Torna anche quest’anno per le feste di Natale e dintorni una bella lista di fantascienza. Questa volta però facciamola al contrario: venti film tratti da altri venti libri, o che magari ne suggeriscono altri sul genere.
I film sono tutti del nuovo millennio e non è una classifica né una lista comprensiva di quelli “importanti”, anche se un po’ di blockbuster ci sono. Piuttosto, sono un tentativo di dare uno sguardo a venti anni scarsi di cinematografia fantascientifica senza cadere nel trappolone delle grandissime produzioni. Ma bando agli indugi e cominciamo.
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1 – Interstella 5555 – The 5tory of the 5ecret 5tar 5ystem (Leiji Matsumoto, Kazuhisa Takenôchi, 2003)
Un film molto particolare, perché in realtà è una cartone animato. Ed ha una storia. Ma, come Mamma mia degli Abba, nasce attorno alla musica, ad una storia concepita dal duo francese Daft Punk. Grandi ammiratori di Leiji Matsumoto (pseudonimo di Akira Matsumoto, autore di Galaxy Express 999 e di Corazzata spaziale Yamato) e animati dal desiderio di fare quel che vogliono e che gli piace, i due lo hanno convinto a lavorare a un lungometraggio che possiamo definire il primo anime-musical interplanetario della storia.
Basato sull’album Discovery, racconta la storia di quattro musicisti di un altro pianeta, abitato da creature umane con la pelle blu. Niente spoiler, non ci sono dialoghi ma solo la musica dei Daft Punk. È un po’ come l’opera per Julia Roberts in Pretty Woman: o l’ami o la odi subito. Consiglio anche di leggersi il manga di Galaxy Express 999.
2 – Looper (Rian Johnson, 2012)
Un film di fantascienza classica, basata sui salti nel tempo e i paradossi che ne derivano. Ma ingegnato bene: Rian Johnson l’ha anche scritto e ci mette due attori gradevoli a fare la parte di Joe da giovane e da adulto: Joseph Gordon-Levitt e Bruce Willis.
La trama è quella di killer assoldati dalla criminalità che vanno nel passato ad uccidere altre persone e che poi, a fine contratto, sono lasciate libere di invecchiare felici tranne che verranno poi uccise da se stessi per chiudere il loop. Ovviamente il film è giocato attorno all’idea di rottura di questo loop ed ha quel tipo di fantascienza psicologica, costruita dalle circostanze, che mi piace parecchio.
Si può abbinare alla lettura di un vecchio classico di Robert Heinlein, La porta sull’estate, scritto nel 1956 e pubblicato da Mondadori su Urania negli anni Sessanta e ripubblicato negli anni Settanta, si trova su eBay ed è una storia di viaggio nel tempo di sola andata molto particolare (soprattutto se amate i gatti).
3 – Solaris (Steven Soderbergh, 2002)
Il film è tratto dal libro omonimo di fantascienza planetaria universalmente noto del polacco Stanislaw Lem. Il libro è un classico della fantascienza con uno stile e una scrittura che lo rende un piccolo capolavoro letterario e infatti è tra le cose fantascientifiche che vengono lette anche da chi è appassionato di letteratura. Il film di Soderbergh è un remake del classico degli anni Settanta e come il libro ha una carica drammatica non indifferente. La trama è a rischio spoiler, quindi voliamo bassi: è la storia dello psicanalista del futuro Chris Kelvin (interpretato da George Clooney) che va sulla piattaforma spaziale in orbita attorno al pianeta Solaris per studiare ed indagare “cose inspiegabili”. È un bel film ma il romanzo è meglio.
4 – Battle Royale (Kinji Fukasaku, 2000)
L’ultimo film di un regista molto famoso in Giappone, Kinji Fukasaku (1930-2003), autore tra le altre cose di Tora! Tora! Tora!, film del 1970 ambientato durante l’attacco a Pearl Harbour dal punto di vista giapponese ovviamente.
Scritto dal figlio (anche lui regista) Kenta Fukasako è tratto dal romanzo di Koushun Takami Battle Royale, adattato anche in manga (scritto sempre da Takami) e in qualche modo antidoto ai vari Hunger Game e altri film simili tratti dalla letteratura fantascientifica per giovani adulti. La storia è una distopia pura ambientata nel prossimo futuro: nella Repubblica della Grande Asia Orientale gli studenti delle medie devono combattere fino alla morte in un programma autoritario gestito dal governo. L’unico superstite sarà quello che può vivere. Tra gli interpreti del film, anche il volto più noto del Giappone in occidente, cioè Takeshi Kitano.
