La vena creativa di Jack Kirby sembrava inesauribile. Una tensione quasi maniacale verso la mitopoiesi, così radicale ed esuberante che a contatto con i limiti degli universi fumettistici in cui era costretta cercava di sovvertirne l’ordine, portandoli al collasso o ritagliandosi un’enclave anarchica in cui far proliferare i suoi sogni.
Quando sul finire degli anni Settanta il Re ritornò alla Casa delle Idee, reclamando il suo regno, affrontò Captain America e Black Panther spazzando via ogni concetto di continuity. Fece collassare l’idea stessa di un universo condiviso, concentrandosi sul ritmo adrenalinico delle storie, spingendo l’acceleratore e sbalzando il lettore in media res, incurante di sottotrame, sviluppi ed evoluzione dei personaggi. Soprattutto, T’challa venne scarnificato: la verbosità e la politicizzazione della gestione di McGregor fu praticamente messa tra parentesi. Kirby si concentrò sull’azione e sul Wakanda: è tutta una fantasmagoria infinita in cui si susseguono situazioni e personaggi sempre nuovi.
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Anche la precedente incursione presso DC Comics non era stata di certo indolore. Anzi, Kirby aveva praticamente creato un nuovo pantheon di divinità, semidivinità ed eroi che avrebbero esercitato una forza attrattiva tale da far convergere l’intero universo della JLA intorno alla figura oscura di Darkseid. Non è un caso che l’ombra del sovrano pazzo di Apokolips sia al centro del prossimo cinecomic targato Warner.
La genialità di Kirby era così profonda da diventare una miniera inesauribile di idee e di continui approfondimenti, una specie di testo sacro, la cui lettura produrrebbe nuovi accadimenti, infinite esplosioni di genio e di creatività. Kirby è stato un demiurgo, una fonte inesauribile e imprevedibile.
Dopo una lunga trattativa, nel 1970 Kirby arriva in DC Comics con un contratto di tre anni e una clausola opzionale per un ulteriore rinnovo. Gli viene affidata una testata già esistente: Superman’s Pal Jimmy Olsen. Con la consueta e intransigente libertà (parola cardine su cui ritorneremo) Kirby rivoluziona il tono scanzonato della serie, introducendo personaggi e situazioni inedite, strizzando comunque l’occhio alle situazioni leggere. Ma, soprattutto introduce nel #134 una delle creazioni più iconiche, il tiranno cosmico Darkseid. Per correttezza filologica, ci teniamo a precisare che la sua prima apparizione completa e non in forma di cameo si trova in Forever People #1 del Febbraio 1971, una delle testate che compone l’affresco cosmico del Quarto Mondo.
L’idea di base del Quarto Mondo frullava nella testa di Kirby già durante la lunga gestione Marvel delle storie dedicate a Thor e alle divinità norrene. Da sempre interessato alla mitologia panteistica, l’autore avrebbe voluto far piazza pulita del pantheon asgardiano con il Ragnarok per poter introdurre una nuova pletora di personaggi. Il progetto non fu mai accolto, ma Kirby risolse i suoi intenti qualche anno dopo presso la concorrenza.
Non è un caso se il primo numero di New Gods del marzo del 1971 si apre con una scena apocalittica: in cui dall’ecpirosi del precedente universo, nascono due pianeti gemelli. Siamo dinanzi alla cosmogonia del Quarto Mondo. Il primo numero di New Gods è tutt’ora sconcertante per la magniloquenza visiva e per il susseguirsi continuo di invenzioni. Come scriveva Marvin Wolfman in una nota posta in calce alla storia:
«L’immaginazione di Jack Kirby non ha confini e limiti. Niente è tanto bizzaro da essere provato, niente è talmente incredibile da essere concepito. Un brav uomo disse che nell’eventualità che l’umanità giunga alle estreme propagini dell’universo, troverà senza dubbio il nome di Jack Kirby segnato sull’angolo in basso.»
Nel pantheon del Quarto Mondo, un ruolo particolare lo ricopre Scott Free aka Mister Miracle, figlio dell’Alto Padre, sovrano illuminato di New Genesis ceduto come agnello sacrificale al tiranno di Apokolips. Alla base di un precario accordo tra i due regni vi è uno scambio reciproco: da una parte Orion, figlio di Darkseid, viene cresciuto nell’eden perfetto, dall’altra Scott Free viene gettato nelle segrete di un orfanotrofio gestito dalla terribile Granny Goodness.
Scott Free è una figura simbolica e centrale nella cosmogonia kirbyana. Sembra quasi che la sua voglia di distruggere il mondo dei miti norreni fosse un atto necessario per fondare una nuova mitologia neo-cristiana, dove i concetti di bene e male diventassero dialettici, dove la libertà e la redenzione fossero un percorso necessario, ma in cui la libertà per l’appunto mostrasse la sua tragicità.
