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L’arte dell’Atari

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Tutti abbiamo avuto un’infanzia, alcuni migliore e altri peggiore, però sempre raccolta in coorti da alcuni fattori generazionali. Nella mia generazione, di quelli per intenderci che oggi scivolano verso la cinquantina, ci sono i videogiochi. Anzi, l’alba dei videogiochi. E tra tutti spicca in particolare un’azienda americana: Atari.

Un po’ di tempo fa sono per caso incappato in un libro che ha attratto la mia attenzione: Art of Atari, pubblicato in America a fine 2016 da Dynamite Entertainment. Sono 350 pagine che alternano saggi biografici e disegni. Bellissimi disegni. È il tentativo, per me perfettamente riuscito, da parte di Tim Lapetino e Robert V. Conte di mettere assieme una storia visiva delle copertine dei giochi Atari. Una storia che ripercorre la parte esterna, il vestito dei videogiochi che all’epoca avevano a disposizione risorse grafiche e di memoria minime, e quindi apparivano poi infinitamente distanti dalla rappresentazione che gli artisti interni di Atari o che collaboravano con l’azienda californiania riuscivano ad evocare con le loro matite e tempere nelle copertine delle scatole e nei pannelli dei cabinet per le sale giochi.

art of atari

Ho letto il libro in due serate (e adesso ahimé sono tentato anche dal secondo volume omonimo, che raccoglie però i poster delle cover) con grande beneficio spirituale e personale. Immaginavo di trovarmi davanti a una storia un po’ balzana e superficiale, una operazione editoriale che mettesse assieme le scansioni di un po’ di scatole di giochi e giocasse sull’effetto memoria. Ho trovato un appassionato tentativo di ricostruire soprattutto un momento storico, gli anni Settanta e Ottanta (ma ci sono tutti i 40 anni di storia visiva del’azienda), dal punto di vista degli artisti che hanno lavorato per Atari, delle strategie che l’azienda ha messo in campo per inventarsi ben due cicli della storia dei videogiochi e poi per dare un senso complessivo a una forma d’arte – la creazione di cover per videogiochi – che definire minore e poco studiata è fargli quasi un complimento.

Avete presente Asteroids? Centipede? Missile Command? Avete presente le centinaia di giochi prodotti per il mercato arcade e per quello domestico delle prime console come l’Atari VCS? Quarant’anni di storia che lasciano un segno: questo è un richiamo insopprimibile per appassionati, fan, nostalgici, ma anche semplicemente per curiosi di una strada dell’illustrazione, di un modo di coniugare mondi sintetici appena abbozzati la cui forza non è statica, nel disegno, ma dinamica, nell’interazione. Una ricerca dell’effetto visivo “fermo” per definizione attraverso la potenza della pittura.

La più grande sorpresa è psicanalitica e biografica, per questo all’inizio facevo cenno al cluster demografico a cui appartengo. Leggere le storie dei disegnatori e programmatori, nonché la genealogia delle console di Atari, è lo strumento razionale e consapevole con cui mettere ordine mentale nella storia del videogioco. Una pratica che suggerisco, se siete inclinati verso questo modo da collezionisti di approcciare il mondo.

asteroids

Invece, guardare le copertine, lavorare sui disegni, i tratti, il modo con cui immaginano e rappresentano la realtà, è tutta un’altra cosa. È un lavoro sull’inconscio, su quell’inseme di immagini, visioni e quindi di simboli che questi lavori sono stati in grado di accumulare nel retro del nostro cervello decenni fa. Mi spiego meglio: l’invenzione di Missile Command, per citare l’illustrazione più in vista nella copertina del libro, è una delle immagini meno conosciute e più diffuse trasversalmente nella mente degli adolescenti dell’epoca. Compare solo in due casi: nelle scatole dei giochi e sul fianco dei cabinet in sala giochi (i mitici “arcade coin operated”); ma è stata vista da tutti, ha fatto da invito e da soglia per entrare in un mondo sintetico ed essenziale nel quale però si poteva interagire con una forma di narrazione alienante e aliena, dandole profondità e colore. È una illustrazione “seminale” come sono seminali le forme di arte pop.

Andy Warhol era un pubblicitario e giocava su questi registri ma con altri oggetti culturali: non ha navigato con particolare convinzione il mondo dell’illustrazione dei videogiochi – e probabilmente non ha mai videogiocato con la passione che avrebbe avuto un adolescente nella New York di metà anni Settanta – ma questa materia, questi disegni, queste icone sono simboli su cui avrebbe potuto tranquillamente lavorare. È la base non solo dell’immaginario videoludico, ma anche della nostra società.

Perché i videogiochi della prima ora, e le illustrazioni delle copertine che li accompagnavano, erano delle straordinarie macchine creative, produttrici di nuovo senso, capaci di incendiare l’immaginazione degli adolescenti e dei giovani adulti dell’epoca. Pixar, i telefoni cellulari, i grandi colossi come Warcraft e Call of Duty, erano ancora ad anni luce nel futuro. Immaginabili, immaginati ma considerati lontani come l’anno Duemila: ipotesi da fantascienza. Invece, pian piano, ci siamo arrivati.

missilecommand

Tuttavia, le mattonelle della strada che abbiamo percorso per arrivare all’anno Duemila e poi inoltrarci fra gli hic sunt leones della nostra epoca web, smart, social, IoT, sono anche queste illustrazioni: industrial design? Belle arti? Arti grafiche? C’è tutto e il contrario di tutto. C’è il disegno naturalista e quello quasi art noveau delle corse ambientate nell’epoca d’oro dei Fangio e dei Nuvolari. C’è la fantascienza più dura e il fantasy lisergico più sconvolto. C’è una fantasia infinita, unita a un solido mestiere di illustratori che sono stati campioni nel loro mondo. Una fantasia che è esplosa attorno a dei brief essenziali forniti dall’editore Atari: brief contraddittori, lunari, fuori di testa. Come altrimenti definire la descrizione di Centipede che poi porta alla sua copertina? O quella di Asteroids? E come spiegare altrimenti il risultato?

Di questo mondo alternativo nel quale tutti abbiamo a tratti abitato, almeno un po’ di tempo, e del quale portiamo con noi ricordi più o meno inconsapevoli, Atari è il vero campione. È stata l’azienda che non solo ha inventato ma che ha anche incarnato per qualche decennio l’idea di videogioco e della sua rappresentazione. Come se parlassimo di Penguin e dell’idea di libro tascabile in Gran Bretagna o di Mondadori e dell’idea di libro tascabile in Italia.

Basta, mi fermo qui perché so già che lo farò; alla fine mi comprerò anche il volume “Poster Collection” di Art of Atari. Maledizione.

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