5 – Sunshine (Danny Boyle, 2007)
E se il nostro pianeta, anziché bruciare per il riscaldamento globale, stesse per morire per via della morte termica del Sole, che si sta lentamente spegnendo? E se tutte le speranze dell’umanità fossero nelle mani di un pugno di uomini e donne che gestiscono una enorme astronave che deve “sparare” una bomba atomica grande come l’isola di Manhattan dentro il Sole per “riavviarlo”? L’astronave Icarus II è l’ultima possibilità della Terra perché la bomba atomica contiene tutto il materiale fissile esistente sul pianeta.
Lo sceneggiatore Alex Garland e il regista Danny Boyle mettono assieme un soggetto originale per creare un film di fantascienza duro, drammatico, che richiama alla mente molto della SF classica. A me viene in mente un romanzo di fantascienza britannico degli anni Ottanta, A pochi passi dal sole (1983), scritto da Walter Trevis e pubblicato in Italia nel 1992 da Urania (numero 1182), a metà fra questo Sunshine e Solaris di Lem. Si trova sulle bancarelle fisiche o digitali.
6 – Ex Machina (Alex Garland, 2015)
Un gran film di atmosfera, opera prima come regista dello sceneggiatore Alex Garland (figlio del fumettista Nick Garland) che gli valse una candidatura all’Oscar come migliore sceneggiatura. È un thriller psicologico di fantascienza che tocca in modo molto particolare il tema della vita artificiale e del nostro prometeico desiderio di essere Dio. Girato con un budget minimo, ha una fotografia e degli effetti speciali spettacolari. Niente astronavi infuocate sui bastioni di Orione, ma c’è una spettacolare Alicia Vikander che a suo tempo valeva il prezzo del biglietto del cinema.
Si può associare a moltissima fantascienza, in particolare viene in mente Abissi d’acciaio di Isaac Asimov, romanzo del 1953 pubblicato da noi varie volte a partire dal 1954, che non c’entra niente ma introduce uno dei suoi personaggi più riusciti, il robot R. Daneel Olivaw, e dimostra una teoria di Asimov, e cioè che si potesse scrivere un romanzo di qualsiasi genere (in questo caso una gustosa detective story) in chiave fantascientifica. Blade Runner e molto altro poi lo dimostreranno.
7 – Interstellar (Christopher Nolan, 2014)
A me Christopher Nolan non piace e Matthew McConaughey, il protagonista, mi ricorda sempre i suoi ruoli trash degli anni Novanta più che la svolta da attore “impegnato” del nuovo millennio. Però Interstellar non lo potevo escludere: anche se l’idea di partenza è simile a quella di Sunshine (Terra devastata, un manipolo di eroi va nello spazio alla ricerca di un’altra casa) il film è gigantesco.
È piaciuto ad alcuni, altri l’hanno trovato insopportabile (e su Fumettologica non se ne è parlato benissimo), ma dentro c’è veramente molta, moltissima fantascienza. Anche troppa. Sopra tutto campeggia la figura piuttosto antipatica di McConaughey, ma che ci volete fare? Si può guardare Interstellar oppure si può ripescare e leggere Pianeta d’acqua, un vecchio romanzo del 1966 di Jack Vance, che racconta cosa succede “dopo”: la storia di una umanità che abita un altro pianeta, secoli dopo l’arrivo, e che ha perso quasi completamente la memoria con il suo passato. In Italia pubblicato da Fanucci nel 1976 e poi di nuovo nel 1988, e poi nel numero 84 di Urania Collezione nel 2010.
8 – District 9 (Neill Blomkamp, 2009)
Quando uscì piacque un po’ a tutti: il coté era quello del Sudafrica razzista, dell’Apartheid rivisitato in salsa fantascientifica. Dopotutto, perché non immaginare l’alieno come semplicemente diverso da noi? In inglese l’ambiguità semantica rimane anche con il termine “alien”, alieno, che vuol dire straniero, come per i latini (i quali non avevano precisamente idea degli omini verdi, e quindi in realtà mancavano dell’altro significato “spaziale” che oggi invece diamo per acquisito).
