Alessandro Baronciani, in occasione della ristampa di Le ragazze nello studio di Munari (Bao Publishing), ha inaugurato il suo tour di presentazioni presso la fumetteria genovese Comics Corner. L’occasione è stata utile per intervistarlo: ci siamo incontrati alle 20 e salutati quasi all’una. Questo perché Baronciani è un fiume in piena, che si appassiona e si interessa a tutto, cinema, musica, letteratura, arte, animazione, fumetto. Persino Playmobil.
Parlare con lui di qualsiasi cosa, per più di quattro ore, mi ha portato a una conclusione: Alessandro Baronciani è una specie di intellettuale d’altri tempi, quasi fosse uscito da un qualche movimento culturale degli anni Sessanta. Non solo questo traspare dalle sue opere, ma anche dal modo in cui osserva cose e persone: non si stanca di ragionare trasversalmente, magari controcorrente, di qualsiasi cosa. Il che aiuta a spiegare come mai si tratti di un autore ormai affermato e tra i più apprezzati fumettisti in Italia.
Le ragazze nello studio di Munari è stato pubblicato nel 2010 da Black Velvet, ed è da tempo fuori commercio. Questa nuova edizione di Bao Publishing presenta una nuova copertina e diverse pagine ridisegnate per l’occasione, ma mantiene i “giochi” cartotecnici originali che contraddistinguono l’opera: pagine trasparenti sovrapposte a quelle normali, buchi, fogli che si aprono all’interno delle pagine e una pecora pelosa.
Rileggendo Le ragazze nello studio di Munari sono rimasto colpito da alcuni riferimenti che hai fatto a Deserto rosso (1964) di Michelangelo Antonioni. Nel fumetto spieghi l’uso intelligente e funzionale che Antonioni fa del colore. L’uso del colore in La distanza o in Le ragazze nello studio di Munari rientra in un discorso del genere?
Ne La distanza il colore è l’estate, è la Sicilia, quando ci penso mi viene in mente Verga, Vittorini, ma conoscendola insieme a Lorenzo (Urciullo, in arte Colapesce, co-autore del libro, Ndr) scopri davvero un mondo diverso. In Sicilia ti accecano i colori, ti acceca la terra bruciata dei muri, volevo che il racconto fosse il più realistico possibile.
L’uso del colore ne Le ragazze nello studio di Munari nasce da un’idea di Antonioni. Come faccio a contestualizzare il colore in un racconto in bianco e nero? Usiamo Antonioni! Quello che è scritto nel libro è vero, Antonioni l’ha fatto veramente, faceva colorare gli alberi per ottenere l’effetto cromatico desiderato. Sono digressioni continue del protagonista, ipersnob, antipatico, che fa capire agli altri che non hanno capito niente quando è lui stesso a non aver capito nemmeno uno dei concetti espressi da Munari che lui ama tanto.
Per me Antonioni è stato un gigante, so che è strano parlarne qui ma il suo cinema ha avuto un ruolo fondamentale nella mia vita. Una delle epifanie della mia vita, probabilmente l’ultima, l’ho avuta proprio con Professione reporter.
Antonioni era molto moderno! Era avanti anni luce. All’epoca non lo capivano. Ho avuto la possibilità di parlare con Elisabetta Antonioni in occasione del Festival di Internazionale a Ferrara e lei mi ha confermato che all’epoca non lo capivano. E poi non dire che sarà la tua ultima epifania! Non si smette mai di avere epifanie.
Rimanendo su Antonioni, lui ha diretto la nota “trilogia dell’incomunicabilità” (L’avventura, La notte e L’eclisse). Prendimi per folle ma Le ragazze nello studio di Munari e, in parte, Come svanire completamente, mi sembra che raccontino proprio questo vuoto, la distanza assoluta e incolmabile fra le persone, un’atomizzazione esistenziale.
Quando ho iniziato a provare a disegnare fumetti – avevo ventidue, ventitré anni – mi sono accorto che dovevo lavorare sulla forma. Ho provato a togliere le cose che non mi piacevano. Ho pensato: togliendo e riducendo avrei forse trovato un percorso personale. Tolti i balloon, tolte le didascalie temporali, eliminate le onomatopee disegnate, i rumori non si sentono in un fumetto, addirittura ho tolto i cerchietti delle orecchie lasciando soltanto la forma bianca perché i fumetti sono sordi, come suggeriva Scott McCloud quando ti chiedeva: «Senti quello che sto dicendo? Allora fatti controllare le orecchie perché qui nessuno ha parlato».
Il fumetto diventa così un’immagine. L’immagine che si muove dove è successo qualcosa. È questo che adoro dei film di Antonioni. Si può raccontare uno stato d’animo soltanto con l’atmosfera di un’immagine. Il lettore percepisce l’atmosfera che hai creato e che comunichi ed è quello che succede in Deserto rosso.
Nei tuoi personaggi c’è tanta insicurezza e una grandissima difficoltà di comunicare con gli altri.
Non si tratta di incomunicabilità ma di frammentazione del discorso. In Come svanire completamente o in Una storia a fumetti mi interessava proporre una storia con cui il lettore potesse interagire e completare. Se pensi a una storia d’amore, comincerai a ricordarla in maniera non lineare. Perché la natura dei ricordi è ondivaga e i ricordi spingono in questo senso alla creazione artistica.
Volevo provare a vedere cosa succedeva mettendo tutto questo in tanti racconti chiusi dentro una scatola. Così è nato Come svanire completamente. Un po’ come quando provi a leggere i cocci dei pre-socratici, pezzi di argilla ritrovati negli scavi archeologici di cui rimangono soltanto parti di un discorso probabilmente molto più ampio, che si cerca di risolvere e riempire.In un’altra intervista hai detto che le idee vengono dalla comunicazione e dal confronto. Ma la solitudine e il confronto con se stessi quanto sono importanti per la creazione di un’opera?
