Pare che ultimamente siano piuttosto popolari le Escape Room, locali dove per gioco ti fai rinchiudere in gruppo per ritrovare una via di uscita. L’ho scoperto perché ce n’è una accanto a dove lavoro e fanno un gran casino, sia quando c’è gente che quando sono chiusi, è un continuo smontare e rimontare. Quello della caccia al tesoro, della quest, non è un divertimento nuovo, ma questi esercizi lo coniugano con le ristrettezze metroquadrate delle città; poi immagino ci sia di mezzo anche un certo fascino falsamente claustrofobico da reality show.
La scoperta di una simile realtà a me vicina fisicamente ma lontana nello spirito (del divertimento) mi ha fatto arrivare più preparato alla lettura di Anamorphosis di Shintaro Kago. Non è che ci siano delle Escape Room nella storia, ma l’ambiente protagonista della storia principale è comunque uno scenario simile ad esse, ricreato in termini estremi, artificialmente, dove all’inizio viene rinchiuso un individuo (ignaro) per il puro intrattenimento di un reality televisivo. A dirigere il tutto è quell’individuo perverso e spietato di Kago, e il tizio muore incidentalmente nelle prime pagine, di fatto rapito e messo in un costume, per fargli credere di essere un mostro. Non ho spoilerato nulla di che, si tratta appena delle prime pagine, perché poi dopo lo scandalo di questa morte altre persone vengono portate in questo set per un concorso a premi, sfidate a restare lì nel luogo infestato dallo spirito del defunto almeno 48 ore.
La situazione – inevitabilmente claustrofobica – che si crea ricorda, per tasso ansiogeno e mistero, il più noto manga Gantz di Hiroya Oku (nel quale alcune persone venivano condotte in una realtà alternativa e sfidate a giochi assai pericolosi), senza tutta la salsa fantascientifica. Kago unisce con equilibrio la sua passione per il meta-racconto ad audaci tentativi di narrazione di genere. Si fondono dunque spunti di “racconto di racconti” riminiscenti del Rashomon di Akira Kurosawa (che a sua volta era tratto da un racconto di Akutagawa Ryunosuke) a toni da giallo più tradizionale alla Agatha Christie, con vittime che si susseguono in uno spazio ristretto. Nel complesso, Nel complesso, un ragionato e stratificato susseguire di risvolti inattesi e colpi di scena.
Kago ha creato già in precedenza varie storie meta-narrative, ma finora troppo sterili, algide, di pura sperimentazione o fin troppo finalizzate al semplice generare stupore nel lettore. Con Anamorphosis, invece, si spinge in avanti, proprio con l’introduzine elementi di mistery classico. Continua a mantenere la sua distintiva vena critica nei confronti del contemporaneo, deridendo la vacuità dell’attuale industria dell’intrattenimento, ma lo fa all’interno di uno schema narrativo decostruito, non eccedendo nell’autoreferenzialità. Poi si tratta di Kago, e come ormai abbiamo imparato dai suoi racconti precedenti, i colpi di scena si consumano fino in fondo, in un continuo ribaltamento di certezze.
Questo per quanto riguarda metà del libro. Nella restante metà sono contenute storie brevi dalla violenza grafica particolarmente esplicita, narrativamente asseribili all’ambito del manga ero-guro, che unisce erotismo e horror gore con tratti paradossali al limite del bizzarro e dell’umorismo nero. Il non sense si spreca e l’umorismo va oltre ogni preconcetto. È il Kago più leggero – se così si può dire – e va preso per quello che è, cioè con un certo divertimento perverso. Il meglio lo dà sicuramente nella prima parte del volume, ma col “giusto spirito” le storie successive regalano qualche risata malsana, che non disprezzo affatto.
Anamorphosis
di Shintaro Kago
001 Edizioni / Hikari
206 pagine – b&n – 18€