Quattordici romanzi di fantascienza al femminile, scritti cioè da donne, per seguire una pista poco frequentata dalla FS in generale e da quella italiana in particolare, e ribadire (purtroppo ce n’è bisogno) che la fantascienza è letteratura di genere ma non di un solo genere.
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Alcuni nomi, come vedrete, sono “giganteschi” ma non ci sono (tutte) le ultime novità, anzi. Molti libri sono tutti piuttosto datati, perché purtroppo il mercato della FS italiana è in contrazione e tiene dentro a malapena i soliti noti, figuriamoci dare spazio alla peraltro già ristretta pattuglia di autrici italiane di fantascienza. Senza contare che, come dice la prima delle signore della fantascienza elencate qui sotto, cioè il premio Nobel Doris Lessing, la fantascienza non è (solo) il romanzo della scienza e tecnologia, ma anche (e soprattutto) uno strumento per la critica sociale.
1 – Memorie di una sopravvissuta, di Doris Lessing (1974, Fanucci 2003)
Come tutti i premi Nobel per la letteratura, la britannica Doris Lessing è conosciuta da molti ma letta da pochi. È il destino di chi arriva nell’Olimpo della letteratura contemporanea. Ed è un peccato, soprattutto per Lessing, che oltretutto ha una scrittura estremamente godibile e piacevole. La fantascienza arriva tardi nella produzione narrativa di Lessing e in qualche modo la danneggia anche: i critici videro nella svolta sci-fi della scrittrice impegnata, comunista, sufista e femminista, una caduta di tono che ha rischiato di farle perdere il Nobel. Lei si è difesa sia negando il desiderio della critica di stringerla in un ruolo specifico, sia affermando che la migliore critica sociale è possibile e si trova nella fantascienza (come darle torto).
Il ciclo preferito dall’autrice, peraltro, è la serie fantascientifica di Canopus in Argos. A me è piaciuto molto Memorie di una sopravvissuta, fantasmagorico, ricchissimo racconto di una biografia inventata, di un picaresco viaggio attraverso le stagioni della vita di una bambina, l’alter ego della scrittrice, che vive in un mondo devastato dalle barbarie dei disastri provocati dall’umanità. Un mondo orribile abitato però da presenze magiche e sovrumane, amichevoli, che ci proteggono dall’ombra. Consiglio vivamente di leggerlo.
2 – La mano sinistra delle tenebre, di Ursula K. Le Guin (1969, Tea 2003)
Ursula K. Le Guin è la signora (se non la regina) della fantascienza e del fantasy al femminile e ovviamente non solo al femminile. Nata nel 1929 e tutt’ora vivente, abita con il marito in mezzo ai gatti nella campagna americana, cioè nella sua casa di Portland, in Oregon. La “K” sta per Kroeber, il cognome da ragazza, ed è figlia di una scrittrice e di uno dei più importanti antropologi americani.
Difficile identificare un singolo romanzo rappresentativo di questa scrittrice che di solito scrive cicli più che opere singole, e che ha vinto moltissimi premi. È una scrittrice molto particolare, di genere sicuramente ma con una sensibilità per le culture fantastiche e aliene che inventa traendo spunto dalle sue competenze e sensibilità empatica sia per gli esseri umani che per gli alieni: il ciclo fantasy di Earthsea ne è un ottimo esempio.
A me piace molto l’unicità di scrittrice votata a una letteratura utopistica (non ce ne sono più, di scrittori che perseguono l’utopia) che si definisce anarchica e femminista e soprattutto scrive veramente bene. La mano sinistra delle tenebre fa parte del Ciclo dell’Ecumene, che è un affresco incredibile del futuro, basato sul bisogno umano della comunicazione. La premessa è l’esistenza di un universo futuro, la Lega di Tutti i Mondi, che poi diventa Ecumene (o Ekumene), tenuto assieme dall’Ansible, la tecnologia di comunicazione istantanea a qualsiasi distanza, senza effetti di relatività. Invece, gli spostamenti avvengono con navi (generazionali) a velocità sub-luce, o con navi automatiche molto più veloci. Tutto ha avuto origine sul pianeta Han, e la Terra è semplicemente un pianeta coloniale “disperso” perché la tecnologia di comunicazione si è rotta.
