Una delle cose che Jack Kirby non aveva capito era che puntare sui dinosauri avrebbe ripagato (non lui, certo, ma questo è un altro discorso). Dopo quarant’anni nella fascia bassissima dell’universo Marvel, la serie creata dal Re Devil Dinosaur batte i pugni sul tavolo e ottiene una nuova testata in un’epoca in cui “ragazzini+dinosauri” sembra essere la formula per ottenere il punto di massa ottimale (Fumettologica l’aveva inserito tra i fumetti più attesi del 2017). Basta solo modulare qualche ingrediente e svecchiare un concept che in realtà abbiamo visto più spesso di quanto ricordiamo.
Tonio Troiani lo aveva spiegato nella recensione dell’omnibus omonimo: Devil Dinosaur è poca cosa e si segnala soltanto come tappa ultima di una ricerca stilistica tesa alla semplificazione del segno. Lo spunto, una favola moderna che vedeva al centro l’improbabile amicizia tra un piccolo cucciolo di uomo, Moon-Boy, e un enorme T-rex scarlatto, Devil Dinosaur, va rivisto, modificato, possibilmente arso vivo come la tribù del Popolo Assassino aveva bruciato Devil donandogli superforza e una pelle cremisi.
Moon Girl & Devil Dinosaur viene quindi riprogettato con un tono all ages e una protagonista femminile, Lunella Lafayette (che è il nome originale e funziona meglio in inglese che in italiano, dove risulta un po’ troppo pedante nel comunicare la metafora). Luna è una ragazzina di nove anni, nera, appassionata di scienza che scopre di essere destinata a diventare inumana (NeoUmana, per la precisione) non appena le nebbie terrigene di Freccia Nera e compagni cadranno su di lei.
Nel primo arco narrativo della serie Lunella tenta con ogni mezzo a sua disposizione di impedire o almeno ritardare l’evento, in una metafora del cambiamento adolescenziale. A complicare il suo percorso, l’arrivo di Devil Dinosaur, mandato da un morente Moon-Boy a cercarsi un nuovo partner, e del Popolo Assassino finito nel nostro mondo per uccidere Devil. Lunella (così come la nuova Iron Man, Riri Williams) è l’ultimo segno della ricerca nella contemporaneità da parte della Marvel.
Come ha già scritto Daniele Croci parlando di March, «autori e personaggi di colore rimangono drammaticamente sottorappresentati», nonostante la tendenza dei fumetti statunitensi a mettere al centro del loro racconto forme diverse di marginalità. Le grandi etichette hanno sì assecondato il crescente malumore dei segmenti di pubblico poco rappresentati (o rappresentati male) iniettando dosi ingenti di personaggi femminili, omosessuali o di etnie diverse da quella caucasica, ma non sembrano convinti delle scelte operate, spesso portate avanti senza un reale piano creativo alla base.
Sembra quasi che il tema sia sentito vividamente oggi tanto quanto lo sentiva negli anni Cinquanta Frantz Fanon mentre scriveva Pelle nera, maschere bianche, saggio che parla di come il nero sia portato a omologarsi alla società bianca colonizzatrice in seguito a un senso di colpa atavico nei confronti delle proprie origini (Fanon ricorda l’episodio in cui, sul metrò, veniva ridotto a uno stereotipo da un bambino che lo appellava “negro”, lui, psicologo di fama internazionale). Questo senso di colpa nasceva in parte dalla presa di coscienza sulla rappresentazione dell’identità nera nei mezzi di comunicazione di massa come lo erano (e lo sono ancora, in parte) i fumetti.
A partire dagli anni Sessanta, nei fumetti Marvel prende corpo una tradizione ricca di personaggi di colore, ma un canone esiguo di rappresentanti del “genio nero”. Certo, Pantera Nera è un esemplare di forza e intelligenza, ma il suo esempio è stato seguito da eroi che puntano più sulle scarpe grosse che sul cervello fino (Luke Cage, Falcon, Misty Knight, Alfiere, Golia Nero). Se nel 1966 un personaggio nero era un passaggio importante nella rappresentazione della popolazione di colore, oggi l’accento è spostato sulla sofisticazione e l’apertura verso il mondo STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics, il complesso di materie scientifiche) a neri e donne.
La stessa Marvel si è spesa sul tema, dedicandovi una serie di copertine variant, e in apertura di ogni capitolo di Moon Girl è presente una citazione scientifica, spesso proveniente da personalità minoritarie (Neil deGrasse Tyson o Mae Jemison, la prima donna nera nello spazio). Che un ragazzo nero possa aspirare a carriere scientifiche è un messaggio nient’affatto scontato, in un’era in cui, come ricorda Steven Thrasher sul Guardian, «nelle scuole, mentre ai ragazzini bianchi che si comportano male si prescrivono farmaci, quelli neri vengono sospesi. Il genio nero è estirpato prima ancora che possa fiorire».
