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“ODY-C”, la sconclusionata Odissea di Matt Fraction

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Matt Fraction è uno di quegli autori che, senza meriti indimenticabili, è riuscito comunque ad attirare le simpatie di molti lettori. C’è chi ama la sua gestione di Invincible Iron Man (premiata con un Eisner Award), chi la sua bizzarra versione dei Defenders, chi la sua prima serie Image – poi passata sotto l’egida Marvel – Casanova, chi il successone Hawkeye con David Aja (e io ci sono dentro in pieno) e chi infine non riesce a fare a meno dell’umorismo millenial di Sex Criminals (tra cui sempre io). E questa è solo una minima parte della sua bibliografia. Poi ci sarebbero da citare il disastro Fear Itself – che rischiò di distruggergli la carriera – un pugno di altri titoli creator owned (tipo il Satellite Sam in collaborazione Howard Chaykin) e comparsate su svariate serie Marvel.

Nel 2014, forse il culmine del suo periodo più positivo, decise di buttarsi a capofitto nel progetto Ody-C. Saranno stati i due Harvey e i due Eisner Award vinti nel corso di quell’anno, ma con questo progetto lo scrittore di Chicago finì per fare il proverbiale passo più lungo della gamba.

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L’idea alla base di tutto è una di quelle in grado di terrorizzare chiunque abbia la minima consapevolezza di cosa sta mettendo sul banco: una rilettura fantascientifica dell’Odissea di Omero, scritta interamente in esametro dopo aver sottoposto tutti i personaggi a un forzatissimo gender swap. E non stiamo parlando della splendida leggerezza con cui la cosa veniva affrontata nell’episodio Fionna e Cake di Adventure Time, ma di una roba che vorrebbe davvero avere qualcosa da dire.

Lo stesso Fraction ha sottolineato le sue fonti di ispirazione:

«Le tre cose più influenti che ho letto su l’Odissea sono state Odysseus in America del dottor Jonathan Shay, in pratica una visione dell’opera di Omero come metafora di un disturbo da stress post-traumatico; Il canto di Penelope di Margaret Atwood, una rivisitazione vista dalla prospettiva di Penelope, e Le storie di Erodoto, ovvero il primo caso di sempre in cui qualcuno ha pensato di scrivere qualcosa per non dimenticarselo. E già al quarto paragrafo, alla prima occasione in cui si è deciso che dovremmo metter per iscritto la storia dell’umanità, Elena viene incolpata per il suo stesso rapimento.

“Nessuna donna viene mai rapita se non lo vuole”. Penso che trascenda la misoginia e che vada dritto fino alla ginofobia. Questa cosa è parte integrante delle storie che raccontiamo e abbiamo raccontato sin dall’inizio della narrativa. E gli uomini, in particolare i bianchi, in particolare gli uomini bianchi etero, non sono invitati a identificarsi. Metti una principessa in una torre e un principe arriva a salvarla: è la ricerca di un eroe. Metti il principe nella torre e la principessa arriva a salvarlo: è una farsa. O una parodia».

Ecco quindi come il suo sdegno per quanto scritto da un maschilista nato nel 480 a.C. abbia portato lo sceneggiatore a una delle scelte narrative più pigre e ruffiane di tutta la sua carriera.

Il che non sarebbe del tutto condannabile. L’argomento è, visto l’andazzo di questi anni, uno di quelli caldi e sicuramente meritevoli di essere toccati. Anche solo per far parlare di sé. Peccato che sia tutto il resto a non girare come dovrebbe. Forse perché decidere di fare lo Jodorowsky di turno non è proprio un obbiettivo alla portata di tutti. Ancora di più considerato che il cileno per realizzare il suo capolavoro (stiamo parlando de L’incal), si era ritrovato come disegnatori Moebius e Juan Giménez, mentre alle matite di ODY-C troviamo Christian Ward.

