La forma della voce, nei cinema il 24 e 25 ottobre, è il nuovo lungometraggio animato della regista Naoko Yamada, che identifica un preciso percorso dell’animazione nipponica contemporanea assieme a In questo angolo di mondo, proposto nelle sale lo scorso settembre sempre da Nexo Digital e Dynit.
La forma della voce è tratto dal manga A Silent Voice (Koe no katachi, sette volumi, Edizioni Star Comics) di Yoshitoki Ōima di cui avevo parlato qualche tempo fa e ne rispecchia l’approccio e la sensibilità. Racconta la storia di Shoya Ishida, un bambino esuberante che, all’arrivo della nuova compagna di classe sorda Shoko Nishimiya, decide di vessarla in ogni modo possibile, fino a quando non si ritrova isolato da coloro che credeva amici. Anni dopo Ishida è pronto per affrontare i suoi rimorsi e avvicinarsi nuovamente a Nishimiya.
La forma della voce è una storia di ritorni, un racconto in cui il passato torna costantemente a invadere prepotentemente il presente, come una sorta di marea infinita e incomprensibile. Tutti i personaggi del film, che sono perfettamente delineati attraverso un attento studio psicologico, sono come bloccati in un eterno presente, impossibilitati ad andare avanti, ad affrontare la vita e il futuro. Tutti sono congelati in questo magmatico senso di colpa da cui non riescono a liberarsi e il film fotografa il percorso attraverso cui tutti riescono a fare il fatidico passo avanti.
In molti hanno pensato si trattasse di un’opera sul bullismo: lo è ma in minima parte. Il bullismo è solo la causa scatenante, la molla narrativa con cui si dipana un disagio interiore che nel film, come nel fumetto, assume tinte decisamente drammatiche. Da questo punto di vista il vero protagonista è Ishida, un ragazzo che non accetta il mondo innanzitutto perché non accetta sé stesso. O addirittura non comprende il male che, spesso e inconsapevolmente, attraversa le nostre vite e le nostre società.
La forma della voce affronta con coraggio tematiche difficili e delicate, lo fa con un linguaggio che sta evidentemente incontrando il gusto del pubblico (in Giappone il film è stato campione di incassi) e, come si diceva all’inizio, rispecchia una metodologia di messa in scena specifica. È infatti palese come Yamada sia stata fortemente influenzata dall’opera di Makoto Shinkai, il regista di Your Name: entrambi immergono le loro storie in un contesto realistico, entrambi affrontano tematiche contemporanee e che mettono al centro l’uomo, entrambi optano per una regia attenta ai dettagli e che usa il montaggio in maniera funzionale.
Se è vero che la materia narrativa e concettuale rispecchia quella del manga di Yoshitoki Ōima, partendo quindi avvantaggiato, è altrettanto vero che La forma della voce eccelle nel saper dettare i tempi emozionali, grazie a un montaggio sincopato che alterna frammenti visivi a momenti distesi e poetici, sfruttando una colonna sonora coinvolgente.
Shinkai è quindi il riferimento ma non bisogna dimenticare che questo modo di raccontare, quasi postmoderno, è sicuramente figlio di Hideaki Anno (pensate a Le situazioni di Lui e Lei).
La forma della voce è quindi un film iconico, eccellente rappresentante di un’animazione nipponica che (ci) piace. Anche se non tutto fila liscio: c’è una disparità, in termini qualitativi, fra la prima parte e quella finale.
Non mi riferisco all’aspetto tecnico, sempre ottimo, grazie ad animazioni fluide curate dalla Kyoto Animation e un comparto tecnico eccellente (fotografia e musica in primis, ma anche il character design curato da Futoshi Nishiya che si ispira ai tratti di Ōima ma che è figlio di Yoshiyuki Sadamoto), quanto alle soluzioni narrative che sciolgono la trama. Mi pare ci sia stata un po’ troppa fretta e soprattutto alcune soluzioni sono chiaramente poco convincenti (SPOILER: come, ad esempio, il risveglio di Ishida dal coma e la sequenza successiva), mentre altri momenti riescono a creare una difficile e riuscita tensione drammatica.
Naoko Yamada riesce comunque a dar vita a un’opera sentimentale sulla necessità di accettare sé stessi, nonostante tutto. Con La forma della voce realizza la sua opera più matura e ispirata, dopo le comunque belle prove di K-On! (2009) e Tamako Market (Tamako marketto, 2013).
A pensarci bene La forma della voce e In questo angolo di mondo parlano, da posizioni opposte, della stessa cosa: l’amore è l’unica arma per affrontare con coraggio quell’altalena matta chiamata vita.