Il regista è Neill Blomkamp, uno fichissimo all’esordio, che poi non ne ha fatta più una giusta. E la cosa è davvero sorprendente, perché con un budget ridicolo il film che ne è uscito fuori era davvero notevole. Accosterei una lettura diversa e particolare: la raccolta di racconti pubblicata sui Classici Urania n. 266 nel maggio 1999 (era stato già uscito su Urania 1023 del maggio 1986) con il titolo Hoka Sapiens (in originale: Earthman’s Burden), un’antologia di racconti di fantascienza umoristica del 1957 di Poul Anderson e Gordon R. Dickson. Sono le storie del pianeta Toka e delle sue due razze di abitanti: i piccoli orsetti Hoka e i rettili senzienti Slissi. Molto divertenti.
9 – A.I: Artificial Intelligence (Stanley Kubrick, Steven Spielberg, 2001)
L’ultima opera di Stanley Kubrick, presa in mano e terminata (secondo alcuni: rovinata) da Steve Spielberg. Un racconto sull’intelligenza artificiale di grande attualità anche oggi, a sedici anni di distanza, ma per motivi completamente diversi da quelli che potreste immaginarvi. È infatti un monumento alla trasposizione allegorica dei problemi: l’intelligenza artificiale è quella di un bambino creato in laboratorio per la gioia dei suoi genitori. In realtà, il computer c’entra poco: è un film sulla solitudine esistenziale e il bisogno di superarla, di rompere le barriere della nostra mente.
Il film è tratto dal romanzo breve di Brian Aldiss Supertoys che durano tutta l’estate e ha richisto molto lavoro per essere “trattato” in maniera adeguata. La prematura morte di Kubrick pesa sul risultato finale, perché il regista era solito continuare a trasformare i film anche mentre girava e poi in sede di montaggio.
10 – Minority Report (Steven Spielberg, 2002)
Hollywood è innamorata di Philip K. Dick soprattutto per la sua prolificità e la sua densità di idee, che permette di prendere un racconto e stiracchiarlo in un film che c’entra e non c’entra niente (vedi Blade Runner originale). Nel caso di Minority Report, essendoci la zampona di Steve Spielberg, la certezza che racconto e film divergano potentemente è quasi una certezza.
Il rapporto di minoranza (The Minority Report) di Dick è un racconto lungo del 1957 e in Italia ha fatto capolino una dozzina di volte in scritti e antologie diverse, inclusa una edizione Memoria totale con in copertina Arnold Schwarzenegger del 1996 che pensava soprattutto al film Total Recall. Lo si trova nella super antologia Le presenze invisibili di cui parlo diffusamente più sotto, per Eternal Sunshine Of The Spotless Mind.
A differenza del film, che è un action movie con Tom Cruise di cui quello che ci si ricorda è la visionaria e scomodissima interfaccia olografica aerea dei computer del futuro, dove tutti si sbracciano per copiare un file su una chiavetta di memoria, il racconto di Dick è tutta un’altra cosa. Incluso il finale, che è proprio un’altra cosa.
11 – A Scanner Darkly (Richard Linklater, 2006)
Keanu Reeves è stato a lungo un problema: l’attore ha talento da vendere, ha prestato il volto a molte operazioni di fantascienza (e a molti film di azione) ma non rende come potrebbe e dovrebbe. Salvo alcune eccezioni, come questo A Scanner Darkly (Un oscuro scrutatore) del 2006 di Richard Linklater. Un film semi-sconosciuto che varrebbe la pena di vedere solo per Reeves, agente sotto copertura di un gruppo di spaccio intossicato dalla misteriosa sostanza D (da noi adattata in: Sostanza Morte o Sostanza M), che diventa a sua volta dipendente e gli viene ordinato di spiare se stesso. Poi c’è anche la storia, le atmosfere, il dilemma. A partire dal soggetto, che è un racconto di Philip K. Dick, e la partecipazione di un cast tosto: Robert Downey Jr., Woody Harrelson e Winona Ryder.
Il romanzo di Dick, A Scanner Darkly, è del 1977 e da noi era stato tradotto con Scrutare nel buio quando venne pubblicato nel 1979 dalla Editrice Nord e poi ripreso nel 2004 nella meritevole collana dedicata a Dick della Fanucci. La schizofrenia di Bob/Fred, cioè di quello che nel film sarebbe il ruolo di Keanu Reeves, è ancora più bella e gustosa.
