ATTENZIONE: QUESTO ARTICOLO CONTIENE SPOILER
Arrivata al traguardo del quinto volume, Outcast continua la sua lenta e inarrestabile marcia. Questa volta l’idea è quella di cambiare una volta per tutte le carte in tavola. Un obiettivo importante che viene raggiunto con il consueto ritmo strisciante che contraddistingue la serie.
Così, poco a poco, Kirkman e Azaceta finiscono per farci trovare tra le mani un fumetto radicalmente diverso da quello con cui eravamo partiti. Se ai tempi del primo volume ci pareva di leggere una sorta di nerissimo dramma familiare intriso di spiritismo e fanatismo religioso, ora invece ci ritroviamo dalle parti della fantascienza più speculativa.
Una nuova via parte col botto: entra in scena il padre di Kyle, Simon Barnes. Un tizio tostissimo che si presenta menando una decina di persone (possedute) come se nulla fosse. Al di là della spettacolarità della della sequenza in sé – Azaceta gestisce la brutalità dello scontro in maniera esemplare – quello che si fa sentire maggiormente è la differenza con l’avvio di tutta la serie. Nei primi volumi, infatti, affrontare uno di questi sventurati in preda a chissà quali forze demoniache era un’impresa disperata. Ora, alla luce di quanto appena visto, pare evidente che le cose siano destinate a cambiare. E in maniera non indifferente.
Adesso, con l’arrivo di Simon si entra, o almeno si crede di entrare, in una nuova fase di Outcast: questa volta pare proprio che sia guerra. Kyle ha ricomposto la sua famiglia, rischiarato gli angoli bui del suo passato, allontanato chi reputava pericoloso. Non è più quel depresso lamentoso che ha rischiato più volte di farci abbandonare la serie. Ora ha una gran voglia di menare le mani e l’arrivo del suo mai conosciuto padre sembrerebbe la cosa migliore che gli potesse capitare. Il genitore ritrovato millanta di sapere – e non ci viene spiegato il perché – un sacco di cose su questa guerra in atto e pare che non abbia la minima voglia di starsene a guardare. Ed è più o meno a questo punto che partono le rivelazioni in grado di trasformare radicalmente Outcast.
Dimenticate la fede, il demonio, la Chiesa e gli esorcismi. Qui si parla di esseri interdimensionali fatti di energia. Ci sono quelli buoni e quelli cattivi. Una volta arrivati nel nostro mondo – in fuga da un conflitto di una violenza senza pari – i visitatori si sono resi conto che per sopravvivere hanno bisogno di un legame con gli essere umani, dividendoli così in due grosse fazioni vincolate da complessi legami di equilibrio. Più persone ospiti dello stesso tipo di energia – luce o tenebra – stanno vicini, più questa loro fonte di potere interna accresce e si rafforza. Indovinate quindi qual è il prossimo passo per Barnes & figlio? Esatto, menare a più non posso i cattivi e mettere in piedi un esercito per rimandare questi misteriosi esseri da dove sono arrivati. Un bel cambio di genere, considerando come era iniziata tutta la vicenda.
Kirkman si conferma forse non il più raffinato degli scrittori, ma sicuramente uno di quelli più abili a gestire con sicurezza una narrazione decompressa all’ennesima potenza. Il ribaltone di questo volume non poteva essere anticipato in alcun modo, eppure viene narrato in maniera naturale e senza sensazionalismi. Tra queste pagine non troverete nessun cliffhanger da serie televisiva di terza categoria o nessun colpo di scena da soap-opera – perfino l’inevitabile “Io sono tuo padre” viene gestito in maniera abbastanza sobria, con un vignettone a fondo pagina sporcato da un paio dei consueti micro riquadri ricorrenti in tutta la serie.
Nonostante il cambio di genere il ritmo rimane comunque quello di sempre: lento. Oltretutto ogni incursione nei covi dei posseduti – e la conseguente collisione di energie divergenti – lascia i nostri eroi spossati, spesso a un passo dal crollare dal sonno. Non aspettatevi quindi combattenti pronti a rimandare i visitatori interdimensionali nella loro dimensione a calci nel culo, quanto una coppia di disperati con un’impresa troppo grande da portare sulle spalle. Naturalmente si lascia intendere che ci sia ben altro in ballo, da parte di entrambe le fazioni, e per una volta si incomincia davvero a percepire che il bello è appena cominciato.
A questo punto dovremmo sicuramente aspettare qualche altro volume per renderci conto quanto questo cambiamento di genere sia veritiero e quanto possa risultare affascinante. Uno dei motivi per cui Outcast si è sempre rivelato una buona lettura – nonostante il ritmo francamente narcolettico – era l’atmosfera malsana e ricca di riferimenti a un oscurantismo religioso che riesce sempre a risultare affascinante.
Quelli della fede sono lidi paludosi dove bene o male tutti finiamo per rimanere impantanati – per non spostarci troppo dalla provincia pensiamo alle suggestioni di titoli lontanissimi come Resident Evil 4 o la prima stagione di True Detective – mentre quando si comincia a parlare di realtà parallele mi rendo conto che qualcuno potrebbe tirarsi indietro. Si sfocia nella fantascienza più spinta, spesso a un passo dal trash involontario. Per dirla tutta si sente anche un discreto retrogusto di fumetto da primi anni del 1990, quando di energie negative o positive pronte a impossessarsi di noi era pieno il mondo (vedi catalogo Top Cow).
Per nostra fortuna la squadra dietro Outcast pare voglia farci rimanere con i piedi per terra anche parlando di temi così astratti, apparentemente in pieno contrasto con la ricerca di realismo da sempre alla base del progetto. Vedremo se saranno in grado di farlo. Per ora, nonostante tutte queste trasformazioni, la violenza e la brutalità paiono quelle di sempre. Cambia solo il modo di chiamare i corpi che rimangono a terra.
Outcast vol. 5
di Robert Kirkman, Paul Azaceta, Elizabeth Breitweiser
traduzione di Stefano Menchetti
saldaPress, novembre 2017
brossura, 124 pp., colore
14,90 €