di Paolo Bacilieri*
Questo articolo è estratto da Jacovitti. Il teatrino perpetuo, libro di saggistica curato da Hamelin e pubblicato da Coconino Press in occasione della mostra su Jacovitti che si tiene a Bologna nell’ambito del festival di fumetto BilBOlbul, dal 24 al 26 novembre 2017.
Dunque, Benito Jacovitti. Sono cresciuto con Jacovitti. Affermazione banale, per uno cresciuto in Italia nella seconda metà del XX secolo. Allora sarò più preciso, perché ci sono delle importanti differenze.
Il mio periodo di influenza infantile jacovittiana lo posso collocare nel periodo 1970-1980, e cioè tra i miei cinque e quindici anni. Periodo in cui Jacovitti, ormai cinquantenne, dopo le lunghe collaborazioni con Il Vittorioso e il Giorno, passa ad altro.
Lo leggevo sul Corriere dei Ragazzi – cos’era? –, Cip l’Arcipoliziotto, Cocco Bill, le sue foll(i)e assonometriche che riempivano una doppia pagina alla Hyeronimus Bosch. C’era il Diario Vitt, naturalmente, e poi lo trovavi nelle pubblicità (dei gelati, credo) e in tivù (Supergulp).
Le date sono importanti perché questo Jacovitti degli anni Settanta è già totalmente refrattario a ogni umana debolezza, romanticheria, a qualsivoglia suggestione atmosferica, gestuale. È già diventato quell’inesorabile “plotter” che riduce e omologa ogni tema, soggetto, genere narrativo, alla sua spietata logica. Qualunque elemento, una volta trattato, processato con quell’incredibile e inconfondibile segno antigestuale fatto a sua volta di innumerevoli segnetti raggruppati – umani, animali, salami, sedie, bottiglie, auto, case, marciapiedi, e perfino gli elementi stessi della grammatica fumettistica: linee cinetiche, onomatopee, balloon – ci viene restituito trasformato nella medesima materia solida, elastica, gommosa e probabilmente puzzolente che costituisce la base dell’universo jacovittiano.
Credo sia proprio grazie a tale gommosità (ma rimane comunque paradossale) che questo autore sia stato così diffuso tra i giovanissimi, nonostante trattasi, forse, dell’artista più cattivo, crudele, bête et méchant che mai si sia visto nel nostro Paese, e non solo. Uno che, se la censura fosse stata più accorta e intelligente di quanto per sua natura è sempre stata, avrebbero dovuto vietare ai minori di 47 anni, almeno.
Anacronisticamente, nel decennio di cui dicevo, ricevo in regalo per la mia prima comunione, da degli zii che tuttora ringrazio, un Oscar Mondadori che ripropone un fumetto risalente alla fine degli anni Quaranta. È il (primo e migliore) Pinocchio di Jacovitti.
Si tratta di un’opera particolare, in cui Jacovitti, muovendosi agilmente con sensibilità e coraggio tra illustrazione e fumetto, interpreta da par suo il classico collodiano. L’ho letteralmente consumato, quel piccolo e commovente volume in bianco e nero! Nel suo Pinocchio il giovane Jac mostra tesori di umane debolezze ed empatie. Non ci sono (ancora) salami che spuntano dai marciapiedi, ma chiaroscuri, colpi di vento che spazzano la campagna, la provincia, l’Italia profonda, ingenua e assurda, atmosfere notturne, poetiche, sognanti… Che bello!
Un altro (bellissimo) lavoro di questo periodo che conferma la suddetta teoria, uscito sul Vittorioso, e che ho recuperato soltanto pochi anni fa sotto forma di albo a colori, è Le babbucce di Allah. Siamo sempre nel periodo giovanile di poco successivo al Pinocchio, e anche qui Jac vola altissimo. Non solo rappresenta e fa simpaticamente litigare Maometto e Allah stessi (ehm) ma, aiutato anche dal colore, crea momenti di lirismo sconsiderato illustrando una storia buffa e tenera tutta raccontata in rime: parliamone!
Niente di tutto questo sopravvivrà nei “miei” anni Settanta. Lo Jacovitti maturo non farà più sconti a nessuno. Anzi, democraticamente, farà a pezzi chiunque e qualunque cosa: la religione, la politica, il sesso, la lingua italiana… Il suo Kamasutra è quanto di meno sensuale si possa concepire.
Ho una sua vignetta nei miei archivi, disegnata per una campagna elettorale a favore di un candidato (democristiano? Non lo so), tale Mosca, che nella lista doveva corrispondere al n. 37. Si vede un signore che ne apostrofa un altro, dalla cui bocca distorta esce un manubrio di bicicletta. Il balloon dice: “Tu che ingoi biciclette, vota Mosca 37!”
Non l’ho mai incontrato Jacovitti, ma ho incontrato tanti artisti, a volte insospettabili, che lo hanno amato e lo amano (impossibile pensare Pazienza senza la sua base jacovittiana). E non solo italiani: lo spagnolo Miguel Ángel Martín, ad esempio, mette Jacovitti tra le sue principali influenze. Lo scorso weekend parlavo di Jacovitti con l’artista, architetto e designer Luigi Serafini, geniale e squilibrato autore del Codex Seraphinianus. Serafini mi raccontava di come da giovane, assieme a un collega, fosse stato a trovarlo a Roma, in casa sua, Benito Jacovitti. E di come fu folgorato nella sua finitezza dal tinello di casa: un tinello intonso, protetto da vetrate smerigliate, congelato in un’epoca remota. Preciso, tranquillo e crudele come i suoi disegni.
Guardo Benito Jacovitti cinquanta-sessantenne, su YouTube, in un vecchio documentario Rai degli anni Settanta-Ottanta. Un omaccione felliniano in vacanza, con gli occhialoni e il sigaro, che d’estate, su una spiaggia italiana, disegna con un pennarellone probabilmente indelebile facce buffe sulle pance nude e abbronzate di una torma di bambini consenzienti.
Sicuramente lo ha fatto anche sulla mia, indelebilmente.
*Paolo Bacilieri (Verona, 23 febbraio 1965), è tra i più eclettici e versatili fumettisti italiani contemporanei, con opere che trovano collocazione sia nel fumetto popolare che in quello d’autore. Comincia la sua carriera a metà degli anni Ottanta, pubblicando in Francia e in Italia creando Barokko, il suo primo personaggio. Seguono anni intensi, in cui realizza storie brevi e lunghe come The Supermaso Attitude, Durasagra e Phonx, per poi dar vita a Zeno Porno, personaggio che apparirà in diverse storie sulla rivista erotica Blue (Coniglio Editore). Dal 1999 collabora con Sergio Bonelli Editore, per il quale disegna tre storie di Napoleone su testi di Carlo Ambrosini e altre sette di cui firma anche la sceneggiatura. Sempre per Bonelli disegna storie per Jan Dix, Dampyr, Dylan Dog, Orfani e per la collana Le Storie. Parallelamente porta avanti un percorso personale, dedicandosi ai diversi graphic novel, tutti pubblicati da Coconino Press, come Sweet Salgari, Fun e More Fun. Nel 2016 pubblica per l’editore indipendente Hollow Press Palla, premiato come Miglior Fumetto Breve a Lucca Comics & Games 2017.