La mano sinistra delle tenebre, quarto romanzo della serie che, assieme all’altro volume Quelli di Anarres, ha vinto tutti i premi di fantascienza più importanti: Hugo e Nebula. È una storia classica del Ciclo dell’Ecumene che si può leggere senza aver visto i precedenti: un rappresentante dell’Ecumene, il Primo Mobile, viene come di consuetudine inviato da solo in un pianeta completamente ghiacciato (l’inviato lo chiama “pianeta inverno”) dotato di vita apparentemente umana e intelligente che deve convincere ad unirsi alla federazione dell’Ecumene. La storia è affascinante non solo per la descrizione di ambienti e tecnologie (che sono assolutamente plausibili) ma anche per quella della psicologia dei personaggi e letteralmente l’unicità di genere degli abitanti di Inverno. Un piccolo capolavoro.
3 – Perduti nello spazio, di Marion Zimmer Bradley (1980, Fanucci 1995)
Possiamo definire Marion Zimmer Bradley come l’altra grande signora (con Ursula K. Le Guin, ovviamente) della fantascienza, del fantasy e del romanzo storico. Purtroppo la scrittrice è scomparsa nel 1999 (era nata nel 1930) ma il suo lavoro è ancora estremamente influente, viene ristampato anche nel nostro paese ed è molto letta, anche se pochi conoscono la sua storia piuttosto complessa. Sposata e presto divorziata con Robert Bradley, vicina al movimento lesbico americano a partire dagli anni Cinquanta (ha scritto svariati romanzi sotto pseudonimo, ma più ristampati), ha avuto figli sia dal primo marito che poi dal secondo, Walter Breen, oltre ad averne adottati. Tra gli altri, David Bradley (1950-2008) e Zimmer Bradley (1943-1997), anche loro scrittori di fantascienza e fantasy. Il marito, Walter Breen, venne processato per pederastia (aveva tra le altre cose scritto un libro storico sulla pederastia nell’antica Grecia) e la Zimmer Bradley stessa fu coinvolta nel processo perché accusata di essere a conoscenza delle pratiche del marito, pur senza condividerle. La figlia Moira Stern nel 2015 ha accusato la madre di averla molestata quando aveva da 3 a 12 anni, e come lei anche altre bambine.
Perduti nello Spazio, scritto nel 1980 e pubblicato in Italia da Fanucci nel 1996 è uno dei due romanzi che mi piacciono di più della Zimmer Bradley (l’altro è Universo senza fine del 1979, pubblicato in Italia sempre da Fanucci sempre nel 1996). La trama è degna della migliore space opera, con un gruppo di ragazzi selezionati e allevati fin dalla nascita per guidare astronavi attraverso le stelle. Dove però le difficoltà anche sorprendenti non mancheranno.
4 – Il cuore finto di DR, di Nicoletta Vallorani (1992, Todaro 2013)
L’Italia è un mercato particolarmente “aspro” per la fantascienza, con moltissimi autori nostrani seppur molto meritevoli (penso ad esempio a Ugo Malaguti, che non ha raccolto il successo e la fama che avrebbe meritato, come un Philip Jose Farmer nostrano) non sono mai diventati famosi per via della politica molto provinciale di privilegiare la fantascienza straniera e segnatamente angloamericana sugli scaffali delle librerie e in edicola. Urania, la nostra famosissima e amata serie di romanzi in edicola, ne è un chiaro esempio. Non parliamo poi del ruolo delle donne nella letteratura fantascientifica: per rendergli giustizia o anche solo saperne qualcosa, ci volevano capacità medianiche. Eppure, proprio Urania ha “sbloccato” questa situazione assegnando il premio Urania del 1992 a Nicoletta Vallorani, con Il cuore finto di DR.
