Stavo aspettando un nuovo quaderno giapponese, ma non ci speravo. Ero rimasto sedotto dalla profondità del primo, pubblicato da Coconino Press giusto due anni fa. Era stato un viaggio alla scoperta di una terra che molto amo e un po’ conosco, cioè il Giappone, e alla scoperta di un autore che conosco meno, ma che mi ha affascinato per la sua capacità di fondere il passo del racconto con il lento fluire delle immagini. La sorpresa è stata invece veder arrivare, per Oblomov Edizioni, il prosieguo di quel discorso nei Quaderni giapponesi 2: il vagabondo del manga.
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Il primo quaderno giapponese di Igort era stato un viaggio dentro la memoria – una delle cifre sia narrative che grafiche dell’autore – e dentro se stessi. Su Fumettologica ne aveva scritto puntualmente Daniele Croci, collocandolo all’interno del percorso dei Quaderni iniziato ormai sette anni fa:
Dopo i reportage in Ucraina e Russia, la formula dei Quaderni viene rivista spostando l’accento verso uno sguardo più esplicitamente autobiografico. Le molteplici permanenze nipponiche dell’autore diventano quindi pretesto per un viaggio all’interno delle complessità spirituali e materiali della cultura giapponese. L’esposizione autobiografica diviene così erratica, frammentaria, interrotta continuamente da digressioni e approfondimenti. In questo senso, diverse libere associazioni compongono un quadro intimista e spontaneo, in cui l’autore ci prende per mano e ci invita a percorrere le stesse strade che percorse lui, alternando fra difficili (ma soddisfacenti) esperienze professionali e una solitaria ricerca introspettiva.
Se il primo era un viaggio dentro la memoria, il secondo diventa un viaggio alla ricerca dell’esperienza: il viaggiatore del manga si trasforma in una voce contemporanea, che torna in Giappone con lo specifico obiettivo di creare una nuova narrazione frutto del perdersi in quella terra.
L’occasione è più consapevole e i tempi più compressi: la scoperta del Giappone questa volta non avviene con l’ausilio dello strumento narrativo del ricordare, ma con quello del viaggiare perdendosi volutamente e lasciando che sia la mente a cogliere i segni dei racconti che ci circondano.
Abitare l’animo di Igort, che riesce a infondere una voce piacevole e sicura alle sue narrazioni in prima persona, è comunque come abitare un castello: è impegnativo e dispersivo, a tratti quasi fastidioso. Ogni perdita di tono, e in questo quaderno ce ne sono al massimo un paio (uno snodo nella narrazione nel telefono del vento, il finale di LovePlus), è in realtà accompagnata e rafforzata da pagine che contengono immagini che sono citazioni, richiami, memorie: immagini che sono piccoli dipinti, diorami dell’arcipelago nipponico, perle sottomarine che rendono profonda e a tratti quasi impossibile da abbracciare tanta ricchezza e abbondanza.
La tecnica mista di Igort è di grande potenza. La sicurezza nel muoversi attraverso episodi pennellati o fotografati con pochi cenni sontuosi è invidiabile. Anche l’uso di un lettering artificiale, di un font “finto stampatello” che simula lo stampatello della scrittura a mano sul quaderno nel quale si alternano i disegni e i bozzetti dell’autore – una immaginaria Moleskine da viaggio, un patchwork anni Sessanta ma con una tecnica molto più tesa e uniforme, minimalista – è più che accettabile. È il Wabi Sabi, la soddisfazione per le cose semplici e la capacità di apprezzare l’imperfezione.
Nel suo lavoro Igort gioca con l’idea del viaggio, con la mistica asiatica (e lo zen in particolare) in una lettura piuttosto dogmatica ma poco conosciuta da noi e alquanto precisa. Ha dalla sua l’averci vissuto e aver saputo trovare, con il disegno, la chiave per cogliere tanto spirito del Giappone.
Non voglio togliere sapore alle 140 tavole di questo secondo quaderno giapponese, accanto al quale spero un giorno potrò metterne anche un terzo, e che si legge senza bisogno di conoscere il primo né la poetica di Igort. La carta a grammatura pesante, la Arcoprint da 140 grammi, è una nota ulteriore dell’attenzione che l’autore ha voluto mettere nel modo con il quale raccontare le sue storie: il soma-testo, il “corpo del testo”, è altrettanto importante della forma o del contenuto.
Nel libro si richiamano cose profonde e importanti, aneddoti interessanti e citazioni dotte, ma c’è spazio alla fine anche per un’amicizia molto intima e lunga, sottile come un filo che attraversa il tempo e lo spazio che separa il Giappone dall’Italia. È quella tra Igort e Jirō Taniguchi, uno dei più importanti mangaka del nostro tempo scomparso a 68 anni l’11 febbraio 2017, a cui questo secondo quaderno di Igort è dedicato.
La capacità di tratteggiare con leggerezza e con uno sguardo attento ma al tempo stesso vicino alla normalità delle cose, alla loro atmosfera, per coglierne l’essenza più intima, è una prerogativa che trova nei Quaderni giapponesi 2 una cifra unica, forse mai prima toccata da Igort. La casualità dei fatti raccontati, la loro eterogeneità, la capacità di rimandare, con uno stile costante ma sempre cangiante di illustrazione, agli originali citati, è davvero notevole.
La palette di Igort in queste tavole diventa talmente ampia da riuscire a raccogliere secoli di colori provenienti dall’Impero dei segni senza battere ciglio. Il disegno diventa materia e, dopo poche pagine che ammiccano ai bozzetti del viaggiatore un po’ frettoloso che tratteggia sulla pagina della sua piccola Moleskine, ci si perde nella dimensione sontuosa dalle immagini via via sempre più grandi e isolate, fino ad arrivare a delle doppie tavole che chiedono solo di essere ritagliate e incorniciate. Perché:
Tutto era cominciato con la lettura dei diari di Matsuo Basho, il poeta che cercava di fermare il tempo con la sua penna. Per lui viaggiare era uno stano interiore, un vagabondare senza una meta precisa, con il cuore pronto a cogliere ogni scintilla di vita.
Quaderni giapponesi 2
di Igort
Oblomov Edizioni, novembre 2017
184 pp., colore
20,00 €