Restyling Dylan Dog ✓
Reboot/rilettura Martin Mystère ✓
Reboot/rilettura Nathan Never ✓
Rilancio Cico ✓
Reboot/rilettura Zagor ×
Reboot/rilettura Mister No ×
In due o tre anni di lavoro, e con diverse iniziative ancora in cantiere, i progetti Bonelli nell’ambito delle produzioni originali “di nuova generazione” si sono concentrati soprattutto sul ri-qualcosa. Ripresa ma anche riscrittura, riproposizione ‘autentica’ ma anche rimpasto creativo. Niente di rivoluzionario, ça va sans dire, ma un sacco di idee – al di là delle loro qualità (una ammissione: nonostante la titolazione passatista e qualche stereotipo young adult, la pimpante MMNAC è diventata una delle mie letture da spiaggia preferite) – che ci hanno offerto una precisa percezione del “nuovo corso Bonelli”: una fase riformista.
Nessun personaggio storico è stato “maltrattato” con trasformazioni radicali – per dirla in termini Marvel, niente versioni Ultimate né ingegneria multiculturale – ma certamente sono state percorse nuove vie per offrire un feeling contemporaneo al più vasto catalogo di personaggi seriali del fumetto italiano.
Nel corso del 2017 Lilith – che si è congedata questa estate, dopo 10 anni di onorato servizio – e poi Le Storie, Orfani e Mercurio Loi hanno offerto, invece, produzioni originali pienamente ex novo. Ma i numeri sono numeri: le vendite delle serie dedicate ai cosiddetti standard characters sono ancora (nettamente) superiori. D’altra parte la Storia è Storia e i personaggi classici – Tex come Dylan, Zagor come Nathan – sono noti da tempo anche ai non lettori (o ai lettori casuali) Bonelli, che identificano la casa editrice con questi prima che con le serie contemporanee di Enoch, Recchioni o Bilotta.
Bonelli è quindi diventato, almeno in questo scorcio di anni Dieci, dopo la scomparsa del patron Sergio, l’editore riformista che lavora per adeguare una library storica e, accanto a ciò, per arricchire quel catalogo con nuove properties ideate ad hoc. Un editore che per “adeguarsi ai tempi che cambiano” offre sia novità vere e proprie che versioni ‘aggiornate’ dei propri titoli storici.
Bonelli NewIP versus Bonelli Classics
Seguendo questo ragionamento l’equazione sarebbe dunque: Bonelli riformista + Bonelli NewIP = Bonelli Editore anni Duemiladieci. A ben vedere, tuttavia, si tratta di una sintesi parziale. Perché mentre questi due assi vanno assestandosi, un terzo sembra ormai avere preso piede. Lo chiamerò, per praticità, Bonelli Classics. Ovvero quella parte di prodotti che non sono produzione originale – né ‘innovativa’ né ‘riformata’ – ma effettiva riproposta, ristampa o riedizione che dir si voglia.
Collane di ristampe di Tex o Dylan Dog – come quelle di Diabolik, per fare altri esempi – esistono da decenni (sul sito Bonelli sono raggruppate in sezioni distinte dalle produzioni ‘inedite’: Tutto Tex, Super Book, DD Grande Ristampa, Tex Nuova Ristampa…), ma solo oggi la pratica di ri-presentare storie classiche sembra assumere una fisionomia compiuta, alla luce di nuove consapevolezze strategiche. La logica che la nutre è semplice: un classico non è uguale al prodotto inedito, e questo va sottolineato, reso visibile, comunicato. Ecco dunque prendere forma due iniziative che incarnano la nuova stagione delle azioni di “valorizzazione degli archivi”, come si tende a dire nel mondo televisivo: le collane Il Dylan Dog di Tiziano Sclavi e Tex Classic.
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Si tratta di due prodotti editorialmente molto diversi tra loro. Il Dylan è un progetto a tutti gli effetti premium, dalla struttura antologica e dalle intenzioni celebrative, con cartotecnica pregiata e dotato di contenuti extra, ad un prezzo (4,90€) maggiore di un albo ‘inedito’ standard; il Tex è invece un oggetto editoriale no frills, strutturato cronologicamente, con formato, foliazione (66 pagine) e prezzi (2,90€) ridotti, privo di qualsiasi extra. Nonostante ciò sono entrambi ristampe e, in particolare, “ristampe inedite” – un ossimoro inevitabile se vogliamo sottolineare la novità della ri-proposta sul piano del design (grafica e packaging), della colorazione e, in definitiva, dello spirito complessivo che le attraversa.