È un romanzo cyberpunk ambientato nella Milano del futuro con protagonista Penelope DeRossi, in arte DR, investigatrice privata che si muove a cavallo di atmosfere alla Philip K. Dick e alla William Gibson. L’iconografia fantascientifica degli anni Ottanta è deliziosa e oggi anche delicatamente retrò, con alcune parti veloci e ben strutturate (a fronte di altri momenti più “lenti”), ma è soprattutto la dimostrazione del talento italiano di Vallorani, autrice di romanzi neri e thriller sorprendenti per fantasia e capacità. Questa è una delle prime cose, a cui sono più affezionato (l’ho scoperta leggendo Urania). Si trova come al solito nel circuito dell’usato per l’edizione Urania, anche se l’editore Todaro nel 2003 l’ha ripubblicata per la libreria.
5 – I creatori di mostri, di Roberta Rambelli (1959, Urania Collezione 2007)
Se la fantascienza italiana al femminile avesse avuto lo spazio che merita, Roberta Rambelli ne sarebbe la regina. Purtroppo scomparsa nel 1996 (era nata nel 1928), Rambelli ha avuto una carriera ricca e articolata: affermata traduttrice di best seller, direttrice di collane (si trovo a guidare in contemporanea Galassia e Galaxy Science Fiction , negli anni Sessanta) e autrice prolifica di fantascienza, ma sempre o quasi sotto pseudonimo. Tanto che la sua produzione, di cui una buona parte è stata concentrata a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, è praticamente sconosciuta anche a molti appassionati: nomi come Rocky Docson, Hunk Hanover, Joe C. Karpati, Jgor Latychev, R. R., John Rainbell, A. Robert.
Nella bella collana progettata da Sandrone Dazieri Urania Collezione Mondadori nel 2007 ha ripubblicato per l’edicola con il numero 051 quello che forse è il più bel romanzo della Rambelli: I creatori di mostri, uscito originariamente nel 1959. È una storia di fantascienza horror dal ritmo serrato e dal gusto unico. È il racconto di allucinazioni mostruose (letteralmente dei “mostri rossi”) che appaiono nella mente e piagano l’equipaggio della spedizione Kappa, inviata dalla Terra ad esplorare nuovi pianeti e culture. Si tratta di una minaccia aliena ben più complessa che non una semplice forma di attacco psichico, anche perché ha effetti devastanti sulla mente della ventina di marinai spaziali che vengono contagiati. Gli enigmi che si susseguono per scoprire l’inimmaginabile sono ben congegnati e appassionanti. Inoltre, a degna chiusura del piccolo volume c’è anche il racconto più noto di Rambelli, Parricidio, del 1961. Ovviamente I creatori di mostri si trova sulle bancarelle digitali e fisiche dell’usato.
6 – Ultima genesi, di Octavia Butler (1987, Urania 1987)
Ogni volta che si racconta la figura di Octavia Butler, e purtroppo accade molto raramente di citare questa scrittrice americana nata nel 1947 e scomparsa nel 2006, viene sottolineato il fatto che fosse un’autrice di colore. Donna e nera, ma anche vincitrice del premio Hugo e del premio Nebula, oltre che la prima scrittrice di fantascienza a vincere il premio MacArthur. La sua vita, come quella di molti scrittori, è stata portata avanti in modo molto schivo, dopo un’infanzia difficile (era orfana di padre e di umili origini) e una grande timidezza e vocazione alla solitudine. In Italia venne promossa dall’allora curatore di Urania, quell’irrequieto e geniale Gianni Montanari, quando era curatore di Urania dopo Fruttero & Lucentini, dal 1985 al 1990 (tra le altre cose svecchiò le collane storiche e creando l’ottima Altri Mondi, oltre a Urania Fantasy).
Butler era particolarmente abile nei racconti brevi, anche se ha scritto vari romanzi riuniti in due cicli più alcune opere a se stanti. Visionaria, consapevole sia del suo genere che della sua appartenenza culturale, capace di trovare un angolo originale con una prospettiva africana per molte storie, a me è piaciuta molto in un vecchio Urania (numero 1058, numero speciale argentato) Ultima genesi, che ho scoperto solo di recente faceva parte della trilogia della Xenogenesi: storia piuttosto complessa di alieni e umani in animazione sospesa, sullo sfondo di una Terra devastata dall’inquinamento. L’obiettivo è creare un ibrido umano-alieno per ripopolare il pianeta, anche se le difficoltà – e soprattutto l’opposizione degli umani sterili – è molto forte.