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Ward è un graphic designer alla sua seconda esperienza come fumettista ed ha spiccate velleità da J.H. Williams III. Mettere in piedi una serie che vuole fare della potenza immaginifica la sua arma principale scegliendo un quasi esordiente non è certo un errore perdonabile a uno scrittore affermato e ben cosciente dei meccanismi dietro alla narrazione a fumetti.

Basti vedere come Grant Morrison, non proprio l’ultimo arrivato, decida sempre di affidare le sue sceneggiature più ingestibili a matite rodate e in grado di interpretare al meglio le sue astruse idee. Alcuni tra i capitoli più visionari dello scozzese (come ad esempio We3) ci insegnano come dare forma a certe sceneggiature talvolta significhi dover puntare molto sull’impatto con il lettore, senza però che questo sacrifichi in nessun modo il fluire dello storytelling. Anzi, dovrebbe esserne prima di tutto un rafforzativo sfruttato in giusta misura.

Le intuizioni di Ward invece prendono troppo spesso la forma di belle illustrazioni, bilanciate e ben concepite, prive di un reale dinamismo. Piuttosto che aiutare il dipanarsi dei testi di Fraction, spesso troppo indulgenti nel voler risultare poetici a tutti i costi, li frenano ulteriormente.  Questa dissonanza tra immagini e parole è veleno per qualsiasi forma di fumetto, figurarsi quando si tratta di un progetto delicato come questo.

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A Ody-C va riconosciuto comunque il merito di non porsi limiti, cercando sempre di sfondare la parete del già visto. La carne al fuoco, però, è davvero troppa per i due autori. Certo, la meccanica delle astronavi di Odyssa è affascinante e suggestiva, così come il design circolare e organico. Alla stessa maniera lo spunto dato dalla nascita di un terzo sesso avrebbe potuto essere sfruttato in maniera interessante. Lo stesso si può dire per le reminescenze post-belliche della protagonista, che del leader inscalfibile e padrone di sé non ha davvero nulla.

Ma i problemi sono troppi. Prima di tutto è la stessa Odissea a essere trattata in maniera confusa e spesso puerile. Valga su tutto lo scontro con Polifemo: dove Ulisse riusciva a sfuggire all’ira del ciclope facendosi chiamare Nessuno, nella rivisitazione di Fraction la protagonista si fa chiamare Qualcuno. Tanto per farvi capire quanto il ribaltamento dell’opera omerica sia meccanico e privo di reale comprensione.

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Anche l’impeto femminista alla base di tutta l’operazione è spesso fuori fuoco. Se si vuole mettere in scena uno Zeus donna, che senso ha farlo chiamare dalle altre divinità come madre-padre, conservando l’elemento patriarcale? Non potrebbe essere semplicemente madre e basta? Alla stessa maniera che senso ha levare dalle pagine ogni stimolo estetico che non richiami il corpo femminile, in un tripudio di design yonico come non se ne vedeva da tempo? Possibile che in un mondo popolato da donne non possa essercene una amante delle forme spigolose e slanciate? Magari proprio perché gli ricordano quello per cui sono state rimosse? Non sono pochi i casi in cui designer uomini si sono ispirati alle forme femminili per rendere più seducenti le loro creazioni, perché non dovrebbe succedere anche il contrario?

Ody-C procede in questo modo, di boutade in boutade, finendo per annacquare anche quanto di buono fatto dai due autori. Il risultato è una narrazione a volte iper-semplificata, in altri frangenti leziosamente ermetica. Senza mai un reale motivo di interesse per i lettori. Cercare di imitare Barbarella e al contempo rincorrere una ricerca linguistica che unisca presente e un libro di 2.600 anni fa non è certo un’impresa da tutti. Complimenti a Fraction e Ward per averci provato, ma l’esperimento è ben lontano dal potersi definire compiuto.

Ody-C vol. 1
di Matt Fraction e Christian Ward
traduzione di Andrea Toscani
saldaPress, febbraio 2018

brossura, 120 pp, colore
€ 14,90

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