L’altro grande cambiamento è che Moon Girl & Devil Dinosaur è pensato come fumetto all ages che sappia intercettare i quattro quadranti ma in particolare un pubblico giovane e digiuno di letture supereroistiche, alla stregua di successi per ragazzi come Smile e Lumberjanes.
Quindi, nel suo svolgimento, Moon Girl è condotta in modo seriosissimo, genuino e scevro di qualsiasi sguardo accondiscendente o autoconsapevole. Si affaccia a noi come la protagonista novenne si affaccia al mondo che la attende. Certo, per essere un prodotto che cerca di puntare sul pubblico generalista, si complica la vita introducendo Hulk (quello nuovo, Amaedus Cho, capace di enucleare argomenti più complessi di un «Hulk spacca!») e riallacciandosi ai postumi del crossover Infinity in cui la nebbia degli Inumani si era sparsa sulla Terra – meccanismo utilizzato anche nell’altra serie beniamina del pubblico, Ms. Marvel.
Ho l’impressione che perdere di credibilità (nel senso che è realistico che qualche eroe famoso incrociasse le spade con Lunella) avrebbe in realtà dato una marcia in più alla serie. Moon Girl è sicuramente più interessante nel suo aspetto mondano, nelle sfide che affronta tutti i giorni la ragazzina e, come insegnava Brian Vaughan in Runaways, il conflitto più avvincente quando si parla di adolescenti con dinosauri e superpoteri non è necessariamente quello contro i cattivi di turno.
Al timone di Moon Girl & Devil Dinosaur troviamo gli sceneggiatori Brandon Montclare e Amy Reeder, già duo creativo nel timido Rocket Girl. In questa serie per Image Comics, i due (Montclare ai testi, Reeder ai disegni) non si erano erano dimostrati possessori di chissà quale tocco magico, ma il loro retroterra fusion ha convinto i capoccia Marvel ad assegnare loro il ruolo di parolieri di Moon Girl & Devil Dinosaur. Storia semplice, solare e con qualche passaggio obbligatorio è ciò che consegnano nelle mani di Natacha Bustos e Tamra Bonvillain (Angel Catbird, Doom Patrol, Wayward, Rat Queens), rispettivamente disegnatrice e colorista. Bonvillain (miglior cognome dei fumetti dai tempi di Ryan Lovelock) esplode in mille gradienti e tinte squillanti, in un risultato magari non accademico nella sua disposizione ma sul pezzo, ed è tutto ciò che conta.
Nel muro di rumore bianco che avrebbe condannato la testata all’immediata ignavia si fa però strada Lunella, che salva tutta la baracca grazie a un piglio che te la farebbe seguire anche in un avventura intitolata Moon Girl cerca il numero del podologo per la nonna sull’elenco telefonico perché il cellulare non prende; lo trova. Non è un token, una quota nera messa lì per fare numero ma senza nulla da raccontare: le sue azioni muovono la trama e la rendono parte attiva delle vicende.
Con l’entusiasmo di uno Skottie Young meno egomaniaco, la disegnatrice Natacha Bustos abbraccia l’aspetto bambinesco della serie: Lunella ha un grosso ammasso di capelli, occhiali enormi, è distinguibile dal profilo e il design la fa svettare tra la folla. Il suo costume è scarno, assemblato senza gusto e per questo molto credibile, la sua recitazione fisica movimentata al punto che perfino ai capelli è riservato un dinamismo sincopato. Devil Dinosaur è un grosso cagnolone, e la Bustos sa renderlo aggressivo e docile con pochissime linee di scarto.
Già nella sequenza introduttiva capiamo il personaggio con una manciata di parole e una caterva di narrazione visiva. Lunella è: confusionaria, più entusiasta che capace (come confermano le lettere di rifiuto provenienti dalla Fondazione Futuro, anche se i prossimi sviluppi contraddicono questa annotazione), autodidatta e per questo più esposta allo sbaglio da trial and error. Tutte caratteristiche che troveremo sviluppate nella storia, ma che qui ci vengono mostrate tutte assieme, con grande economia di mezzi. Che poi è l’aspetto pregevole di Moon Girl, al di là dell’aver dato voce concreta a un lato dell’esperienze nera.
La parte debole del duo spetta a Devil Dinosaur. Il tirannosauro rosso incarna (benissimo) più il cliché del cucciolone ora aggressivo ora affettuoso e meno l’idea di personaggio che sarebbe stato divertente gli autori avessero presentato (in sei numeri non intuiamo nulla della sua personalità, nemmeno cose piccole che però avrebbero potuto dargli spessore come i suoi gusti o le sue paure). Nessuno pretende la pazzesca rilettura di Warren Ellis e Stuart Immonen in Nextwave, ma gli sforzi per dargli un po’ di anima sono stati nulli. Come la sua protagonista, il lavoro del team creativo ha compensato qualche sbavatura e mancanza con la gioia e l’entusiasmo che animano le pagine.
Moon Girl & Devil Dinosaur vol. 1
di Amy Reeder, Brandon Montclare e Natacha Bustos
Panini Comics, 2017
136 pagine a colori, € 14,00