7 – Il pianeta degli Dei, di Andre Norton (1953, Rizzoli 1978)
Chi mi conosce sa che c’è un autrice di fantascienza a cui sono fedele da tutta la vita (ne ho diffusamente parlato qui) perché le sono legato da un debito di riconoscenza: è stata lei quella che mi ha fatto scoprire la fantascienza e, per essere precisi, è stato anche il primo libro “vero” che abbia mai letto da bambino. L’autrice è Andre Norton e il libro è Il pianeta degli Dei, la prima parte di una breve serie di due libri per ragazzi (il secondo però non è mai stato tradotto in italiano), sufficientemente complessi e godibili da essere adatti anche a un pubblico un po’ più adulto. Non è letteratura di prima fascia, certamente, ma è artigianato di alta qualità.
Se potessi fare qualcosa per rivalutare Andre Norton, spingere per la ripubblicazione almeno dei volumi pubblicati in italiano (una ventina su oltre trecento scritti), lo farei volentieri, anche se so benissimo che sarebbe una di quelle missioni suicide che portano a un inevitabile a un fallimento. Allora consiglio di andare sulle solite bancarelle, digitali o fisiche, alla ricerca dell’edizione Rizzoli Pocket del 1978 (si trova, perché ne hanno tirate davvero parecchie copie) e cercare le avventure dei ranger spaziali in un pianeta misterioso ai confini dell’impero decadente, dove la loro astronave danneggiata è andata a finire. Un pianeta molto misterioso, abbandonato da una civiltà aliena ma stranamente familiare, e dalle sorprese inquietanti.
8 – Pianeta senza nome, di Sarah Zettel (1996, Urania 2005)
Sarah Zettel è stata chiamata la “maestra dell’epica spaziale”, qualsiasi cosa voglia dire. È una autrice di Space opera che è emersa a metà degli anni novanta con una serie di romanzi notevoli. Urania le ha dato molto spazio, traducendo varie opere. La più significativa è questo Pianeta senza nome pubblicato nel 2005 in due parti: Urania 1502 e 1503. L’operazione faceva parte del tentativo di superare il limite delle 250-300 pagine dei romanzi di Urania, in cui di solito le opere più lunghe venivano adattate riducendole con tagli redazionali. Invece, all’inizio del nuovo millennio Urania prova a pubblicare romanzi belli lunghi dividendoli in due o più volumi.
La storia è strutturata sulla falsariga dei romanzi fantasy: centinaia e centinaia di pagine in cui gli eroi seguono degli obietti della loro quest, tra poteri più grandi di loro che cercano di manipolarli per altri fini. Zettel non si pone problemi di affiancare la telepatia e altri poteri psichici accanto agli alieni, alle tecnologie avanzate e al piano di ristrutturazione di un settore della galassia che potrebbe comprendere il Luogo Originario, quello cioè da cui ha avuto origine la razza umana e che da millenni è stato perso e dimenticato.
9 – La compagnia del tempo, di Kage Baker (1996, Urania 2002)
Kage Baker con il ciclo compagnia del tempo si è conquistata un posto importante nella storia della fantascienza, soprattutto in quella che fa del viaggio nel tempo il suo strumento narrativo d’eccellenza. Lei, nata in California nel 1952 e scomparsa nel 2010, era una studiosa dell’Inghilterra elisabettiana ma dotata di una sorprendete passione per i viaggi nel tempo e fantasia per popolare le sue trame di personaggi originali e continui colpi di scena.
Con La compagna del tempo, pubblicato sul numero 1432 di Urania (seguiranno altri volumi del ciclo e più di recente alcune ristampe), scopriamo Mendoza, nata nella Spagna del 1500 e diventata un agente della Zeus Inc, la Compagnia che si arricchisce alle spalle del passato per garantire l’immortalità e la ricchezza nel futuro.
