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L’approdo di Shaun Tan. Tecnica e sentimento nel racconto dell’immigrazione

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L’approdo dell’illustratore e animatore australiano Shaun Tan usciva per la prima volta proprio dieci anni fa (mentre nel 2008 in Italia). È un libro che per tecniche narrative e tematiche si è distinto come lavoro originale e solido. È un lungo racconto per immagini muto, sorta di ibrido tra il linguaggio del fumetto e quello del libro illustrato, riuscito a evadere alle definizioni.

Leggi le prime pagine di L’approdo

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Senza troppi giri di parole, L’approdo è una storia di migrazione; una storia ricca sì di metafore, ma per niente camuffate, anzi dirette. Ciò lo rende un racconto sempre attuale, di una umanità senza tempo; anche avvolto nello spettro di una retorica in un certo senso facile, dalla quale Tan sa però divincolarsi abilmente grazie alle sue manifeste abilità narrative. L’approdo narra quel tipo di migrazioni che si consumano dal Novecento in poi, fenomeni che oggi più che mai sono oggetto di ogni sorta di banalità, perpetrate su qualunque medium di informazione e di finzione, in un continuo alternarsi di storytelling emotivi e post-verità. Eppure, la retorica non può stare necessariamente nel solo affrontare l’argomento, ma nel come lo si fa.

Shaun Tan non fa né propaganda né giornalismo a fumetti, il suo racconto è di pura fiction, intrisa di sentimentalismo, un sentimentalismo piuttosto raffinato, che si esplica però attraverso particolari stratagemmi narrativi evoluti e ben espressi. Di sensazione ne fa molta, e per quanto incanalata in un contesto tecnico raffinato, è innegabile che per lettori anche solo lievemente cinici o distaccati (e non intendo disinteressati al problema della migrazione, ma interessati più alla finzione che alla sensazione) la lettura di L’approdo resta un’esperienza piuttosto addolcita, ma non superficiale o troppo leggera.

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Nelle prime pagine del libro il padre di una famiglia povera fa le valigie e parte per un luogo diverso e straniero; approda in terre lontane e si ritrova circondato da individui, ambienti ed esseri sconosciuti, alieni (come sembrano i surreali individui che le popolano, inquietanti quanto suggestivi). Vediamo tutto attraverso una sorta di filtro o pellicola, un tono opaco e sfumato, dal forte effetto seppia, dato da matita ed effetti digitali (rivela l’autore nei credits introduttivi). Si ha l’effetto di trovarsi in scenari lontani nel tempo e nello spazio, come di fronte a un vecchio cinegiornale corroso e ingiallito dal tempo. Ma non è l’unico elemento del flusso narrativo di Tan ad avvolgere suggestivamente il lettore, che ammaliarlo, quasi ruffianamente, ma non credo con retorica, davvero. Proprio perché sono certe idee a salvarlo. Come quando Tan racconta romanticamente (e magari fin troppo emotivamente) il passato degli uomini incontrati dal protagonista, tramite flashback che partono da ciò che è riflesso nei loro occhi.

Altro device narrativo estremamente efficace è l’esecuzione di un ritmo di una lentezza avvolgente, che alterna immagini larghissime – panoramiche della città e dei luoghi desolati da cui vengono i migranti – a pagine composte da numerose vignette in sequenza stretta.

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È in quest’ultime tavole che L’approdo si fa più fumetto che picture book, raccontando per sequenzialità, con la padronanza dei tempi di cui l’autore che ha esperienza nell’animazione (da ricordare, Tan nel 2011 ha vinto il Premio Oscar per il miglior cortometraggio di animazione col suo Oggetti smarriti). Con questo intercalare di tempi, con le profonde digressioni narrative e il segno che esprime sia volti realistici che figure surreali, Tan provoca le emozioni del lettore, sicuro di sé e della storia che sta raccontando.

Col passare di una decina di anni, la ciclicità del racconto di Tan – che si apre con un approdo e con un approdo si conclude – non ha fatto che restare inesorabilmente attuale. Lui è osservatore e narratore e i fatti che riporta sono parte di una favola tanto quanto lo sono della realtà.

L’approdo
di Shaun Tan
Tunué, 2016
128 pagine, colore – 24€

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