Con le librerie sempre più ricche di prodotti a fumetti, la tendenza in casa Sergio Bonelli Editore è ormai evidente: realizzare storie per le testate da edicola, sì, ma che possano essere riproposte in modo appropriato in libreria. Ovvero in altri formati, magari più ampi nelle dimensioni e nella paginazione, più pregiati nella carta e anche – o soprattutto – più coerenti e coesi sul piano dei contenuti. Per parlare dell’albo numero 312 di Nathan Never – realizzato da Alberto Ostini e Mario Alberti, con i colori di Romina Denti – bisogna tenere presente proprio questo dato.
La storia intitolata Il canto di Gaia – realizzata come ideale conclusione per l’anno di celebrazioni del venticinquennale del personaggio di Medda, Serra e Vigna – ha davvero tutto per essere riproposta, magari fra qualche mese, in un volume cartonato di grande formato e imbottito di extra. Un volume “alla francese”, si potrebbe dire.
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Prima di tutto, si tratta di un episodio autonomo, che non richiede vaste conoscenze pregresse né presuppone la lettura degli episodi successivi per essere compresa e gustata. Negli anni passati – diciamo pre-Duemila – storie di questo tipo in Marvel Comics sarebbero state chiamate fill-in: racconti slegati dalla continuity e preparati senza l’assillo delle scadenze da autori spesso diversi da quelli titolari della testata, per funzionare come ‘tappabuchi’ nell’evenienza di ritardi e garantire la continuità dell’offerta mensile. In questo caso la differenza sta principalmente nel fatto che ci troviamo davanti a una storia pensata per essere proprio dove (e quando) è stata collocata, ma per il resto ci siamo.
Il canto di Gaia vede Nathan infiltrarsi in un centro di ricerca tra i ghiacci del Nord, in una vicenda nella quale la fantascienza sposa atmosfere da racconto mitologico. Quello del titolo è una sorta di canto primordiale «in cui è rinchiuso il principio stesso della vita» e che non si può codificare, se non a rischio di un’apocalisse. La storia vive di momenti brillanti e di un buon ritmo, prima di ripiegarsi in uno spiegone sul finale, nel quale, come d’abitudine, buoni e cattivi raccontano le proprie trame e svelano i misteri ancora insoluti.
Al di là della trama, tutto sembra essere stato apparecchiato per i disegni di Mario Alberti, uno degli autori bonelliani più noti all’estero dopo le sue collaborazioni con Les Humanoïdes Associés (in Francia) o Marvel e DC Comics (negli Stati Uniti). Nel suo passato c’erano già storie per Nathan Never (e per Legs Weaver), ma l’aggiunta del colore e degli anni di esperienza accumulati rendono questo albo un passo avanti per il fumettista triestino, se non una occasione ‘speciale’.
Alberti si sofferma sui dettagli dei volti e degli ambienti con un fitto tratteggio memore di Sergio Toppi, ma allo stesso tempo trova una piacevole sintesi grafica. Parallelamente, il disegnatore non tralascia mai il quadro generale del contesto, offrendo tavole spettacolari ricche di panorami innevati – dettaglio in cui ha conquistato una certa maestria – o macchinari immaginifici e spesso concedendosi anche vignette blandamente surrealistiche, che accentuano la portata delle trovate fantascientifiche, grazie anche all’ottimo connubio con la colorazione della Denti. Alberti si applica poi alla composizione grafica bonelliana con grande coerenza e sensibilità, almeno fino alle pagine finali, nelle quali la regolarità esplode, in una sequenza muta in cui la griglia (e con essa il mondo stesso) viene pian piano capovolta, pagina dopo pagina.
L’episodio offre dunque una buona performance narrativa ma soprattutto visiva, per apprezzare pienamente la quale sarebbe utile avere a disposizione più spazio, ovvero pagine più grandi, in grado di dare respiro ai dettagli così come al tratteggio. La sensazione, allora, è che questo albo sia stato davvero pensato per un altro formato. Non tutti i fumetti Bonelli, oggi, nascono per essere “totalmente bonelliani” al primo giro di valzer (editoriale).