L’editoria italiana sembra essersi accorta dell’esistenza di una letteratura a fumetti inedita. L’attenzione verso i maestri del gekiga si è tradotta in un’importante opera di recupero e traduzione di una parte sommersa della produzione del Sol Levante. Da Tatsumi Yoshihiro a Seiichi Hayashi, passando per i fratelli Tsuge, i lettori hanno ora la possibilità di conoscere e leggere in ottime traduzioni ed edizioni autori quasi del tutto sconosciuti, ma che hanno traghettato il manga al di là dell’intrattenimento, verso una narrazione introspettiva, riflessiva e critica, un fumetto adulto e realista.
Kazuo Kamimura, conosciuto per il suo stile elegante ed essenziale, è una figura limite, che pur godendo di una certa fama è riuscito a condurre un discorso artistico unico, prediligendo alle atmosfere oscure e nichiliste dei maestri succitati una forma poetica meno claustrofobica, ma nel contempo lucida nella volontà di raccontare la contraddizioni di una contemporaneità sospesa tra epoche diverse, un territorio di passaggio.
Dopo i lavori con Kazuo Koike dedicati alla terribile dokufu protagonista di Shurayuki hime (Lady Snowblood, J-Pop, 2014), da solo sul delicato Itezuru (Una gru infreddolita – Storia di una geisha, J-Pop, 2016), J-Pop porta in Italia una delle opere più affascinanti del maestro giapponese: Dōsei jidai – L’età della convivenza, in tre volumi curati e tradotti da Paolo La Marca.
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Pubblicata originariamente nei primi anni Settanta sulla rivista Weekly Manga Action, L’età della convivenza consacrò Kamimura, rendendolo la voce di un’intera generazione. Infatti, il manga racconta di una coppia di giovani innamorati, Kyōko e Jirō, la cui decisione di convivere senza sposarsi diventò un elemento di identificazione per i giovani lettori della rivista. Le vicende dei due amanti diventano un riflesso dell’emancipazione delle nuove generazioni da secoli di tradizioni e abitudini che il contatto con l’Occidente sta lentamente dissolvendo. Kamimura è attento a come il costume si evolve e a quelle zone di ristagno e di resistenza (anche e soprattutto emotiva) in cui si sedimentano passato e tradizione.
La convivenza di cui ci parla il mangaka diventa, allora, una specie di interregno, un campo di conflitto per i due giovani amanti: da un lato essi avvertono il peso della decisione, della cesura operata nei confronti del passato, dall’altra aprono così lo spazio dell’inatteso, un luogo di colonizzazione e di avventurosa modernità. Eppure, è proprio questa dialettica che rende Dōsei jidai un’opera magistrale nel restituire il sottile dramma della volontà, evitando una cronaca banale e bruta del quotidiano.
Nonostante l’amore e, anzi, soprattutto a causa di esso, ormai autosufficiente e non più legato all’istituto matrimoniale, visto come una costrizione e una conseguente castrazione, Kyōko e Jirō si avventurano in un mondo sonosciuto, dove spesso appaiono impauriti. Sono chiamati in prima persona a costruire un territorio di fiducia reciproca, muovendosi come equilibristi tra i continui imprevisti che la vita offre.
In Dōsei jidai, Kamimura oscilla tra una visione distaccata e momenti di intesa partecipazione emotiva. Sintomo del distacco è la capacità di entrare nella vita di Kyōko e Jirō in punta di piedi: spesso vengono mostrati nell’intimità della loro stanza dall’alto, come se lo sguardo dell’autore si posasse su di loro dolcemente, senza volerli infastire, seguendoli da vicino nella ritualità quotidiana che appartiene un po’ a tutti.
Da un lato, enfatizza tra le pieghe della cronaca quotidiana quei momenti di crisi e slancio, cercando di restituire un’immagine viva dell’epoca della convivenza, dall’altro questi piccoli e grandi drammi garantiscono la possibilità di indagare la profondità dell’animo umano: l’alterità dell’amato e dell’amante, la dialettica violenta dell’amore, la libertà individuale come limite e risorsa, la carnalità come l’altro dal sesso eccetera.
