Come tutti gli appassionati Disney sanno (o dovrebbero sapere), il personaggio di Topolino si è evoluto nel corso di decenni, cambiando radicalmente rispetto alle prime storie che lo vedevano protagonista. Grosso modo, da iperattivo scavezzacollo il Topo si è trasformato in eroe positivo di estrazione borghese.
L’evoluzione dell’identità e del character design del personaggio è stata visibile innanzitutto nell’abbigliamento: le braghette rosse con bottoni gialli che lo hanno reso un icona mondiale, nel tempo hanno lasciato il posto a pantaloni e maglietta o camicia. L’abito del giovane “casinista” è stato abbandonato in favore di una mise da buon-topo-di-famiglia.
È per questo che Tébo (nome d’arte di Frédéric Thébault), fumettista francese chiamato dall’editore Glénat ad offrire la propria interpretazione del personaggio insieme agli altri ‘big’ Loisel, Cosey, Trondheim e Keramidas (dei cui volumi ha già parlato Andrea Tosti) ha deciso di partire da lì, dal “Topolino coi calzoni rossi”, azzerando il pregresso di quasi 90 anni di storie, per raccontarci una nuova versione – la sua – della giovinezza di Mickey.
La prima giovinezza
Mickey Mouse nasce nel 1928 come protagonista di alcuni cortometraggi in bianco e nero (il primo proiettato Steamboat Willie, il primo prodotto Plane Crazy) in cui non fa altro che fare casino. È evidentemente giovane e spensierato, incurante delle regole della società del tempo e, per certi versi, pure della fisica. Vive il momento senza badare alle conseguenze delle proprie azioni, facendo cose che oggi suonerebbero poco politically correct. Ad esempio tortura degli animali per suonare una canzoncina, o arrotola un bassotto come molla per far volare il suo aeroplano. Non è un personaggio negativo, intendiamoci; piuttosto è un monello, una teppa, come tanti altri protagonisti dei fumetti, dei cartoni animati e dei serial cinematografici dei primi del Novecento, dai Katzenjammer Kids a Felix the Cat alle Simpatiche canaglie.
I fumetti di Topolino esordiscono due anni dopo (per la precisione il 13 gennaio 1930) disegnati per i primissimi mesi da Ub Iwerks, creatore grafico del topo, Win Smith e Jack King, prima dell’arrivo di Floyd Gottfredson, titolare della serie per i successivi 45 anni. Il tono delle strisce quotidiane è grossomodo lo stesso dei cortometraggi cinematografici. La prima avventura – strisce pubblicate tra il 13 gennaio e il 31 marzo 1930, chiamata da noi Topolino nell’isola misteriosa o Topolino emulo di Lindbergh – riprende tema e alcune sequenze di Plane Crazy: Mickey si costruisce un aeroplano per emulare il grande aviatore, dando vita così a una serie di gag slapstick che culminano in un’avventura sconclusionata su un’isola popolata di cannibali, leoni e varie bestie feroci.
Ci vorrà del tempo perché questo personaggio diventi il detective puntiglioso e il cittadino precisino che troppe storie, spesso scadenti, hanno impresso nell’immaginario collettivo. Nei suoi primi anni, quando ancora è un giovane scavezzacollo, aprirà un minigolf utilizzando gli animali della fattoria (consenzienti) come ostacoli del percorso, lotterà per l’amore di Minni con un bellimbusto ladro di polli, sfiderà sul ring il tremendo gatto boxeur Spaccafuoco.
Soprattutto – storia davvero emblematica di questo tono iniziale della serie – si ritroverà coinvolto in una feroce lotta con il vicino di baracca nella slum dove vive, il Gatto Nip, in un conflitto senza esclusione di colpi, davvero cruentissimo se confrontato con gran parte dei prodotti per bambini odierni.
Negli anni la gestione di Gottfredson e degli sceneggiatori Ted Osborne e Merrill De Maris, seguendo in qualche modo l’evoluzione dello stile dei cartoni animati, trasforma il personaggio smorzandone gli aspetti più eversivi. Il Topolino degli anni d’oro (1935/1940) mantiene la vitalità delle origini ma non è ormai più una “simpatica canaglia”; è diventato piuttosto un eroe d’avventura, protagonista di storie “serie” quasi quanto quelle dei suoi vicini di striscia sulle pagine dei quotidiani, da Mandrake a Phantom, da Dick Tracy a Terry Lee a Flash Gordon.
La trasformazione definitiva in un eroe borghese, che non cerca l’avventura ma aspetta che gli si presenti sull’uscio di casa, avviene con l’arrivo di Bill Walsh come sceneggiatore della serie (1943 – 1954); è il Topolino di Walsh che, in mano ad autori mediocri o utilizzato per copioni slavati, è diventato lo stereotipo negativo del detective perfettino che aiuta settimanalmente Basettoni a catturare Gambadilegno, distanziandosi da – se non “tradendo” – le origini del personaggio.
