Pechino, 2005. Il diplomatico Philippe Ôtié ha l’ardire di avvicinare Kunwu Li proponendogli di trasporre la sua vita in un fumetto. Nonostante l’enorme esperienza accumulata negli anni, l’autore è basito. Non riesce a comprendere quale interesse possa suscitare la biografia di un individuo. Eppure, per il diplomatico francese la prospettiva personale è l’unica in grado di poter attraversare la storia recente della Cina.
All’epoca Kunwu Li ha pubblicato decine di libri in madrepatria e molti dei suoi lavori sono apparsi su riviste illustrate come Lianhua Huabao e Humo Dashi. Dopo aver prodotto opere di propaganda si è specializzato in opere dal sapore etnografico, concentrandosi sulle minoranze dello Yunna, la sua provincia di nascita. Da sempre membro del Partito Comunista e accademico, Una vita cinese è la sua prima opera prodotta per il mercato internazionale. E che opera.
In Francia la biografia a fumetti di Ôtié e Li è comparsa nel 2009 in un primo tomo intitolato Le temps du père, cui sono seguiti altri due poderosi volumi per un totale di 800 pagine. I due vi ricostruiscono, sulla scorta degli appunti di Li, un quadro affascinante della storia cinese a partire dalla rivoluzione culturale dei tardi anni Cinquanta.
È un’opera titanica che rivaleggia per mole e intenzione con l’altrettanto imponente Una vita tra i margini del mangaka Yoshihiro Tatsumi. Ma non appena ci si immerge nella lettura del libro cinese, si capisce che la distanza è profonda. Se l’opera di Tatsumi è un bildungsroman incentrato sulla nascita e lo sviluppo del gekiga, quella di Kunwu è la lente focale attraverso cui analizzare la storia del popolo cinese. L’attitudine e il tono è simile a quello di cui si può far esperienza leggendo i romanzi del premio nobel cinese Mo Yan. Nonostante, in quest’ultimo caso ci troviamo dinanzi ad opere di pura fiction, l’intento è il medesimo: utilizzare una vicenda particolare per descrivere la storia di un popolo, una storia controversa e di difficile comprensione per chi guarda e osserva oltre i confini dell’Impero Celeste.
In Italia il merito di proporre il primo volume di quest’opera di fondamentale importanza per il manhua è dell’editore ADD, che ha ripreso l’edizione francese. L’estremo ritardo con cui questo libro è stato tradotto qui da noi palesa, forse, uno scarso interesse per le opere proveniente dalla Repubblica Popolare Cinese. Infatti, i libri a fumetti cinesi pubblicati in Italia si contano sulla punta delle dita: al di là della storica antologia edita da Laterza e curata da Cheneaux, Eco e Nebiolo, opere monografiche o antologiche di relativa importanza sono state pubblicate principalmente da Canicola. Tra i lianhuanhua di Laterza e le opere di autori indipendenti e singaporiani di Canicola vi è un vuoto: un’urgenza colmata da Un vita cinese di Ôtié e Li.
Kunwu Li è uomo di partito e come tale cerca la sua verità. Lo fa, però, con piena onestà. Ciò si riflette nelle sommesse critiche che intervallano il flusso dei ricordi. Ci troviamo dinanzi a sottili glosse che si muovono ai margini delle pagine, ma che definiscono il tono generale della narrazione. Sono dubbi latenti, che affiorano tra gli eventi, suscitati dal dialogo con la voce europea di Ôtié, ma che non diventano mai una vera e propria denuncia. Sono rammarichi, più che e vere e proprie critiche. Come scrive Ôtié nell’introduzione all’edizione integrale dell’editore Self Made Hero:
Non ci saremmo mai aspettati che per i lettori – ma anche per i giovani cinesi – che conosco poco della storia contemporanea cinese, quello che è successo a Xiao Li, sarebbe stato utile a raccontare quello che era successo ai suoi compatrioti. Pensavamo che Xiao Li potesse essere solo un esempio. Ma, nel mentre la nostra idea è cambiata completamente… Li ed io abbiamo trovato il risultato devastante. Tutto si è complicato ulteriormente. Per esempio, come raccontare questo o quell’avvenimento senza urtare la sensibilità dei gruppi coinvolti? Come riconciliare la visione che i Cinesi hanno di se stessi con quella talvolta diametralmente opposta degli stranieri? Come toccare argomenti politici sensibili per i Cinesi? Con ogni argomento, abbiamo sempre tentato di camminare lungo quel sottile crinale che divide la critica dalla propaganda, con un’unica clausola, quella di rimanere fedeli alla vita di Li e di consentire ai lettori di trarre autonomamente le proprie conclusioni.
Il memoir, pertanto, non è un’opera di denuncia, ma di ricostruzione storica. Ed è per questo che l’opera sembra sospesa tra un tono propagandistico e nostalgico, che fa ricadere le colpe non sui padri, ma sui figli, e la critica, che analizza a posteriori le conseguenze delle scelte del Partito. Kunwu Li non riesce a storicizzare la figura di Mao Zedong. Il Grande Timoniere è ammantato da un’aurea sacrale: Li nutre un sentimento popolare proprio della sua generazione, nata nel pieno della Rivoluzione Culturale e che si riflette nel culto della persona del «quattro volte grande» Mao Zedong. Avvertiamo questo dedizione nella cura con cui tratteggia il volto del Presidente. Il tratto nervoso, sofferto, istintivo e al limite del grottesco, si stempera dinanzi al ricordo di Mao: è quasi un memoria fisica quella che guida il suo pennello, lo frena e lo riporta verso un forzato sentimento di realtà. A proposito dello stile del disegnatore Ôtié scrive:
Li non ha sempre disegnato in questa maniera. Prima di Una Vita Cinese, le sue linee erano morbide, veloci, leggere, semplici; il suo pennello sfiorava appena la carta. Questo ero lo stile delle prime pagine, delle prime prove. Ma uno stile del genere non permetteva di scavare in profondità, di vuotare totalmente il sacco. Come un attore che ad un certo punto decide di impersonare se stesso, Li ha lasciato cadere la maschera e ha dovuto guardare dentro se stesso per cercare proprio stile. Il suo stile. Tormentato. Dalla sofferenza del primo volume alla ricchezza dell’ultimo libro.