La creatività, come scriveva Munari in Fantasia, interviene in più ambiti. Personalmente lavorare in solitudine non mi aiuta, io ho bisogno di parlare con le persone. Persone però non a caso. C’è poco tempo, o meglio spazio, per il confronto, per questo mi piacciono i festival come quello di Treviso o quello di Bologna.
Ad esempio al festival BilBOlbul il momento più importante, per me, non sono tanto le mostre, ma le cene a cui partecipano tutti gli autori del festival insieme a volontari, giornalisti e organizzatori. Sono tavolate giganti grazie alle quali ti trovi a parlare con amici o persone disposte a raccontare le proprie idee e sentire quelle degli altri. Mi ricordo di una serata in cui mi sono ritrovato a cenare davanti a Vittorio Giardino e a chiedergli quante volte ritoccasse le tavole prima di mandarle in stampa.
Come svanire completamente e Le ragazze nello studio di Munari sono dei tormenti a livello creativo, non è chiaro niente. Hai una direzione da seguire per la tua storia, ma è solo parlandone con altri che ti rendi conto se la cosa funziona o no. L’ho imparato quando lavoravo in pubblicità. È il lavoro di gruppo che spesso ti aiuta a risolvere delle situazioni che sembrano bloccate creativamente.
La cartotecnica utilizzata per Le ragazze nello studio di Munari è molto curata. Cosa rappresenta per te? Potrebbe essere un qualcosa che crea un nuovo livello di connessione fra l’opera e il lettore?
Questa è una cosa che avevo pensato dopo aver stampato Quando tutto diventò blu. Il personaggio della storia era molto empatico e chi mi scriveva diceva che si era immedesimato nella protagonista. Le storie sono importanti per questo, perché noi possiamo immedesimarci in esse. Le storie sono importanti, sono tutto. Sono importanti per te, che hai due bambine che alla sera vogliono sentire una storia, o per la mia ragazza quando si trovò nel deserto con i tuareg che le chiesero di raccontargli Cenerentola.
Nelle Ragazze nello studio di Munari invece ho provato a pensare a un personaggio con cui è difficile empatizzare, perché – appunto – antipatico. La storia ti coinvolge e gli effetti cartotecnici ti fanno “entrare e uscire” di continuo dal libro. Volevo farti capire che mentre tu stai provando a immedesimarti con il protagonista – forse il più antipatico e snob che abbia mai disegnato – hai comunque un libro in mano con degli “effetti speciali” come al cinema. Una specie di libro in realtà aumentata anni Settanta che parla di un bambino che non riesce a crescere, come gli scrive in una lettera una delle tre ragazze che lascia il protagonista.
Ne La distanza racconti, assieme al cantautore Colapesce, un viaggio con tutte le implicazioni di significato che si porta dietro. Ha senso parlare di “viaggio” per ogni tuo personaggio? E per te come autore?
Se non fossi andato in Cornovaglia starei ancora cercando di capire come disegnare Come svanire completamente. Quando ero lì ho postato su Instagram la foto di una chiesa e qualcuno ha commentato pensando che fosse la Chiesa di Santa Senara a Zennor. Ho scoperto così dell’esistenza di quel luogo per caso, ma anche a causa del mio viaggio, e questo mi ha dato un grande spunto per il libro. Ciò vuol dire che quando stai cercando una storia, se sei in viaggio per trovarla, di sicuro ci sbatterai la faccia contro.
Hai detto che Come svanire completamente è dedicato ai supporti che ci siamo perduti nel tempo. Quanto sta svanendo il supporto libro/fumetto?
Scaricati Le ragazze nello studio di Munari in PDF e poi tocca la pecora! (all’interno del volume è presente una pecora la cui superficie risulta più morbida rispetto alla carta, Ndr) Come svanire completamente non è la storia di una sirena, ma della musica che non ha più un supporto. Enjoy the Silence dei Depeche Mode l’ho ascoltata in cassetta, in vinile, in cd e in cd edizione deluxe. Ma ora non ce l’ho più e la ascolto sul telefono, che non mi serve più a telefonare ma a mandare messaggi e la posizione in cui mi trovo, e ancora non ho capito se questa è una cosa bella o brutta.
Prima il supporto mi dava l’illusione di aver catturato una canzone, una sirena, di poter vedere la canzone attraverso la copertina della cassetta che ascoltavo nel mio walkman. Una volta entravi nelle case e capivi che persone erano i loro inquilini dai libri che avevano in biblioteca, adesso c’è l’ebook e la casa è quella cosa transitoria che cambi ogni due o tre anni, perché cambi lavoro o città e quindi meno cose ti porti dietro e meglio è.
Sono un romantico, e mi piacciono le cose perché raccontano un pezzo di storia che forse sarebbe destinata all’oblio. Come ad esempio la passione di Fabio (il protagonista di Le ragazze nello studio di Munari, Ndr) per i libri usati, che raccontano un’altra storia oltre a quella che contengono. E forse è per questo che la ristampa de Le ragazze nello studio di Munari mi ha reso felicissimo, perché è difficile da stampare, e quindi è un po’ rischioso a livello editoriale, ma è nella forma libro che la sua lettura è importante.
A quali progetti stai lavorando ora?
Oggi a Genova venti persone su trenta mi hanno chiesto Come Svanire Completamente, quindi mi piacerebbe ristamparlo. Ma soprattutto ho in mente una storia con delle super-modelle. Horror.