Bisogna a questo punto specificare che non tutta la produzione post-Walsh è così, per fortuna. Autori come Romano Scarpa o Casty sono partiti dal Topolino dei tardi Trenta per creare capolavori; altri autori, muovendo proprio da Walsh, ci hanno dato – e continuano a proporre – dei Mickey interessantissimi (per citare solo tre nomi di generazioni diverse: Guido Martina (a volte), Tito Faraci, Pietro Zemelo). È indubbio però che troppe storie prodotte in Italia hanno preso il peggio della lezione di Walsh e l’hanno annegata nella routine, rendendo in sostanza Topolino un personaggio antipatico ai più. Ma non è questo il luogo in cui parlarne ulteriormente, visto che stiamo già divagando abbastanza.
La seconda giovinezza
Nel 2013 Disney Television Animation lancia una nuova serie in animazione dedicata a Topolino. È un evento, perché da molti anni Mickey non era protagonista di film o cortometraggi di successo: tutti i film e le serie successive a Il canto di Natale di Topolino e a Il Principe e il Povero (1990) erano passati quasi sotto silenzio, snobbati dal grande pubblico, graditi solo agli appassionati. (Fa eccezione La casa di Topolino che dal 2006, grazie al tormentone del Ballettopolo, resterà per sempre impressa, se non nella Storia dell’Animazione, almeno nella mente di chi ha fratellini, cuginetti, nipotini nati negli anni Duemila, incluso chi scrive).
La nuova serie, chiamata semplicemente Mickey Mouse, è ideata e diretta da Paul Rudish, animatore di lunga esperienza e vicino a Genndy Tartakovsky, con cui ha lavorato su Il laboratorio di Dexter, le Superchicche e Samurai Jack. Per reinventare Topolino, Rudish parte dal Topolino-icona. Per tutto il mondo che non legge fumetti molti Disney (una geografia molto vasta, da cui vanno esclusi l’Italia, la Danimarca e, sebbene con una penetrazione inferiore, il pubblico francese, tedesco e sudamericano), Mickey è ormai soltanto un’icona educational per l’abbigliamento, i giocattoli e il merchandising, oltre ad essere un logo sui DVD. Se gli italiani hanno in mente, quantomeno, lo stereotipo del detective saputello di cui si diceva, gran parte della popolazione mondiale probabilmente non ha mai letto (né visto?) una storia che lo veda protagonista.
Approfittando di questo foglio bianco, Rudish con il suo team fa quello che sa fare meglio: realizza un’animazione moderna e di altissimo livello, incentrata su gag slapstick e umorismo irriverente. È evidente il richiamo alle prime storie di Mickey: Topolino torna a essere un simpatico teppistello, chiaramente più giovane di quello a cui i fumetti ci hanno abituati, a cui interessa soprattutto divertirsi in compagnia di Pippo e Paperino. È lontanissimo dal detective/avventuriero di Gottfredson – del quale comunque condivide la mise -, figuriamoci da quello successivo.
La ricetta di Rudish ha successo. Della serie sono state prodotte a oggi quattro stagioni e due episodi speciali, per un totale di 70 puntate. È un Topolino nuovo, che probabilmente sarà il primo contatto con il personaggio per milioni di spettatori e che quindi inevitabilmente influenzerà l’immagine del personaggio.
La terza giovinezza
Quando tre anni fa Glénat ha annunciato i primi quattro albi di Topolino “interpretato da grandi autori”, è stato subito chiaro che l’immaginario a cui avrebbero attinto era quello del Mickey degli anni Trenta e delle avventure gottfredsoniane “in braghette”. Le storie realizzate da Cosey e dalla coppia Trondheim e Kéramidas si rifanno esplicitamente a queste storie, senza però riuscire a colpire nel segno. Gli autori cercano di inserirsi in un flusso di storie con la propria, forte voce, risultando però una stonatura, un pezzo che non si incastra. Il risultato non è soddisfacente, né come racconto disneyano né come prova d’autore.
Al contrario, Tébo ha successo. Il fumettista normanno, pur con un palmarès inferiore a quello dei suoi colleghi, riesce dove Cosey e Trondheim hanno fallito. La gioventù di Mickey è un albo freschissimo, molto godibile e davvero divertente. Il trucco di Tébo è lo stesso di Rudish: partire da zero, tabula rasa. Non cerca il confronto con Gottfredson né costruisce una finta storia editoriale per il suo fumetto, ma parte dalle origini, dall’icona-topo e dall’umorismo slapstick.