Scott Free è libero di scappare dal ruolo di agnello sacrificale, di scegliere di non piegarsi ad un regime di schiavitù e regressione mettendo in moto un conflitto cosmico, di tentare una fuga impossibile, di recedere il calice amaro della colpa.
In un’intervista rilasciata a Paste Magazine, Tom King, sceneggiatore della nuova serie dedicata a Mr. Miracle, così si esprimeva riguardo la creatura di Jack Kirby:
«Quando ho iniziato a lavorare a questo progetto, ho parlato con alcuni autori come Mark Waid e una delle cose che mi è capitata era che la gente diceva: “Come non sapevi che Mister Miracle è il Gesù di Jack Kirby? Lui è Gesù nei panni di un escapista”. Tutto ciò è completamente folle, ma lo scrittore che è in me è come se volesse giocare con quest’idea del Gesù escapista. Dall’altro lato, c’è Darkseid, che è il male incarnato. Ci sono temi religiosi in tutto ciò, ma sono ispirati da Kirby, che stava disegnando sul Vecchio e Nuovo Testamento un modo di fare avventure per i bambini…raccontando vecchie storie in modi nuovi.»
Tom King sembra voler approfondire questo tratto cristologico del personaggio, mostrandocelo stremato e depresso: il maestro dell’escapismo è prigioniero di se stesso, del suo retaggio, della sua natura, impossibilitato a fuggire al ruolo che l’Alto Padre e Darkseid gli hanno attribuito.
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Kirby in Mister Miracle #1 ci mostra un uomo in fuga, stremato, inconsapevole del suo retaggio, un uomo il cui unico assillo è la libertà. Solo l’incontro fortuito con Thaddeus Brown lo renderà l’artista della fuga, ma soprattutto darà un senso alla sua esistenza.
Dopo la morte del Mister Miracle originale, l’orfano Scott Free raccoglie la sua eredità per combattere il crimine insieme all’aiutante di Brown, il nano Oberon. Kirby numero dopo numero crea una strana famiglia intorno all’orfano: dal già citato Oberon, che ricopre un ruolo da spalla comica, a Big Barda, una delle Furie di Darkseid, sino alla giovane comprimario Shilo. Scott Free raccoglie la sua eredità e svela un passato fatto di abusi, violenze e sottomissioni. L’escapismo di Mister Miracle non è mera arte della fuga ma un principio speranza.
Nella Premessa alla monumentale opera Il Principio Speranza, il filosofo Ernest Bloch scrive:
«Il lavoro della speranza non è rinunciatario perché di per sé desidera aver successo invece che fallire […] L’affetto dello sperare si espande, allarga gli uomini invece di restringerli, non si sazia mai di sapere che cosa internamente li fa tendere a uno scopo e che cosa all’esterno può essere loro alleato. Il lavoro di quest’affetto vuole uomini che si gettino attivamente nel nuovo che si va formando e cui essi stessi appartengono. Non tollera una vita da cani, che si senta solo passivamente gettata in un’esistenza non capita nei suoi intenti o addirittura riconosciuta per miserabile […] La vita di tutti gli uomini è attraversata da sogni a occhi aperti, una parte dei quali è solo fuga insipida, anche snervante, anche bottino per imbroglioni; ma un’altra parte stimola, non permette che ci si accontenti del cattivo presente, appunto non permette che si faccia i rinunciatari. Quest’altra parte ha nel suo nocciolo la speranza, ed è insegnabile.»
L’escapismo è una metafora usata da Kirby per parlarci della speranza (non è un caso che la saga dei New Gods si chiuda con questa parola) e della capacità di aprire spazi di libertà. È una metafora della sua vita, della sua strenua difesa della legittimità della creatività autoriale e del processo creativo come cosmogenesi continua priva di confini e limiti editoriali. Il fumetto diviene con Kirby uno spazio di libertà, di ricostruzione continua, di utopia e di sano escapismo.
Scott Free è il più grande eroe ideato da Jack Kirby nel pieno della sua maturità artistica, è un Cristo che rigetta la necessità della colpa e pensa a una via alternativa per rendere la libertà agli uomini. Pertanto, la lettura di Tom King si pone in continuità, ma anche in rottura con Kirby. Da un lato sembra voler approfondire l’idea del Cristo Escapista, ma l’humor nero che infonde in Scott Free, invece, evidenzia un limite invalicabile: Scott Free non può non essere Scott Free.
Da un certo punto di vista, King sembra introdurre un deriva esistenzialista in cui la contingenza della nostra situazione, dell’essere gettati passivamente in una situazione – come dice Bloch citando e criticando Martin Heidegger –, è un limite invalicabile: sembra negare la speranza.
Scott Free è il re della fuga, il signore della libertà, il principio speranza.
Le storie di Mister Miracle di Jack Kirby sono raccolte nei quattro volumi del Quarto Mondo pubblicati da Lion Comics.