Non sono molti, almeno qui in Italia, quelli che saprebbero canticchiare le canzoni di Woody Guthrie, il leggendario folk singer americano, che reinterpretando ballate popolari ha dato voce all’America della Grande Depressione.
Guthrie si esibiva suonando una chitarra con su scritto This Machine Kills Fascists, con buona pace di chi montava la caccia alle streghe comuniste, e ha ispirato artisti oggi ben più famosi di lui, come Bob Dylan e Bruce Springsteen. E, perché no, anche Francesco De Gregori, che di La ballata di Woody Guthrie di Nick Hayes, tradotto dal fratello Luigi Grechi, firma la prefazione.
Nel narrare la vita di un personaggio complesso come Guthrie, Hayes fa diverse scelte intelligenti. Prima tra tutte, quella di raccontare non il musicista già famoso, ma il suo percorso di formazione, dall’infanzia fino alla travagliata composizione del suo più grande successo, This Land is Your Land.
C’è così la storia personale di Guthrie che, nato in una famiglia minata dalla malattia, scappa di casa e vive da accattone finché non conosce un lustrascarpe che suona l’armonica. C’è la storia della sua città, Okemah, che dall’effimera ricchezza del petrolio e dall’abbondanza data dall’agricoltura intensiva precipita nel tracollo economico, nel disastro ecologico e nel buio, non solo metaforico, della Dust Bowl. E c’è la storia degli Okies, i contadini dell’Oklahoma, che vedendo ridotte in polvere le loro risorse si incamminano verso Ovest, nella disperata e vana ricerca di nuove possibilità.
Woody Guthrie vive sulla sua pelle questa pagina nera della storia americana. La immortala con la sua voce ruvida e schietta, prendendo in prestito canti che si trasmettono di generazione in generazione. Ma la sua musica non è, come Furore di Steinbeck, uno straordinario racconto di quello che accade. È soprattutto una manifestazione della vita, che si difende e va avanti nonostante tutto.
Il fumetto di Hayes risulta, però, una lettura didascalica a causa della gran quantità di testo distribuita in numerose didascalie contraddistinte da un linguaggio descrittivo e ridondante, che mira a rispecchiare quello delle ballate folk.
Questa proliferazione della parola è comunque bilanciata dalle immagini, distribuite in tavole dalla composizione sempre mossa, e contraddistinte dal tratto selvaggio e quasi istintivo proprio delle xilografie. La scelta monocromatica, che vede l’uso esclusivo del color seppia, ha l’effetto di far sentire in bocca la polvere della Dust Bowl e il fango delle baraccopoli.
Una lettura impegnativa, a tratti faticosa. Eppure rinfrescante per lo spirito: quando hai l’impressione che il sogno – non solo americano, ma anche occidentale – di benessere e di giustizia sociale stia per infrangersi da un momento all’altro, è bello ricordare che sia esistito un Woody Guthrie.
La ballata di Woody Guthrie
traduzione di Luigi Grechi
Minimum Fax, novembre 2017
273 pp., monocromo seppia
25,00 €