Pur nella loro comune condizione di riproposte delle celebri serie prodotte fra 30 e 70 anni fa, questi Bonelli Classics non sono infatti né le ennesime ristampe filologiche degli originali in bianco e nero, né edizioni con ricolorazioni moderne (alla maniera dei classici hollywoodiani del b/n ricolorati, negli anni 70/80, per la ritrasmissione televisiva). Sono, piuttosto, edizioni vintage figlie di una visione alimentata dalla retromania, in una fase storica in cui la retromania è un megatrend che, come avevano sottolineato i seminali studi di retro marketing o retro branding di Stephen Brown già quindici anni fa (e lo splendido testo del critico musicale Simon Reynolds nel 2011), attraversa tutto: musica, moda, design, cinema e persino televisione.
Tex e Dylan Dog, protagonisti del vintage bonelliano
La questione è palese nel packaging, a partire dalle copertine. Il Dylan Dog di Tiziano Sclavi si presenta in una elegante veste cartonata che vuole suggerire una confezione in cartone ingiallito – simulato digitalmente, s’intende – per ottenere un effetto vintage nella materialità stessa dell’oggetto.
Le copertine di Tex Classic, “che recuperano persino alcune rare illustrazioni firmate Galep”, sono in realtà ancora meno ‘autentiche’. L’effetto vintage è qui rafforzato con elementi decorativi nella grafica, su due fronti: da un lato la soluzione della ampia banda alta occupata dalla testata, ispirata (nella progettazione del grafico Fabrizio Verrocchi) ai comics americani anni 40/50/60; dall’altra l’evocazione del passato remoto è sostenuta da una scelta di font tipografici che presentano graffi, sporcizia o usura degli inchiostri nel logo, nel titolo o nel bollino del prezzo.
Negli spot televisivi di Tex Classics, poi, il linguaggio si fa sfacciatamente retromaniaco, grazie all’utilizzo della tecnica (anche qui, simulata digitalmente) della animazione limitata. Una soluzione estetica che vuole esaltare, invece di nascondere, la sgrammaticatura dei movimenti di un eroe che pare provenire non solo dal Passato Cartaceo, ma dal Passato Audiovisivo. Tex, figlio degli anni di Carosello e di Supergulp! I fumetti in tv, porta con sé soluzioni animate tanto datate quanto riconoscibili – e apprezzabili – da uno sguardo consapevole di quel Passato. A dimostrazione che l’approccio retro non è solo un velo leggero, un ammiccamento variant o una retorica di comunicazione, basta sfogliare le pagine interne delle due collane.
Nel Dylan Dog di Sclavi (ideata da Recchioni, curata da Marco Nucci, colorata da GFB e Luca Bertelè), che riprende la grafica del Dylan Dog Diary, l’effetto carta ingiallita rimane dalla prima all’ultima tavola. Soprattutto, però, è la colorazione a sorprendere per il suo smaccato aspetto d’altri tempi: l’effetto di retinatura – digitale, ça va sans dire – pervade ogni singola vignetta. L’ingiallimento di Tex Classic è più tenue, ma in compenso si accompagna a precise strategie cromatiche: i colori (firmati GFB) sempre desaturati, l’assenza totale del bianco ottico (presente invece nella collana con il Dylan di Sclavi, sebbene solo nei balloon) e il predominio di toni seppiati declinati sugli innumerevoli beige, marroni, grigi, rame…
Bonelli Classics, o gli archivi remixati
Siccome nell’anno del ritorno di Twin Peaks osservare la diffusione del vintage dovrebbe suonare banale a tutti, quel che mi preme mettere in risalto intorno alla “tendenza Bonelli Classics” è che non tutto ciò che è banale è davvero banale. Non per Bonelli Editore, e non per il fumetto italiano.
La spiegazione più immediata per decifrare la proliferazione di prodotti vintage è la nostalgia, e in particolare quella generazionale (lettura obbligata: Emiliano Morreale). I lettori del Dylan Dog di Tiziano Sclavi sono adolescenti anni ’90 diventati padri; oggi è possibile recuperarne almeno una parte come consumatori nostalgici, attivando il loro senso di appartenenza con un vintage che ne valorizzi la memoria, ovvero l’auto-riconoscimento come membri di una generazione segnata (anche) da specifiche letture («Ah, com’era bello il Dylan del Tiz!»). Analogamente i lettori di Tex – non più solo adulti, ma nonni – che ricordano il ranger “dei bei tempi andati”, sono consumatori recuperabili con edizioni che sollecitino un retrò bello spinto all’indietro, vicino allo spirito visuale dell’ormai leggendario “Tex delle origini”.
Un’altra spiegazione, ispirata alla tradizione delle dinamiche fandom tanto tipiche del consumo fumettistico, potrebbe sottolineare invece la propensione al collezionismo. Tex e Dylan, sebbene con pubblici diversi, hanno fanbase forti e attive, nicchie felici di tributare una ennesima occasione di venerazione – potremmo chiamarlo consumismo affettivo – per i propri fumetti cult, da rileggere e ri-possedere in gradevoli edizioni nuove-ma-vecchie, vintage insomma.