12 – Gravity (Alfonso Cuaron, 2013)
Una festa grande per gli occhi: Alfonso Cuaron ha usato immagini ad altissima risoluzione della Nasa per realizzare gli “esterni” di questo film di fantascienza “orbitale” che sembra veramente girato in orbita e non dentro un capannone con un gigantesco schermo verde da qualche parte in California o New Mexico (magari nello stesso posto dove hanno simulato lo sbarco sulla Luna, potrebbe suggerire qualche buontempone). C’è stato chi l’ha preso per una rappresentazione scientificamente corretta del lavoro degli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale, anche se la fisica della pellicola è quanto di più hollywoodiano ci si possa immaginare. Al suo cospetto John Wayne è un filologo del Vecchio West. Eppure Sandra Bullock e George Clooney sono meravigliosi nel loro ruolo di astronauti orbitanti, travolti da un insolito e tremendo destino.
C’è da pensare che in futuro il duro lavoro in orbita verrà realizzato con maggiore attenzione e precauzioni più efficaci: per questo suggerisco di leggere una delle numerosissime storie ambientate nello spazio orbitale, dove i minatori dello spazio faticano peggio dei loro antenati terricoli. Una su tutte: Incontro con Rama di Arthur C. Clarke del 1972, pubblicato da Urania a partire dal 1973 (Urania 634, Classici Urania 58, Classici Urania 262 e altre), storia con inquietanti connotazioni per l’Italia. Il pregresso è che, a causa di un asteroide caduto sulla Pianura Padana l’11 settembre del 2077, si crea un corpo spaziale incaricato di vigilare sulle orbite dei corpi che si muovono nel nostro sistema solare. I radar su Marte identificano un oggetto anomalo che si dirige verso la Terra e una spedizione casuale allestita in tutta fratta (l’astronave Endeavour, che era nella zona) approfondisce il problema. Spettacolare.
13 – Inception (Christopher Nolan, 2010)
Quando uscì, non pochi gridarono al capolavoro. A distanza di qualche anno, restano solo le grida di chi ha la sensazione di perdere l’equilibrio a fronte di effetti stratosferici e – sino a quel momento – inediti. Città che si piegano, spazi che mutano come fossero liquidi. Era dai tempi di Matrix che non si era vista una cosa così. Christopher Nolan mette assieme una storia basata essenzialmente sul concetto matematico di ricorsione, anche se la chiave usata dal regista è stata quella del sogno. Nolan ha tenuto tutto il film, dal primo soggetto al copione finale per i suoi attori, il più segreto e il più a lungo possibile. Se avete tempo, è un film che si può rivedere, anche se non è mai diventato un oggetto di culto, forse per via della freddezza dei suoi interpreti, a partire da Leonardo DiCaprio.
L’antidoto per i film basati sull’idea del sogno e per quelli basati sulla ricorsione è sempre lo stesso: una dose massiccia di steampunk: cosa meglio della Macchina della realtà, romanzo del 1990 scritto da William Gibson e Bruce Sterling, pubblicato in Italia varie volte da Mondadori (l’ultima che io sappia è Urania Collezione 131 nel 2013). Nella Londra del 1885 accadono cose prodigiose perché il computer è stato inventato ed ha cambiato il mondo: un investigatore dell’Impero britannico deve rintracciare delle schede perforate con la dimostrazione dei teoremi di incompletezza di Goedel, una cosa che potrebbe cambiare il mondo. Ma a cambiarlo non saranno piuttosto le intelligenze artificiali?
14 – Lucy (Luc Besson, 2014)
Luc Besson ha tirato fuori un po’ di film di fantascienza, in cui ha coniugato la consueta lentezza del cinema europeo – soprattutto francese d’autore – con la visionarietà e gli effetti speciali della migliore Hollywood. Il Quinto elemento è un tripudio di bellurie al limite dell’incomprensibile, mentre Valerian (di cui abbiamo parlato qui) non è altrettanto potente (più lento che bello, ma a riguardarlo soprattutto in lingua originale un po’ si rivaluta). Nel mezzo c’è Lucy, storia di fantascienza antropologica ed evoluzionistica la cui maggiore fortuna è che ci sono Scarlett Johansson e Morgan Freeman, ma il cui limite più grosso è che ci sono Scarlett Johansson e Morgan Freeman. Si fa guardare e la prima volta magari si riesce anche ad arrivare in fondo svegli.
Non c’entra moltissimo, ma a me continua a tornare in mente uno dei più bei romanzi di fantascienza che ho letto negli ultimi anni, il libro di esordio dell’americano Paolo Bacigalupi (di chiara origine italiana) cioè La ragazza meccanica (The Windup Girl, che sarebbe più corretto tradurre “la ragazza a molla”, per via dei suoi movimenti a scatti), pubblicato negli Usa nel 2009 e fortunatamente anche in Italia nel 2014. Un gran romanzo etichettato dai critici come “biopunk”, qualsiasi cosa voglia dire. A me è piaciuto.