10 – La nave che cantava, di Anne McCaffrey (1961-1969, Galassia 1973)
Anne McCaffrey, americana, membro di spicco della generazione d’oro delle signore della fantascienza, è nata nel 1926 ed è scomparsa nel 2011. Deve la sua fama soprattutto ai draghi e ai dragonieri, con una serie infinita di romanzi ambientati a Pern, ma ha portato avanti anche altri cicli fantasy, oltre a scrivere sana e onesta fantascienza. Gli ultimi venti anni della sua prolifica carriera sono stati segnati da collaborazioni con altre scrittrici più giovani, che l’hanno supportata sia per i carichi di lavoro che per la salute sempre più cagionevole. I suoi romanzi però sono sempre toccati da un gusto per la lingua e han felicità di scrittura veramente uniche.
In un vecchio numero di Galassia (il 185), la rivista pubblicata a Piacenza dalla casa editrice La Tribuna, ho trovato una raccolta di racconti di McCaffrey tradotti da Roberta Rambelli: La Nave che cantava, sei racconti pubblicati fra il 1961 e il 1969, che è semplicemente incantevole. Diventa complicato raccontare la storia, che attraversa con dolcezza un arco di tempo molto ampio. La premessa sono astronavi in cui il centro nevralgico di controllo è un essere umano deforme, mantenuto in connessione con la nave grazie a sistemi piuttosto complessi che lo rendono praticamente solo cervello. Helva è una di queste creature, con tante particolarità, fra cui l’amore per il canto (da cui il titolo dell’antologia) e un amore profondo e impossibile per la sua “parte mobile”, l’altro umano da lei scelto per essere l’agente mobile all’interno dell’astronave. Dolcezza ma anche dolore e tristezza, in una fantascienza classica vista però in modo assolutamente originale.
11 – Prigionieri del crepuscolo, di Tanith Lee (1985, Perseo Libri 1992)
Vera e propria “macchina per la scrittura”, la britannica Tanith Lee è nata nel 1947 a Londra ed è scomparsa nel 2015, dopo aver scritto più di settanta romanzi e oltre un centinaio di racconti sia fantasy che dell’orrore e di fantascienza. Il suo talento maggiore: tratteggiare psicologie complesse che oltretutto evolvono spesso e in modo coerente, dando profondità e ricchezza alle sue storie. È questo, oltre a una solida conoscenza del genere fantasy e alla capacità di rileggere in maniera originale e non comune miti e leggende (ma ha anche frequentato con decisione temi come l’omosessualità e il femminismo), che l’ha tenuta al di sopra delle semplici artigiane della pagina portandola nel ristretto novero delle vere scrittrici applicate alla letteratura fantastica e fantascientifica.
Sul mio tavolo c’è un vecchio libro della Perseo, la collana di Biblioteca di Nova SF*, che ha pubblicato nel 1992 per la prima e unica volta in Italia (sinora) Prigionieri del crepuscolo, romanzo di fantascienza del 1985, intitolato in originale Days of grass. Il titolo scelto da Lee rende bene l’idea, perché allude a una umanità spaventata dal giorno e dalla notte, che vive sottoterra in un pianeta tenuto sotto scacco dagli alieni. È la storia di una fuga verso la libertà da una vita condotta come topi sottoterra, guidata dalla curiosità: Esther arriva al giorno e viene rapita dagli alieni che minacciano la Terra, andando verso un incontro con l’Altro straordinario e psicologicamente devastante.
12 – Gli eredi della Terra, di Kate Wilhelm (1977, I Libri di Robot 1978)
Considerata a torto un personaggio minore, non all’altezza delle altre donne che hanno creato la fantascienza al femminile, come Le Guin e Zimmer Bradley, Kate Wilhelm è nata nel 1928 e risulta ancora viva. L’arzilla novantenne ha al suo attivo tre premi Nebula e un Hugo per Gli eredi della Terra del 1977, pubblicato da noi da Armenia nella collana dei Libri di Robot, tredici volumi pubblicati a latere della rivista Robot curata da Giuseppe Caimmi e Giuseppe Lippi (l’attuale curatore di Urania per Mondadori). Di tutti i tredici volumi, che raccoglievano opere inedite, spesso vincitrici di premi importanti, i due curatori scelsero solo uno con una donna come autrice, cioè Gli eredi della Terra.
