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“Karnak” di Warren Ellis, tra mazzate e filosofia

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Warren Elllis è un po’ il Joe D’Amato del fumetto statunitense. Regista iperproduttivo (il suo Imdb segna 195 pellicole, ma sono certo che qualcuna firmata sotto pseudonimo sia sfuggita), in grado di muoversi in ogni genere possibile, tecnicamente eccelso, mercenario come pochi. E, soprattutto, incapace di realizzare qualcosa senza inserici almeno uno dei suoi guizzi inconfondibili.

Se ripenso alla filmografia del grandissimo Aristide Massacesi – vero nome di D’Amato – non posso non ricordare l’estrema soddisfazione nello scovare all’interno di ogni singola sua pellicola quella che io e un mio amico avevamo ribattezzato la “Massacesata“. Ovvero quella particolare trovata che riusciva a trasformare anche la più scialba delle storie in una visione tutto sommato valevole del nostro tempo. Parlo, tanto per fare un esempio, del pene mozzato sulla spiaggia al termine di Sesso Nero (1980). Quello che viene ricordato come il primo film pornografico italiano si chiude effettivamente con abbondante spargimento di fluidi corporei, ma il risultato non era certo quello che ci si aspettava. Ecco cosa intendo per “Massacesata”.

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Con Ellis è un po’ la stessa cosa. Anche con prodotti tutto sommato dimenticabili come questo Karnak sai che arriverai in fondo al volume e, contrariamente a quanto pensavi, qualcosa ti sarà rimasto addosso. Quel piccolo elemento che fa svettare una sceneggiatura palesemente alimentare su buona parte delle proposte lanciate settimanalmente sul mercato.

In questo caso a venire incontro a Ellis è proprio il personaggio, l’unico degli Inumani a non essersi sottoposto al rito della Terrigenesi e a guadagnarsi senza alcuna fatica poteri quasi divini. Per poter essere degno di far parte della famiglia reale il Nostro deve quindi imparare a padroneggiare complesse arti marziali e a sviluppare la capacità di determinare il punto debole di qualsiasi cosa con un solo sguardo. Grazie a questa sua abnegazione e a una vita di esercizio, Karnak riesce a conseguire risultati molto prestigiosi, come diventare stratega di corte e Magister presso la Torre della Saggezza dove è stato cresciuto dal padre.

Grandi traguardi, ma che non mettono una pezza al suo problema più grande, autentico punto di rottura di un personaggio altrimenti granitico: lui non è come gli altri, non è un vero Inumano. Non farà mai davvero parte della famiglia. Ed eccolo invece essere convocato per riportare ai genitori devastati dal dolore un ragazzo scomparso, rapito ed elevato a messia da un ramo degenerato della Avanzate Idee Meccaniche convertitosi in setta religiosa. E quale migliore modo per far crollare una simile minaccia se non spostando lo scontro sul piano filosofico? Ogni cosa ha un punto debole, anche le scuole di pensiero e le religioni.

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Gerardo Zaffino

Ecco sintetizzato in poche righe il succo di questa breve gestione del personaggio da parte di Warren Ellis, la sua “Massacesata”: prendere un personaggio noto più che altro come picchiatore infallibile ed esplorarne a fondo la parte più interiore, basando il tutto sull’interpretazione letterale dei suoi poteri.

Come tutte le buone idee adesso sembra la cosa più scontata del mondo, ma prima è dovuto arrivarci qualcun altro. Si tratta dopotutto di un concept già di per sé molto valido, con una spendibilità sorprendente quando si tratta di metterlo alla base di una sceneggiatura. Il risultato è un alternarsi di scene d’azione parecchio brutali – praticamente mute – e intere pagine basate sulla staticità dei dialoghi, dove ci si esprime solo con battute come “Io sono il bersaglio. Tu sei il proiettile. Un momento di pace, poi l’incontro e la trasformazione”e pipponi sui piani dell’esistenza.

Il giochino è divertente, anche se il suo andamento meccanico viene abbastanza a noia prima della fine del volume. Rimane il fatto che lo script ha in sé il potenziale per qualcosa di unico, se non fosse che si va ben poco più in profondità di quanto riportato fino a ora. Magari la colpa è tutta dello scarso impegno dello scrittore, ma io porterei al banco degli imputati anche i disegnatori.

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David Aja

Le copertine, affidate allo spagnolo David Aja, sono assolutamente splendide. Non ne abbiamo una anche solo vagamente simile all’altra, sono tutte basate su idee grafiche fortissime e ci parlano del personaggio in maniera cristallina. Magari non incorporano delle grandi narrazioni, ma trovate come quelle della terza uscita sono impagabili. Peccato che le cose non procedano così bene passando agli interni.

I primi due numeri sono affidati a Gerardo Zaffino. Artista di forte personalità ma che si dimostra – piuttosto inaspettatamente, visto il suo talento – troppo approssimativo per portarsi sulle spalle una serie da tripla A. Per quanto certi primi piani e le scene più concitate siano davvero buoni – affascinante la distorsione degli arti per simulare la rapidità dei movimenti durante gli scontri – il resto è davvero troppo tirato via per poter andare a rafforzare una sceneggiatura che non ha certo i muscoli per fare tutto il lavoro.

Il discorso cambia quando gli arriva in sostituzione il francese Roland Boschi, che da grande professionista si prende tutto sulle spalle e chiude il ciclo narrativo nel migliore dei modi. I suoi volti spigolosi e le ombre sporche vanno già incontro ai testi di Ellis in maniera più efficiente di quanto avrebbero fatto altri, ma è evidente che si tratti di una sostituzione in corsa.

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Roland Boschi

Probabilmente Zaffino era stato scelto dalla Marvel grazie alla poetica oscura e barocca delle sue illustrazioni, perfette per sposarsi con un personaggio così stratificato come quello che dovevano andare a raccontare. Se fosse stato all’altezza delle aspettative magari sarei riuscito a scrivere una recensione partendo, per una volta, dai disegni e non dalla sceneggiatura.

Purtroppo le cose non sono andate così, e il povero Boschi – ottimo sotto ogni punto di vista, ma ancora troppo standard nello stile per poter dare quella spintarella in più che la serie richiedeva disperatamente – fa molto: riporta la nave in porto pur ritrovandosi a lavorare su studi non suoi e due numeri già lanciati sul mercato a dettare la direzione del titolo. A conti fatti, l’unico davvero centrato pare essere il colorista Dan Brown, che fa capolino infilando qua e la qualche soluzione più pittorica e regalando un minimo di ricercatezza in più all’insieme.

La conclusione è una di quelle che abbiamo già scritto mille volte: il fumetto è un mezzo potentissimo, ma per funzionare alla perfezione necessita di una piena sinergia tra ognuno dei suoi aspetti. Qui il lavoro di tutti porta a casa un compito dignitoso che non lascia certo delusi, ma da simili personalità – disegnatore, scrittore e protagonista – era lecito aspettarsi qualcosa di più.

Karnak
di Warren Ellis, Gerardo Zaffino, Roland Boschi
traduzione di Fabio Gamberini
Panini Comics, 2017
136 pp., colori
14,00 €

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