Questo ci fa comprendere come Una vita cinese sia più di un semplice memoir. Tra gli eventi, gli aneddoti, i pensieri si incardina un processo di analisi non intenzionale. Ed è per questo che soprattutto il primo tomo è sofferto, perché Kunwu Li deve scontrarsi con il proprio vissuto, sciogliendo quei nodi inestricabili con la storia del popolo cinese.
Nel primo volume, gli autori attraverso l’esperienza personale del piccolo Li parlano di due dei più importanti eventi della Cina maoista: la Grande rivoluzione culturale e il Grande balzo in avanti (1958-1961). È soprattutto quest’ultimo a occupare i primi capitoli. Sono anni di fervore, in cui il popolo quasi invasato contribuiva con tutte le sue forze alla produzione nazionale di acciaio, fondendo ogni particola di metallo negli altiforni diffusi su tutto il territorio cinese, in un delirio di onnipotenza in cui l’uomo comune cinese si opponeva senza alcuna riserva contro la natura. Il piano di Mao Zedong era ispirato alla politica economica ed industriale del comunismo sovietico staliniano ed è per questo che la sua retorica faceva largamente uso del concetto di volontarismo ad oltranza, insistendo sul potere che avevano le masse nella conquista della Natura a fini produttivi. Un pensiero tecnocratico totalmente incapace di pensare alle possibili conseguenze disastrose per il territorio e la popolazione.
Non è un caso che alla follia collettiva Kunwu Li intrecci il racconto delle grandi carestie che colpirono la Cina in quel quinquennio. Il totale isolazionismo e l’economia di autosufficienza inaugurate dal Presidente condussero ad esiti disastrosi. Kunwu dipinge la sofferenza degli strati più poveri della società cinese con un segno che dal caricaturale si fa sempre più grottesco e acido: il pennello traccia volti esanimi, esacerbati dalla fame e dalle sofferenza in un intreccio di linee ben distante dal tono leggero delle prime pagine, dove il tratto accennato ricorda la velocità calligrafica.
Il processo si ripete quando Li si trova a sottolineare i momenti di follia collettiva che infervorano le masse durante la Rivoluzione Culturale. Le citazioni del Presidente Mao diventano un vademecum fondamentale nella Primavera del 1966, quando il Libretto Rosso entra nelle vite del popolo cinese: l’unico obiettivo diventa sradicare feudalesimo, capitalismo e revisionismo, i tre veleni che potevano compromettere la salute della rivoluzione. Ogni angolo della Cina viene messo a soqquadro dalla gioventù della Guardia Rossa, che armata dell’onniscienza del Libretto Rosso conducono porta a porta una lotta spietata contro ogni forma di sospetto e critica verso il pensiero unico del Partito.
Ancora una volta, Kunwu racconta con oggettività il trasporto adolescenziale verso la dottrina maoista, il fervore della sua generazione e dei parvenu della rivoluzione, i contrasti con i quadri del Partito e le autorità provinciali, sino all’orrore delle denuncia anonime e al clima generale di sospetto, che tracimava nell’orrore degli auto-da-fé. Ci vorrà più di un decennio perché lo stesso Comitato Centrale riconosca il terrore scatenato dalla Rivoluzione culturale. Come ricordano Li e Ôtié, solo nella provincia dello Yunnan le cifre ufficiali dei processi sommari e delle pratiche di epurazione parlarono di oltre 17.000 vittime. Numeri senza dubbio accomodanti per il Partito.
Il rammarico nutrito dal disegnatore è verso la tradizione artistica dell’Impero Celeste: millenni di bellezza spazzati via. Il vecchio Kunwu, ormai inserito nei quadri amministrativi, artista affermato, uomo di partito, vagabonda per le campagne alla ricerca di cocci di ceramiche e di piccoli manufatti. Sono i frammenti di una storia millenaria volutamente rimossa, disintegrata e arsa dal fervore animato dalle parole del Presidente Mao.
La grandezza dell’opera di Kunwu Li va comunque al di là della semplice narrazione dei fatti, poiché questo monumentale lavoro rappresenta uno spartiacque del fumetto cinese. Una Vita Cinese è un’ideale sintesi tra la tradizione – pur smarcandosi dalla produzione popolare dei lianhuanhua, tipica di autori come He Youzhi e Jiang Hong Chen – e le influenze europee. Con questo lavoro Kunwu Li si pone come il più importante fumettista cinese e fondamentale trait d’union tra i manhua di propaganda e le nuove generazioni di fumettisti indipendenti, come Chihoi e Yan Cong.
Una vita cinese vol. 1 – Il tempo del padre
di Li Kunwu e Philippe Ôtié
traduzione di Giovanni Zucca
ADD Editore, 2016
256 pagine in b/n, 19,50 €