Gengoroh Tagame è forse l’ultimo dei fumettisti giapponesi che ci si aspetterebbe di vedere candidato a un premio internazionale di fumetti, addirittura a quello per eccellenza. Sarebbe anche l’ultimo da cui ci si aspetterebbero lezioncine morali, ma procediamo per gradi.
Con Il marito di mio fratello, un paio di anni fa Tagame ha fatto notizia per la sua candidatura i premi di Angoulême. Piuttosto strano per un autore abituato a una produzione davvero estrema, non tanto per le tematiche erotiche LGBT, quanto più per le vicende che spesso ritraeva nelle sue tavole, dove violenza e sesso si incontrano, facendolo diventare idolo degli orsi più rissosi e non (nei fumetti precedenti a questo si picchiavano parecchio).
A differenza di Virtus e Racconti estremi (per citare due manga di Tagame che sono arrivati anche in Italia), Il marito di mio fratello è un racconto quieto, di quotidianità e ordinariea singolarità. È la storia di un padre single che riceve la visita di un uomo occidentale, marito del suo defunto fratello. Dalle prime pagine, in cui si consuma questo improvviso incontro, nascono tutta una serie di clash culturali, sia legati all’orientamento sessuale che alla diversa nazionalità (il cognato è canadese). Altrettanto in fretta il manga si trasforma in una specie di panphlettone educativo per il retrogrado giapponese medio (che dubito prenderebbe comunque in considerazione la lettura di un manga di Tagame).
Certo, la mentalità ristretta e retrograda di buona parte della cultura giapponese è da tenere abbondantemente di conto quando si giudicano queste pagine (nonostante nemmeno l’Italia sia il paese più all’avanguardia sulla questione), eppure certo didascalismo con cui si chiudono le vicende e con cui vengono sottolineate le riflessioni dei personaggi è evidente e ingombrante.
Ogni scena è estremamente mediata e limata, se non spiegata e lapalissiana, e anche il segno di Tagame si è fatto più leggero e realistico. Quasi irriconoscibile per uno abituato ad andarci giù pesante anche col tratto, sempre spesso e robusto, ma ora talmente cambiato da farti chiedere quanto venga davvero dalla sua mano.
Questo genere di contrasti quotidiani, queste normali incomprensioni basate su questioni generazionali e anche sessuali, le ha descritte molto meglio in tempi non sospetti l’ironia di Family Compo (1996 – 2000), il lavoro più maturo e più bistrattato di Tsukasa Hojo (celebre invece per Occhi di gatto e City Hunter). Lì c’era una famiglia a identità sessuali invertite, c’era la diversità che entrava con prepotenza e anche delicatezza nell’ordinario più comune. La sua attitudine leggera e le capacità narrative di Hojo rendevano un servizio assai più utile del pedissequo e continuo spiegone di abitudini (sessuali) altrui che si consuma invece qui. La dinamica di base con cui ha inizio la storia è peraltro simile nei due manga – con l’improvviso bussare alla porta di un familiare dimenticato e bistrattato – tanto che l’influenza di Hojo su Tagame è palese.
C’è da augurarsi che i lettori italiani trovino inadeguata e retrograda la lettura di Il marito di mio fratello, perché vorrebbe dire che certe questioni di eguaglianza non hanno bisogno di essere spiegate, come evidentemente succede in Giappone. Ma forse mi sbaglio e va bene leggerlo così com’è, sia per chi alcune cose non le ha capite (come il protagonista), sia per chi vuol passar sopra al didascalismo, apprezzare la bislacca satira e ridere di una commedia leggera incentrata su scenari di incomprensioni quotidiane.
Il marito di mio fratello
di Gengoroh Tagame
traduzione di Simona Stanzani
Panini Comics, 2017
400 pagine in b&n
14,90 €