Amigos, compañeros: è finita! La prima stagione di Legion è arrivata a fine corsa e già mi sembra passata un’eternità da quell’indifferente febbraio in cui ebbe iniziò. Sono stati soltanto 8 episodi e se penso che in una serie normale non saremmo che a un terzo del cammino un po’ sto bene. Sta di fatto che questo recap per me è un misto di emozioni molto contrastanti.
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Il finale di stagione si apre con un lungo flashback su Clark, l’Interrogatore interpretato da Hamish Linklater. Nel primo episodio l’uomo era rimasto vittima della furia di David e adesso scopriamo che è sopravvissuto all’incidente a un costo alto: la sua faccia è sfigurata da un’ustione che lo ha privato perfino dell’occhio sinistro. Per fortuna suo marito e il figlio adottivo gli sono rimasti accanto, ma lui ha giurato vendetta su David e tutti i mutanti. A Summerland, David non ha difficoltà a sgominare i soldati mandati da Dipartimento 3. Il ragazzo cerca di far ragionare Clark, ma questi sta fungendo da talpa per la Divisione, che osserva lo sviluppo degli eventi dalla telecamera montata nell’occhio finto di Clark.
Cary intanto inizia un procedimento per rimuovere Farouk dalla mente di David. Ma il Re delle Ombre, manifestandosi come una Lenny in versione zombi, comunica a Syd la sua volontà di resistenza. L’esperimento di Cary sta riuscendo, ma Farouk minaccia di uccidere David nel mentre. Propone alla ragazza di lasciare David. a patto che sia lei a diventare il suo nuovo ospite. Syd tentenna, ma quando vede David in serie difficoltà, lo bacia e trasferisce Lenny nella sua mente. Il Re delle Ombre prende possesso anche di Kerry e si scontra con David nei corridoi di Summerland. Proprio quando David sembra avere la meglio, Lenny si trasferisce nel corpo di Oliver. Tutte le vicende si annodano per poi dipanarsi in direzioni diverse: Clark passa dalla parte dei mutanti, Oliver – accompagnato da una rediviva Lenny – scappa indisturbato da Summerland, e il gruppo ha il nuovo obiettivo di trovare e sconfiggere il marito di Melanie. In una scena dopo i titoli di coda, David e Syd scoprono che Oliver è diretto a sud. Un marchingegno simile a un drone si palesa davanti a David, lo scansiona e lo cattura, imprigionandolo in una piccola sfera.
La prima stagione di Legion si conclude con un cliffhanger e lascia l’amaro in bocca, perché dalle dichiarazioni che avevo letto mi pareva di aver capito che le stagioni sarebbero state, nei limiti del possibile, autoconclusive. Invece, non è vero per nientissimo. Le storie e i passaggi importanti dello show non sono stati risolti (a parte che adesso David dovrebbe essere mentalmente stabile) e anzi, hanno dovuto aggiungere dei bandoli da poter sbrogliare in futuro, una procedura standard per il formato televisivo, meno per Legion, che di standard pretendeva di non avere nulla.
Invece è un prodotto sintomatico della gestione della Fox dei diritti Marvel: da una parte un franchise cinematografico che pare rotolare senza controllo, dall’altra una serie televisiva (presto un mondo a sé) sui generis. Logan, X-Men: Apocalisse e Legion sono tre pasti che non mi sentirei di inserire nella stessa cena. Se dovesse comparire in un film Marvel, il Devil di Charlie Cox non avrebbe bisogno nemmeno di una limatura, mentre, al contrario, non me lo vedrei per niente David Haller fare una capatina nei film degli X-Men. Il che non è un problema per lo spettatore, lo è per il produttori nel caso stessero puntando a un universo condiviso, la nuova It girl dell’industria cinematografica americana (ma, voglio dire, Vacanze di Natale 2000 ci aveva già pensato quasi vent’anni fa, di che stiamo a parlando?).
Legion mi è parso uno show più semplice e leggero da affrontare rispetto a mostri come Westworld, che col passare delle puntate mi schiacciava col peso di tutte le teorie e i longread e i thinkpiece e gli sbrodeghezzi partoriti dal web. E a ogni episodio montava un’angoscia nel cercare di capire cosa non stessi capendo. Legion ha tolto quest’ansia a me (perché anche se c’era qualcosa da capire non me n’è importato) ma non agli altri.
Sean T. Collins, che ha scritto i riassunti di Legion per il New York Times, ha dato una rasoiata di Occam sulla questione in una serie di tweet in cui mostrava la caparbietà di certi spettatori che cercano ostinatamente metafore eleganti o significati nascosti: non per forza ci deve essere un doppio, triplo, quadruplo significato nelle cose che ci vengono mostrate. «Legion non è quel genere di show! Ci sono easter egg e dettagli pensati, certo, ma si trovano su un piano estetico, non narrativo. Eppure legioni (ammicco!) di persone credono che uno show per essere intelligente debba avere segreti nascosti da sbloccare. Perché se i simboli non sono segreti è tutto troppo ovvio. E se non sono sbloccabili è stranezza per il gusto della stranezza e basta».