Tutte spiegazioni plausibili. Buone anche per capire come mai queste collane Bonelli stiano funzionando bene. Perché incarnano una presa d’atto simbolica, tanto ovvia quanto ‘nascosta’ dalle precedenti routine di “ristampe fedeli”: il prodotto Bonelli classico, spesso accusato di suonare datato, certamente lo è – ma è questo il suo bello. Quantomeno, questo è il suo nuovo potenziale nell’epoca della retromania diffusa. Un Bonelli Classic può allora essere valorizzato proprio in quanto passé. A patto però di non interpretare questo principio in maniera rigida: lo spirito del tempo deve passare non attraverso la “fotocopia” (edizioni filologiche) ma grazie a un accurato redesign dell’oggetto e del suo spirito.
La traiettoria che questi fumetti del passato possono compiere, assumendo un aspetto e un’aura vintage, è diversa da quella delle edizioni Integrali che da un decennio stanno vivendo un boom tanto in Francia quanto negli Stati Uniti. Se nelle Integrali ciò che conta è l’opera in sé, con aspetti come l’assemblaggio di porzioni disperse o il restauro conservativo, nelle edizioni vintage al centro c’è il lavoro della memoria, con aspetti come lo stile, il linguaggio, la tecnica. Se nelle Integrali l’opera non è messa in questione e vale per ciò che fu, nei vintage è solo una matrice di base da cui estrarre sensazioni, ricordi, mood.
Per questo il mestiere che fanno queste due collane Bonelli è diverso da quello che avevano fatto, pure pochi anni fa, operazioni come la collana Archivi Bonelli presso Rizzoli Lizard: non tanto studiare – canonizzando – il passato, ma rileggerlo con gli occhi della – pur temporanea – memoria che ne abbiamo oggi. E sempre per questo mi sembra che, per Bonelli Editore, si tratti di un uovo di Colombo: un modo per riutilizzare i propri archivi senza complessi e senza dogmatismi, permettendo a prodotti importanti – passé, ok, ma pur sempre di grande qualità – di riattivare una circolazione “calda”, non gelidamente archeologica. Una sfida non banale per una editoria, quella di fumetto, che ha sempre avuto un rapporto problematico con il proprio passato, troppo spesso frettolosamente dimenticato (lo studioso Thierry Groensteen parlò di “arte senza memoria”) o, viceversa, venerato acriticamente.
Per quanto mi riguarda, dunque, sia benvenuto il vintage bonelliano. Che porta il principale produttore italiano di fumetti ad allinearsi a una tendenza generale che non è certo destinata ad esaurirsi in fretta e che, anzi, potrebbe offrire nuove possibilità nella gestione degli archivi, nel marketing e nella stessa creatività.
Dietro al successo del vintage – fumettistico e non – c’è infatti anche un altro fenomeno, al di là della nostalgia o del collezionismo. Si può chiamarla “nostalgia della nostalgia”, ed è qualcosa di diverso dall’impulso al puro auto-riconoscimento generazionale. Certo, i millennials si sono rivelati una coorte particolarmente permeabile al vintage (pensiamo a vari micro-fenomeni: la musica lo-fi, l’arredamento post-industriale, il ritorno del vinile, successi cinefili alla Xavier Dolan…), ma il discorso non vale solo per loro. Potremmo descriverla come il desiderio di immergersi in una forma peculiare di Passato, quello alimentato dalle memorie altrui, dai discorsi sociali e dalle produzioni creative intorno alle ‘nostalgie degli altri’. Il vintage, in fondo, è anche – e forse soprattutto – questo: una rampa di lancio verso l’autenticità del Passato, spesso inteso come un Passato ‘usato sicuro’, ma anche una speculazione rivolta a un Passato immaginario, un Passato Ibridato dal Presente, persino un Passato Che Non è Mai Stato (non del tutto, quantomeno).
L’onda lunga della crisi economica e i fendenti simbolici della digitalizzazione hanno esteso, forse più del previsto, la potenza della retromania: non solo “ritorno a casa”, ma anche reinvenzione, quasi re-engineering della memoria dettato dalla nuova paradossale coabitazione tra presente e passato grazie al digitale. E certi fumetti Bonelli hanno tutte le carte in regola per vivere immersi in questo clima. Un panorama in cui la nostalgia si mescola con l’aspirazione/esplorazione di un Passato diverso, l’attaccamento ad antiche certezze vibra accanto alla voglia di un futuro fatto di discontinuità, l’eccitazione per uno stile di moda e per l’innovazione non prescinde dal suo immediato remix, una rilettura “come lo avremmo vissuto se fosse appartenuto agli Anni XX”.
*Matteo Stefanelli sarà a Padova, in occasione del Future Vintage Festival, per dialogare con Milo Manara, domenica 10 settembre 2017 (in collaborazione con BeComics!).