Wilhelm (il cui marito, Damon Knight, nato nel 1922 e scomparso nel 2002, è stato anch’egli un buon autore di fantascienza) affronta con disinvoltura molti generi, ha una netta predisposizione per l’approfondimento psicologico e si è troppo spessa chiusa in lunghi cicli non di esplorazione bensì legati a un personaggio principale seriale: i romanzi su Barbara Holloway e i romanzi e le storie su Constance & Charlie, per un totale di sedici e più una trentina di titoli svincolati da altro. In Italiano è stato tradotto molto poco, ed è un peccato. La storia degli Eredi della Terra è divisa in tre parti e racconta come l’ultimo drappello di umanità è riuscita a sopravvivere all’estinzione con la clonazione, e poi al pericolo, anzi alla zona morta contenuta nella clonazione stessa.
13 – Mindplayers, di Pat Cadigan (1987, Shake Edizioni 1996)
Si parla tanto del cyberpunk e dell’impatto che ha avuto sulla fantascienza a partire dagli anni Ottanta questa corrente così legata al computer e alle reti. È un movimento prevalentemente maschile, anche se non sono mancate autrici di spicco (la nostra Nicoletta Vallorani si richiama per alcuni versi a quell’immaginario). Una che si stacca decisamente dal gruppo è l’americana Pat Cadigan, nata nel 1953, ha avuto anche il premio di vedere uno dei suoi racconti inserito nell’antologia Mirrorshades del 1986, che è il manifesto letterario del cyberpunk.
In realtà il talento della Cadigan non è mai esploso e anzi, lei si è rifugiata nella dramatization dei soggetti cinematografici (Jason X, Cellular). I suoi primo tre romanzi sono stati tradotti in italiano dalla Shake Edizioni, casa editrice di sinistra che ha ipotecato un pezzo importante del cyberpunk come chiave estetica di lettura e decodifica del contemporaneo postmoderno (non a caso Shake è stata la prima a pubblicare da noi il peso massimo Neal Stephenson). Dei suoi tre romanzi tradotti a me è piaciuto soprattutto Mindplayers, romanzo “psychocyber” che ha per protagonista Allie la Sfinge, una ex criminale in libertà vigilata diventata psicoterapeuta cibernetica, in un mondo di menti e computer che si possono fondere, ricordi che si possono rubare o sintetizzare e telepatia meccanica. Originale e molto datato, come rivedere un film degli anni Ottanta.
14 – Il racconto dell’ancella, di Margaret Atwood (1985, Modadori 1988)
Abbiamo aperto con un premio Nobel, chiudiamo con una scrittrice di fantascienza per caso, o meglio per scelta politica: Margaret Atwood. Tormentata e visionaria; poetessa, ambientalista e femminista, antesignana della “seconda ondata” del femminismo, la scrittrice canadese è conosciuta dal grande pubblico perché molti suoi libri sono stati tradotti in film e lei è stata più volte pensata come possibile candidata al premio Nobel (c’è arrivata però la sua amica e conterranea Alice Munro). Atwood comunque ha vinto il premio Arthur C. Clarke, il premio Principe delle Asturie, il Book Prize (al quale è stata finalista ben cinque volte), il Governor General’s Award e vari altri.
Il racconto dell’ancella, da cui è stata adattata la recente serie Tv con Elisabeth Moss, è un’opera femminista pura e al tempo stesso un potente romanzo distopico, che affronta il tema della dittatura in una America del futuro in cui le donne sono completamene asservite in una relazione di potere legata al loro corpo e alla capacità riproduttiva, per combattere la crescita zero della popolazione. È un romanzo complesso, articolato, tutt’altro che leggero ma affascinante e potente. È il vincitore del Premio Arthur C. Clarke e del Governor General’s Award, oltre ad aver ottenuto la candidatura ai principali riconoscimenti di genere: Premio Nebula, Premio Prometheus e infine al Booker Prize. Lettura tutt’altro che escapistica, insomma, ma affascinante.
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Antonio Dini, giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. Ha un blog dal 2002: Il posto di Antonio. Il suo canale Telegram si chiama: Mostly, I Write.