Gli studiosi di questi recap si ricorderanno la mia invettiva sulla “Calvino Realty” nell’episodio 4. I recensori americani blasonati ma un po’ ignorantelli non l’hanno colto, ma l’uso del nome dello scrittore (che compare anche sul camion dei pompieri nell’episodio pilota, con la scritta “Calvino Fire Departement”) è messo lì con l’intenzione di far scattare qualche grilletto. Anche solo per riconoscere il nome dell’autore, perché magari un discorso complesso sui temi dello show e quelli della poetica calviniana staranno più nelle menti di chi guarda che nelle penne di chi scrive. Lo stesso vale per le connessioni che lo show fa con i Pink Floyd, prima dando il nome di Syd Barrett a uno dei protagonisti, poi usando Breathe, traccia d’apertura di The Dark Side of the Moon come colonna sonora di questo finale di stagione. Legion e i Pink Floyd sono collegati dal tema della salute mentale, tema cardine del loro album più famoso e influenzato dalle vicende personali di Barrett. A questo invece i giornalisti ci sono arrivati subito.
È ovvio che ci sia del pensiero dietro a ogni scelta (le figure sulle magliette di David avranno ovviamente un significato, ma magari sarà il senso più immediato che quella figura comunica) ma a volte il pensiero è l’assenza del pensiero stesso. Reddit ha riempito scaffali e server di letteratura critica a volte illuminata e illuminante (se siete finiti nel buco nero delle teorie su Westworld capite cosa intendo) altre volte effimera nella sua ricerca di senso anche nel gesto più insensato o nel riferimento più vuoto. Questo perché la ricerca, pur vana, di senso offre un piacere che è pari, se non superiore, alla fruizione del contenuto. Ecco perché era divertente leggere le teorie barocche che Doc Jensen scriveva su Lost dieci anni fa.
In Legion la gran parte dei discorsi si svolge sul piano estetico, sul design (le magliette appunto) e sulle atmosfere da ricreare. Anche in questo campo il New York Times ha rintracciato tutti i riferimenti visivi al mondo horror, da David Lynch a David Cronenberg, passando per Essi vivono, Lasciami entrare e Io ti salverò. Ma anche lì, quanto c’è di intenzionale e quanto di casuale?
Mi trovo a confermare gran parte delle considerazioni che avevo enucleato parlando del primo episodio. Rispetto a cose come Daredevil, Legion non fa (quasi mai) pesare il fatto che la storia che sta raccontando abbia lo spessore di un’ostia bagnata. Allo stesso tempo manca di focalizzazione sul cast di comprimari, abbastanza piatti e insipidi, vuoi per una debolezza di scrittura, vuoi per una mancanza da parte degli attori. Non mi è mai capitato durante queste ore di tv di fermarmi a guardare gli occhi di un personaggio, di volermi rivedere certi passaggi, di ricordarmi ineluttabilmente un’espressione o una tonalità di voce, Melanie a parte (che continuo a citare e verso cui sto forse realizzando di avere un interesse? Non lo so, ma la cosa mi incuriosisce. #granny).
Non arrivo a dire che Rachel Keller (Syd) sia pessima solo perché non raggiunge bassezze tali da meritarsi nemmeno la nomination ai premi de I 400 calci, però nemmeno Dan Stevens (David) scherza, eh, con tutte le mossette e le faccette che comunicano poco della sua instabilità mentale. Anche Aubrey Plaza, bah, le dicono di fare la gigiona ma non è nelle sue corde. Di media meglio le guest star, Linklater e Clement specialmente. Il resto lo sto ripetendo da sette episodi: attenzione all’aspetto formale, girovuotismo, guardabilità e desiderio di contrapporsi alla serialità televisiva dei supereroi.
Annotazioni sparse:
– Clark stupendo Due Facce/Joker/Freddy Krueger ci insegna che anche i cattivi tengono famiglia. Ma, soprattutto, spiega cosa succede ai cattivi quando i buoni fanno le cose buone che però poi alla fine tanto buone non sono. Robe che con questo episodio viene voglia di riguardare tutta la serie tifando per il Re delle Ombre.
– Non ci ho più capito niente di come hanno usato l’aspect ratio, ora anche alcune sequenze “reali” sono in 16:9, qualcuno mi spiega anche questa cosa?
– Canzone finale: Children of the Revolution dei T-Rex. Non capisco il filo conduttore, nelle ultime puntate hanno scelto tutte canzoni coeve alle ambientazioni anni Settanta, all’inizio andavano più di indie folk.
– Volevo appuntare qualcosa a riguardo su Aubrey Plaza, ma il fatto che accanto alle sue battute sul copione abbia scritto solo “cosplay di Tim Burton”, me lo sono già giocato, per cui niente.
– Amici produttori, realizzate uno spin-off sul vero personaggio tragico della serie, Melanie, che prima passa anni senza il marito, poi quando ci si riunisce lui non si ricorda di lei (in un misto di quei film ruffiani sull’alzheimer tipo Away from Her e Still Alice) e alla fine il marito diventa pure il cattivo. Triste. Grande potenziale con i migliori attori della serie. Io me lo guarderei ancora ancora e ancora.