Il fumetto è costituito da cinque racconti che un anziano Mickey Mouse fa a un suo nipotino, tale Norberto, che qui prende il posto dei canonici Tip e Tap: cinque avventure della sua giovinezza, quando era un giovane topo avventuroso con i calzoncini corti. Si tratta ovviamente di racconti incredibili, vaniloqui di un anziano, che lasciano incredulo il nipote e instillano anche in noi il dubbio che siano in realtà tutte balle. A rafforzare l’effetto troviamo incoerenze tra un racconto e l’altro o assurdità di vario tipo: Pippo che una volta è un pellerossa e poi un meccanico; Gambadilegno che, come già in Gottfredson, è l’improbabile avversario in ogni situazione; le imprese incredibili del topo…
Inutile dire che sono tutte avventure inedite e non riconducibili alle trame di Gottfredson, anche se ne mantengono qualche suggestione nelle ambientazioni (la storia western ricorda da lontano classici come Topolino nella Valle Infernale e Topolino e la barriera invisibile, così come quella aviatoria, più che all’Emulo di Lindbergh rimanda a Le prodezze di Topolino aviatore) e nelle dinamiche (Gambadilegno innamorato di Minni, come già visto ad esempio in Topolino contro il pirata e contrabbandiere Gambadilegno).
Sotto la matita di Tébo, però, Mickey diventa un personaggio diverso da quello a cui siamo abituati. Non è un detective o un giornalista, un cacciatore di balene o l’assistente di un idraulico; piuttosto è un inventore, un contrabbandiere di cioccolato o un astronauta, mestieri che il topo non ha mai fatto. All’autore francese non interessa mantenere una coerenza con l’universo in cui Topolino si muove normalmente (vedi il nipote, inesistente nel canone disneyano) o con la realtà storica (un’avventura è ambientata durante una parodia della Prima guerra mondiale, terminata dieci anni prima della creazione del personaggio); quello che gli interessa è far sorridere il lettore.
Quelle che ci propone sono delle avventure completamente alternative a quelle di Gottfredson e soci. Un “What if…” metafumettistico: cosa sarebbe successo se invece di Ted Osborne ad affiancare Gottfredson fosse arrivato uno sceneggiatore meno interessato all’avventura e più all’umorismo? Topolino probabilmente non sarebbe evoluto come lo conosciamo, sarebbe diventato piuttosto quello che troviamo in queste pagine.
L’umorismo che le permea è proprio un’evoluzione di quello delle prime storie di Topolino, compresa la noncuranza nell’utilizzare gli animali come strumenti, adattato ovviamente agli anni Duemiladieci. Più surreale e non-sense di quello di Disney e Iwerks ma altrettanto leggero, come il loro personaggio quando navigava nel 1928 sul battello a vapore.
Lo stesso discorso vale per il disegno. Lo stile di Tébo, già molto morbido, minimale e caricaturale, è contaminato dai disegni di Iwerks. Come nei classici dell’animazione i personaggi non hanno giunture, gomiti e ginocchia, sono fatti “di gomma”, si deformano piegano stortano schiacciano, per fare ridere di più. Se nei cartoni degli anni Venti era una necessità per semplificare il processo di animazione, qui è una precisa scelta stilistica per ripartire, ancora una volta, dal primo Topolino.
Inoltre l’apparente semplicità dei disegni permette all’autore di sbizzarrirsi con la recitazione dei personaggi e la regia. Ogni storia ad esempio ha una doppia splash page al momento culmine dell’azione, che ha l’effetto di “congelare il tempo”; un fermo immagine che rallenta il ritmo concitato delle storie, permettendo al lettore di tirare un attimo il fiato. Non mancano neppure montaggi particolari, come la sequenza verticale di pagina 44, che mostra cinque attimi diversi durante la caduta di Topolino, oppure la spettacolare doppia pagina 58-59, chiaramente ispirata ai videogiochi platform.
Se la versione di Rudish influenzerà probabilmente l’evoluzione del personaggio o almeno il modo in cui è percepito dal grande pubblico che non lo conosce attraverso i fumetti, il Topolino di Tébo è destinato a rimanere un esperimento isolato per un pubblico più di nicchia. I motivi – oltre al semplice fatto che è un fumetto, peraltro proposto esclusivamente in un’edizione di lusso, cosa che ne limita certamente la diffusione – sono la natura stessa del volume, ovvero una rilettura d’autore di un classico, ma anche l’espediente della narrazione del proprio passato da parte del topo in versione ‘anziano’. Un espediente gradevole ed efficace, che tuttavia sembra difficile pensare possa avere un respiro ulteriore e successivo a queste ottanta pagine.
Sul futuro del progetto Glénat, e dello specifico volume firmato da Tébo, non si hanno notizie di possibili sviluppi: potrebbe trattarsi dell’inizio di un nuovo percorso con tappe ancora tutte da immaginare o, invece, la sua corsa potrebbe finire qua. Vale però certamente la pena – ed è molto divertente – immergersi anche solo una volta in questo tanto fugace quanto gustoso “universo alternativo” di Mickey. Sarà una ottima occasione per abbandonare, una volta ogni tanto, le avventure gottfredsoniane, osborniane e walshiane che siamo abituati a leggere ogni settimana.
La gioventù di Mickey
di Tébo
traduzione di AmarenaChicStudio
Giunti, ottobre 2017
cartonato, 80 pagine, colori
25,00 €