Fa ridere. Fa davvero ridere, e di gusto, e questa è una delle cose più importanti per un fumetto umoristico. Anche se riporta in copertina la scritta Le aventure di Lucky Luke dopo Morris, Jolly Jumper non parla più si stacca decisamente dagli albi disegnati da Achdé, non tanto per qualità ma soprattutto per approccio.
L’erede di Morris ha sempre disegnato storie nella tradizione del personaggio, anche se scritte di volte in volta da autori diversi; Guillaume Bouzard, autore che proviene dal fumetto underground e che collabora con testate umoristiche e satiriche come Fluide Glacial e Le Canard Enchaîné, scrive e disegna invece un’avventura con un approccio completamente inedito.
Il Lucky Luke di Bouzard è esattamente l’opposto di quello di Matthieu Bonhomme (che convinse poco il nostro Andrea Tosti) in L’uomo che uccise Lucky Luke, una storia del cowboy con pochissima ironia e un disegno quasi realistico. Bouzard punta invece sulla comicità estrema, surreale, e su uno stile molto semplificato e buffo.
I due autori chiamati a dare la loro versione del cowboy ne hanno preso un tratto ciascuno e l’hanno estremizzato, uno da un lato, uno da quello opposto. Nel mezzo rimane Achdé, portabandiera del mix di umorismo e avventura che ha sempre caratterizzato la serie.
La trama di Jolly Jumper non parla più è semplice ma ricca di rimandi alla tradizione di Lucky Luke. Il cowboy solitario viene chiamato dal procuratore di Siviglia Gulch perché, come al solito, i Dalton creano problemi, anche quando sono in prigione. Jack sta facendo lo sciopero della fame e vuole parlare esclusivamente con Lucky Luke. Ha bisogno del suo aiuto per salvare Ma’ Dalton, che è stata rapita da una vecchia conoscenza.
Su questa trama esile si inseriscono varie gag legate agli elementi più riconoscibili del personaggio. È un continuo gioco a dissacrare gli elementi del suo mito, dalla spiga di grano in bocca alla camicia gialla con fazzoletto rosso, dalla diversa caratterizzazione e diversa importanza dei quattro Dalton a, ovviamente, quel che dà il titolo alla storia: il rapporto tra Lucky Luke e Jolly Jumper.
Il suo cavallo, che normalmente dialoga con lui, inspiegabilmente non gli parla più. Ha anche smesso tutte quelle attività umane che normalmente faceva con il suo cavaliere, come preparare la cena, giocare a scacchi e pescare. Lucky Luke è tormentato da questa situazione e per tutta la vicenda non farà che preoccuparsi per lo stato dell’equino, rischiando di prendere sottogamba la missione.
Tutte le persone che incontra, invece, non capiscono questa sua angoscia: in fondo è un cavallo, perché dovrebbe parlare?
Bouzard si rivolge principalmente ai lettori di Lucky Luke, in grado di cogliere tutte le citazioni di cui infarcisce il fumetto. Il suo humor per fortuna non si limita a questo e costruisce scene davvero spassose per chiunque legga l’albo. Era dai tempi di Goscinny che una storia del cowboy che spara più veloce della sua ombra non era così divertente, così ricca di gag azzeccate, di tormentoni, di giochi di parole riusciti. Neppure le buone trame di Pennac e Benacquista o il recente La terra promessa di Jul e Anché hanno regalato un divertimento così genuino.
L’aspetto più interessante dell’approccio di Bouzard è il giocare a mettere sotto una luce diversa gli elementi del mito di Lucky Luke, mostrando come quello che è assodato da 60 anni in realtà non sia così logico.
L’esempio più calzante si trova in quarta di copertina del volume. Come sempre, troviamo il disegno di Lucky Luke che spara alla sua ombra proiettata sul muro. La scritta che l’accompagna però è differente: non “Il cowboy che spara più veloce della sua ombra” ma “Il cowboy che ha avuto l’idea di sparare alla sua ombra”. Perché mai qualcuno dovrebbe sparare alla propria ombra? Bouzard ci mostra con il suo umorismo che noi lettori ci siamo abituati a delle cose assurde e illogiche senza porci delle domande.
Lo si potrebbe leggere come un enorme omaggio nascosto al padre e al patrigno di Lucky Luke. Se Morris e Goscinny ci hanno fatto bere tutte le assurdità intorno alle quali hanno costruito il loro personaggio è perché l’hanno reso così interessante e hanno raccontato sempre così bene le sue avventure che a noi non è mai interessato indagare oltre.
Bouzard, però, l’ha fatto. Leggendo il personaggio con la lente dell’umorismo ne ha fatto emergere l’essenza più profonda e inquietante. Il giullare ha potuto così dire la verità che noi lettori non riuscivamo o volevamo vedere: c’è qualcosa di profondamente (clinicamente?) sbagliato in un cowboy che spara alla propria ombra o che vive un rapporto alla pari con il proprio cavallo.
E nemmeno il motivo per cui Jolly Jumper non parla più – motivo che scopriremo solo nell’ultima pagina dell’albo – non è una sorpresa, a ben pensarci. Ma nessuno di noi ci avrebbe pensato mai.
Lucky Luke: Jolly Jumper non parla più
di Guillaume Bouzard
Traduzione di Marco Farinelli
Nona Arte, 2017
Cartonato, 48 pagine a colori
€ 14,90