15 – Upstream Color (Shane Carruth, 2013)
Shane Carruth è il regista di uno dei film di fantascienza più dibattuti tra gli appassionati negli ultimi anni. Capolavoro o palla micidiale? Il giudizio è oggettivamente difficile perché Upstream color è sostanzialmente una macchina stonata per generare interpretazioni, una trama lunare e folle, un susseguirsi di contraddizioni e di improbabili collegamenti che dovrebbero fornire la base matematica e psicologica dell’amore, superando il dilemma delle due culture di Charles Percy Snow.
Tanto vale qui giocare la briscola e richiamare la vera fantascienza dove non si capisce niente: il ciclo di Dune di Frank Herbert, e in particolare il primo volume (quello veramente bello), cioè Dune del 1965. L’edizione più recente che ho visto è quella di Sperling e Kupfer del 2006 (con anche gli altri) ma la più affascinante è quella in cofanetto della Nord nei Cosmo Serie Oro del 1984. Se volete leggere qualcosa di sublime acquisendo poi la certezza pressoché matematica di non averci capito niente, questo è il ciclo che fa per voi.
16 – Moon (Duncan Jones, 2009)
Molti lo considerano un piccolo capolavoro, realizzato con pochi mezzi e dalle grandi capacità evocative. A me ha dato un’ansia micidiale, dall’inizio alla fine. Forse soffro di quella nevrosi che è mezza agorafobia e mezza claustrofobia tipica di chi non potrebbe vivere in una piccola stazione mineraria sulla Luna, circondato dal vuoto pneumatico dello spazio (la Luna non ha atmosfera). Duncan Jones con Moon ha creato un’opera piena di emozione e dubbi. Oltre a Sam Rockwell c’è anche la voce di Kevin Spacey nella parte del computer della stazione: temo che in una prossima edizione possano volerla cancellare e sostituire con quella di qualche altro attore più politically correct.
Sul tema del nostro satellite, che è davvero spietato, non si può saltare La Luna è una severa maestra (The Moon Is a Harsh Mistress) di Robert H. Heinlein, uno dei tre grandi della fantascienza americana, pubblicato nel 1966 e arrivato nello stesso anno in Italia grazie ad Urania. L’ultima volta è stato avvistato su Urania Collezione 37 nel 2006 e racconta sempre la stessa storia delle guerre di indipendenze delle colonie lunari, ormai stabilite da un trentennio all’epoca in cui è ambientata la trama del libro. Che poi è un gran libro, come praticamente tutto quello che ha fatto Heinlein.
17 – Her (Spike Jonze, 2013)
Her è un film molto particolare, come tutti quelli di Spike Jonze. Anzi, un po’ di più visto il tempo che c’è voluto e le difficoltà di produzione (compreso il cambio in corsa della voce di “Lei”, interpretata prima da Samantha Morton e poi da Scarlett Johansson (ma c’è stato anche il cambio in corsa tra Carey Mulligan e Rooney Mara per il ruolo di Catherine). L’idea di fondo del soggetto originale dello stesso Jonze è intrigante: l’intelligenza artificiale della quale Theodore Twombly, interpretato da Joaquin Phoenix, si innamora è una voce e una presenza digitale.
Molto realistico in un’epoca di bot senzienti, ma anche molto, molto improbabile se non impossibile. Dopotutto, nessuno studioso di informatica è stato danneggiato per realizzare questo film. Su YouTube comunque c’è un bel documentario realizzato dal collaboratore di Jonze, che mostra cose intriganti sul film e sulle reazioni che ha suscitato in varie persone famose.
Cosa si legge in questi casi? La fantascienza è piena di macchine senzienti, forse ci vuole il contrappasso di una voce maschile votata all’egoismo e alla difesa di se stessa, come 2001: Odissea nello spazio, il romanzo di Arthur C. Clarke che nacque contemporaneamente al film di Stanley Kubrick (e al fumetto di Jack Kirby, di cui abbiamo parlato un bel po’ qui). La voce morbida e psicoticamente mortale di Hal 9000 è l’unica cosa che si ricorda del film, a parte i valzer quando le astronavi si muovono nello spazio e le immagini di feti spaziali che galleggiano nel cosmo alla fine.
