HomeRecensioniNovitàSadbøi di Berliac: il gaijin manga racconta la migrazione

Sadbøi di Berliac: il gaijin manga racconta la migrazione

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Prima di avere per le mani Sadbøi nell’edizione italiana di Canicola, di Berliac avevo letto alcuni lavori pubblicati qualche anno prima, ai tempi in cui adottava uno stile totalmente diverso da ora, ben lontano dal cosiddetto “gaijin manga” (fumetti occidentali d’autore che si ispirano al manga), per come ce lo ha ben spiegato in una recente intervista. Nel frattempo abbandonato il filone art comics al quale aveva aderito all’inizio della sua carriera, si è dato alla produzione di un po’ di fanzine dall’approccio molto lo-fi. Nel giro di pochi anni, si è costruito un seguito nel circuito underground che, oltre a consumarsi tra i banchetti di fiere indipendenti di tutta Europa, trova ampio sfogo sui social, da Facebook a Tumblr.

Il graphic novel Sadbøi arriva in Italia con la coda di una fresca polemica internazionale che si è conclusa con il rifiuto della pubblicazione in lingua inglese del libro da parte del prestigioso editore canadese Drawn&Quarterly (trovate ogni dettaglio QUI). In Italia, Canicola Edizioni non si è fermata di fronte alle accuse di sessismo sparate a Berliac, mettendolo al fianco di un altro libro che da noi aveva inaugurato la stagione del gaijin manga, Viaggio a Tokyo di Vincenzo Filosa.

Leggi le prime pagine in anteprima da Sadbøi

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A discapito di ogni accusa di scorrettezza sessista o di appropriazione culturale, appare chiaro sin dalle prime pagine che alla base dell storia di malcelato nichilismo contemporaneo di Sadbøi ci sia uno sguardo consapevole e spietato su un’Europa svogliatamente multiculturale, finanche una critica.

Sadbøi è ambientato in Norvegia, dove Berliac ha abitato ed è intriso di elementi di cultura pop contemporanea. La mia conoscenza delle tendenze giovanili sta gradualmente assottigliandosi con l’andare in avanti dell’età: non sapevo che cosa fosse un Sadboy. Capita che a Treviso Comic Book Festival, dove Canicola presentava in anteprima il libro, mi ritrovo a sfogliarlo accanto a Roberta Scomparsa (autrice che con lo stesso editore ha pubblicato un albetto l’anno scorso) e discutiamo del titolo. In breve, lei mi dice: «Un SadBoy è uno che ascolta Yung Lean». «E chi è?», faccio io. «Un rapper svedese giovanissimo, ascoltalo, è figo, basi rallentate e voce depressa».

Eccolo, il pezzo che mi ha consigliato. A me non è piaciuto, non so se è una questione generazionale, ma il tipo si lamenta un po’ male.

Sadbøi di Berliac è abbastanza simile a Yung Lean e a quelli che si atteggiano come lui (con la tuta e il berretto da pescatore, bevendo Arizona Green Tea, con sfondi un po’ vapor wave); è un immigrato proveniente da un paese in guerra, arrivato nell’Europa continentale con un barcone e, come spesso le cronache raccontano anche nella realtà, ha perso la madre durante la traversata.

Il ragazzo alterna momenti di spavalderia ad altri di profonda malinconia. Si è inventato artista di protesta, audace e sprezzante, ma dentro porta una malinconia profonda verso le proprie origini. È quel sentimento comune al topos dell’animazione anni Settanta/Ottanta del personaggio in cerca dei genitori persi in un confuso passato, ma qui declinato secondo questioni molto più contemporanee e dalle tinte politiche.

Il gruppo di personaggi protagonisti delle scorribande di Sadbøi è una banda di tamarri che ricorda gli adolescenti spacconi dei manga shonen incentrati sul bullismo, tipo Due come noi (Hiroyuki Nishimori), Great Teacher Onizuka (Tōru Fujisawa) o Rokudenashi Blues (Masanori Morita). Anche nel tratto leggero ed essenziale, quasi da shojo manga spogliato di orpelli, il manga di Berliac – ehm, graphic novel – rammenta lo stile di Nishimori o Fujisawa, ma non di Morita, che lavora invece con un segno assai realistico.

Fra l’altro, risulta ottima la scelta dell’editore di stamparlo su carta molto povera, a ricordare le riviste manga giapponesi più cheap. Meno felice invece la scelta di non sfruttare la notevole copertina originale.

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Il racconto delle scorribande di Sadbøi alterna un presente incentrato su una performance artistica (che poi si rivela qualcosa di più), a flashback di un passato travagliato, di un orfano in terra norvegese, solo e disadattato. Berliac – artista apolide, anch’egli lontano dal proprio paese e residente in più paesi europei negli ultimi anni – fa oscillare la sua narrazione tra propositi prettamente politici, frutto di uno sguardo critico verso il contemporaneo e un divertentismo tamarro, che lascia interdetti sul prendere o meno sul serio certi intenti.

La critica a una società contemporanea alienante e alla sua forbice sociale ampissima viene portata avanti per mezzo di un gruppo di giovani reietti che non hanno la forza dirompente dei Drughi di Arancia Meccanica, intenti come sono in atti criminali o a piangersi addosso. Per certi versi, anche questa è critica a una società giovanile senza spina dorsale, forse, che però si esplica tramite un racconto non del tutto capace di affermare la propria voce con autorità, dando invece l’impressione di compiacersi in un gioco di apparenze e tendenze, in bilico tra la vacuità di hipsterismo e antihipsterismo.

Sadbøi
di Berliac
Canicola Edizioni, 2017

144 pp a colori, 16 €

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