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Kirby e la responsabilità del ‘farsi umani’: Machine Man

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di Antonio Solinas*

Ritornare su Jack Kirby in occasione del centenario dalla nascita è un’occasione non solo per celebrare la memoria di un maestro riconosciuto dei comics, ma per affrontare un paradosso: Kirby ha prodotto talmente tanto che le sue opere meno “inquadrabili” rimangono ancora oggi trascurate.

In questo senso, il Kirby meno omologato dell’ultima fase della carriera (quella post-DC), al di là della riuscita in toto o meno di alcuni lavori, è interessantissimo sia dal punto di vista delle idee sia da quello dell’evoluzione del segno. Uno stile che definire “iconico” sembra sempre poco. Questo è certamente vero nel caso di Machine Man, la cui recente edizione Omnibus (Panini Comics) raccoglie sia il ciclo kirbyano (uscito nel 1978) che quello, valido ma certamente meno esplosivo, di un altro peso massimo quale Steve Ditko.

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La premessa della serie è semplice ma efficace: Machine Man è un robot senziente, ultimo esemplare di una serie di “macchine neoumane” programmate per resistere a compiti estremi e distrutte dopo lo sviluppo di una “crisi d’identità” che, in maniera umana, troppo umana, aveva portato a ingestibili conflitti (con la morte di vari umani). Progettato per provare sentimenti da uomo, dopo la morte dello scienziato che gli aveva fatto da padre, Machine Man assume un’identità civile (quella di Aaron Stacks) e si ritrova a proteggere la società da nemici dagli straordinari poteri. L’idea in sé era intelligente perché, in maniera appropriata, si prestava all’analisi di quei sottotesti relativi al senso dell’esperienza umana che caratterizzano i momenti migliori della carriera del Re.

Rispetto alla gestione sceneggiata da Wolfman e DeFalco con Ditko alle matite, basata su trame supereroistiche di sapore classico, la versione kirbyana privilegia un set-up di stampo più fantascientifico. Questo gli permette di dare meno risalto all’aspetto dei super poteri, per concentrarsi piuttosto sull’umanità dei protagonisti della storia. Infatti, volendo sintetizzare il concetto di Kirby in una di quelle catchphrase che tanto piacciono agli americani, potremmo ridurlo alla fatidica domanda: “Che cos’è che davvero ci rende umani?”

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A questo importante nocciolo narrativo (cui si fa cenno già dalle prime pagine del primo numero della serie), si arriva però in maniera indiretta, perché inizialmente il focus di Kirby sembra tutto sulla parte “macchinica” di Machine Man. Infatti, non solo i primi numeri della serie presentano alcuni interessanti redazionali – scritti dallo stesso Kirby – che descrivono la lotta contro l’obsolescenza della razza umana di fronte a macchine intelligenti come X-51 (il protagonista della serie), ma le elucubrazioni dell’autore vengono sviluppate, per certi versi in parallelo, anche nella storia. Chiaramente, senza fare torto all’autore, la parte fumettistica è molto più affascinante della pur gradevole prosa, ma è interessante come le riflessioni di Kirby procedano lungo gli stessi binari dello svolgimento della trama.

Nei redazionali, infatti, il discorso è sviluppato in maniera chiara e logica, come nella tradizione di un uomo che, sebbene privo d’istruzione accademica formale, non mancava di un’intelligenza lucida e razionale. Nel numero 1 Kirby presenta lo scenario dell’arrivo di una Macchina senziente con tutte le qualità fisiche che ci caratterizzano come umani (e molte altre), e i problemi del suo “riconoscimento” da parte della comunità umana.

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Nel numero 2 Kirby introduce poi l’idea di una possibile persecuzione nei confronti di questi nuovi Machine Men, basandosi proprio sull’ambivalenza che caratterizza la civiltà. Nel numero 3 questa riflessione viene messa in discussione valutando gli aggiustamenti che la società farebbe nei confronti di una macchina da guerra come Machine Man, pur nel generale sospetto verso un’entità tanto potente. Nel numero 5 Kirby parla delle applicazioni militari di robot senzienti e dell’egoismo degli umani nei confronti di un essere considerato solo un qualcosa da sfruttare e, in maniera abbastanza sorprendente, si cala nel punto di vista del povero robot, “nevrotizzato” da noi umani.

Queste riflessioni presenti nei testi redazionali vengono praticamente prese di peso e infuse nel fumetto. Inizialmente, infatti, X-51 deve affermare la propria identità, inseguito dai militari comandati dal colonnello Kragg e armati di futuribili marchingegni – e di tanti pregiudizi – ma allo stesso tempo dubbioso su se stesso in quanto essere in grado di provare sentimenti. Se il colonnello, infatti, è convinto che X-51 sia solo un pericoloso robot senz’anima, anche lo stesso Machine Man, in un dialogo con lo psichiatra Spalding (sempre nel primo numero della serie), inizia sulla difensiva, come un paziente riluttante a mettersi in terapia, e continua rinnegando, ferito nell’orgoglio, la propria umanità nei numeri successivi (quando arriva a pochissimo dal voltare le spalle al mondo).

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Ma è un percorso di crescita. Nel corso della serie, fra sogni tormentati (inerenti proprio la sua identità “umana”, rappresentata dalla maschera che indossa sopra il metallico corpo robotico), Machine Man conquista la fiducia di Spalding, che diventa un amico fidato, e raggiunge un equilibrio caratteriale che viene echeggiato dalle azioni del colonnello Kragg. Questi, infatti, si ricrede sull’operato del robot e, nel corso della saga, diventa un prezioso alleato proprio per il processo di rivendicazione dei diritti di un essere come X-51.

Nei numeri gestiti da Kirby, il dualismo fra l’umanità di Machine Man e la malvagità dei cattivi è sempre presente. Lo spirito umanista è evidente: non è la condizione di nascita a renderci umani, ma le scelte che facciamo per elevarci dalla brutalità e dal male. Non solo: essere accettati come umani, per Kirby, significa anche prendersi carico di una serie di responsabilità. In sintesi, “fare l’uomo”. Figurativamente e letteralmente, è proprio questa la più grande lezione del Machine Man di Kirby.

Machine Man
di Marv Wolfman, Jack Kirby e Steve Ditko
Panini Comics, 2017
440 pp, colore
45,00 €

*Antonio Solinas è editor di Panini Comics

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