Il romanzo non è niente male, anzi si potrebbe dire che sia un classico nel suo genere, come il film di Kubrik. E per certi versi è anche molto più approcciabile da un pubblico moderno e poco avvezzo a sudare un po’ per guadagnarsi il senso di un’opera. Da rileggere: l’ultima volta l’ha pubblicato l’Editrice Nord nel 2008 ma c’è un SuperPocket del 2000 della R.L. Libri, il mitico numero 31 bis, che pubblica assieme tutte e quattro le odissee: 2001-2010-2061-3001.
18 – Eternal Sunshine Of The Spotless Mind (Michel Gondry, 2004)
Questo film è pazzesco: il regista Michel Gondry con Se mi lasci ti cancello tocca vette liriche uniche, quasi irripetibili, grazie a un soggetto grandioso di Charlie Kaufman e grazie al talento pazzesco e quasi marziano di Jim Carrey, ennesima dimostrazione che per essere un grande attore comico occorre essere anche un gigantesco attore drammatico.
Andrebbe letto il Philip K. Dick della raccolta di racconti Le presenze invisibili (sono quattro volumi pubblicati da Mondadori negli anni Novanta ristampata poi da Fanucci come Tutti i racconti dal 2006 al 2009) e soprattutto il fantastico Memoria Totale (“We Can Remember It For You Wholesale”), il racconto che è stato clonato sia nel film con Arnold Schwarzenegger diretto da Paul Verhoeven nel 1990 che nel remake diretto da Len Wiseman nel 2012 (non incluso in questa lista perché non c’avevo lo stomaco di metterlo). Ma si sa che se si infila il naso in un volume di Dick si rischia di non uscirne più, quindi non so proprio se consigliarvelo. Io ci ho messo anni per riuscire a smettere di leggerlo e ancora, a volte, ci ricasco.
19 – Cloverfield (Matt Reeves, 2008)
Matt Reeves è un regista ossessionato dalle scimmie che ci regala sorprese e cose profondamente noiose. Non superficialmente noiose: no, profondamente, nel senso che c’è un sacco dei azione, movimento, effetti speciali più veri del mondo vero, sparatorie, dolore, spostamenti, improbabilità, errori, gigantismo, bellezza e una profonda, ineluttabile, straniante noia. Tutto questo è successo dopo, con il reboot del Pianeta delle scimmie. Invece Cloverfield è un gran bel film, minimalista, costruito con le frattaglie di girato ripreso con la videocamera di un gruppetto di cinque amici andati a New York per fare festa a cui la festa invece la fa un mostro alto come un grattacielo. Dentro Cloverfield c’è tutto tranne che la noia, ma solo perché arriva per primo, apre un genere e ci sorprende.
Se non volete riguardarlo e preferite leggere, cosa meglio di un vecchissimo classico come Il Giorno dei Trifidi di John Wyndham, uno dei più grandi mestieranti della fantascienza americana degli anni cinquanta (il libro è del 1951), che porta a casa senza colpo ferire una storia enorme: il primo, grande romanzo di genere della fantascienza moderno dopo i “mostri sacri” Verne e H.G. Wells. Invasioni, epidemie, città che collassano, autorità che non controllano più niente. Questo sì che era una “disaster novel”.
20 – Arrival (Denis Villeneuve, 2016)
Bisogna dire la verità: Denis Villeneuve non ne sbaglia una. Impressionate. Il talento del regista è venuto fuori anche nel sequel di Blade Runner (è stato Ridley Scott a volerlo al tavolo di regia, ne abbiamo parlato qui) ma già si suoi primi film erano davvero qualcosa: La donna che canta e Sicario, soprattutto. Questo Arrival è un gran bel film tratto da un racconto lungo di Ted Chiang, uno scrittore di fantascienza molto particolare, come vedremo fra un attimo. La trama prende una biforcazione originale, diversa da quella nel libro, ma in maniera sensata. La storia è quella della linguista Louise Banks, selezionata per tentare di comunicare con la specie aliena atterrata con una nave stellare a forma di sigaro del Montana.
Il film è tratto da un racconto lungo intitolato Storia della tua vita del 2002 e pubblicato in Italia nel 2008 da Stampa Alternativa & Graffiti. Chiang è un informatico, abita nella Silicon Valley e scrive (pochi) racconti molto belli che vincono un sacco di premi da un decennio. Storia della tua vita, in particolare, vale veramente la lettura.
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Antonio Dini, giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. Ha un blog dal 2002: Il posto di Antonio. Il suo canale Telegram si chiama: Mostly, I Write.