Sono tutte tematiche che Kamimura affronta senza appesantire la narrazione, ma lasciandola fluire attraverso episodi brevi che si rincorrono l’un l’altro a tracciare una storia più ampia, una storia interiore più che esteriore, attraverso l’alternanza degli stati d’animo e delle tonalità emotive fondamentali in un sapiente gioco di chiaroscuro, nel quale si intrecciano amore e odio, vita e morte, gioia e disperazione.
Basta aprire il volume e immergersi nel primo capitolo: da un lato la vita bruta, nella sua quotidianotà fatta di gesti consueti, ricorrenti e che volta dopo volta si svuotano di senso ma che con la loro costanza diventano la vita stessa; dall’altro la brutalità della vita, che si presenta a Kyōko attraverso i cadaveri di due amanti. L’abisso che apre la vista del ventre biancastro e gonfio è un ribollire di sentimenti difficili tra trattenere. Kamimura fa capire sin da subito che la sua eroina non è un’immagine oleografica, ma è un personaggio vivo e caratterizzato da passioni forti e travolgenti che la scaraventano tra stati maniacali e travolgenti accessi di voluttà e follia amorosa. Ma anche Jirō non è immune a questo maelström emotivo: è preda dei sentimenti e testimone come la sua compagna di una continua dialettica tra l’egoismo e l’arrendevolezza.
La grandezza del mangaka è evidente proprio in quei momenti di carica sentimentale, dopo la parola sembra venire meno. In questo, Kamimura si svela maestro di una poetica fatta di silenzi e attese, di immagini simboliche – la sua ossessione per le metafora floreali, arboricole e biologiche –, di un’attenzione per la tensione architettonica: uno scrupolo costruttivo, dove l’essenzialità è sempre elemento fondamentale.
Gian Carlo Calza scriveva che:«La civiltà giapponese è un ricettacolo di mezzi toni e sfumature, di spazi vuoti che non vanno subito colmati ma goduti come sono […]». Dōsei jidai è un’opera dove i pieni e i vuoti si alternano con sapienza e con un rigore che sembra provenire dall’arte dello shodō. Per Cheng Yao Tian, un calligrafo attivo durante la dinastia Ming, «la via della calligrafia è fondata sulla padronanza del vuoto. È proprio grazie al Vuoto che sole e luna si muovono, che le stagioni si succedono; è da esso che procedono i diecimila esseri. Tuttavia il vuoto non si manifesta e non opera se non mediante il Pieno.».
Kamimura segna con il rigore del suo pennello la storia di Kyōko e Jirō: è un addensarsi e insieme un distendersi del tempo. Le tavole costruite con una regia modernissima per l’epoca mostrano il tempo nella durata, cristallizando quella sequenzialità propria del sistema fumetto in un appello continuo al lettore a soffermarsi sui sottintesi, sulle pause, sulle ripetizioni. C’è una cura per l’attimo, per il gesto e per il particolare che rimandano a una visione tragica in cui l’amore e la morte si intrecciano e nel contempo si sfilacciano, rendendo la convivenza un naufragio emotivo.
L’opera ha anche i suoi lati oscuri: la reiterazione meccanicistica degli eventi – già presente in Una gru infreddolita – e la tendenza a infarcire le vicende attraverso un erotismo pruriginoso sono i limiti intrinseci dell’opera, così come una scarsa caratterizzazione dei tempi, che sembrano creare solo una quinta su cui far scorrere i quadri di vita quotidiana dei due giovani amanti. L’impianto narrativo, spesso ingenuo, si scontra con la volontà adulta di voler superare lo shojo in direzione di un affresco generazionale moderno e appassionante. Tuttavia, L’età della convivenza resta un’opera di fondamentale importanza per capire l’itinerario artistico di Kamimura Kazuo, fosse anche per apprezare la modernità di alcuni soluzioni di regia o per apprezzare il movimento sintetico del suo stile sempre più vicino alla contemporanea ricerca grafica di cui fu indiscusso maestro.
Dōsei jidai – L’età della convivenza vol. 1
di Kazuo Kamimura
Traduzione di Paolo La Marca
J-Pop, 2017
700 pp in b/n, € 18,00