculture come aveva fatto O’Barr, preferendogli un’immagine normie, arrivando a giocare con le aspettative del lettore.
La prima volta che vediamo il protagonista ha le stesse fattezze di Eric (i segni sugli occhi e il pallore sono identici all’originale) ma poi David si rivela per quello che è, un parkourer dal viso angelicato, qualche benda alle mani e un paio di Converse All Star, in una revisione dell’immaginario di O’Barr il cui unico limite è non risultare altrettanto sporca, grezza, disordinata.
Il corvo di O’Barr era un gesto istintivo, di frustrazione, di rabbia giovanile non scremata, figlio di una enorme e disperata devozione che sbatteva da tutte le parti cercando di affermare sé stessa. Era la sua forza e il motivo che facevano soprassedere alle lacune di testi e disegni. Qui abbiamo invece un fumetto pulito e composto, dal ritmo senza dubbio più teso e solido rispetto al ruvido originale, ma che non imbocca il senso di marcia disturbante della sua matrice. Rimane il fatto che Memento mori è un inizio promettente che già supera per bontà il resto della produzione corviana, pur scegliendo una strada meno tortuosa.
Il Corvo – Memento Mori n. 1
di Roberto Recchioni, Werther Dell’Edera, Giovanna Niro
Edizioni BD, marzo 2017
spillato, 33 pp., colore
3,90 €